Ordinanza N. 414 del 1993
Corte Costituzionale
Data generale
23/11/1993
Data deposito/pubblicazione
23/11/1993
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/11/1993
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, prof. Antonio BALDASSARRE, prof.
Vincenzo CAIANIELLO, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,
prof. Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI;
legge 8 agosto 1992, n. 359 (recte: art. 5- bis d.l. 11 luglio 1992,
n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359) (Misure urgenti
per il risanamento della finanza pubblica), promossi con le seguenti
ordinanze: 1) ordinanza emessa il 4 marzo 1993 dalla Corte d’Appello
di Lecce nel procedimento civile vertente tra Matteo Pasquale ed
altre ed il Comune di Lecce, iscritta al n. 232 del registro
ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 22, prima serie speciale, dell’anno 1993; 2) n. 3 ordinanze emesse
il 21 gennaio, il 28 gennaio ed il 6 aprile 1993 dalla Corte di
appello di Genova nei procedimenti civili vertenti tra Fresca Elsa e
il Comune di Savona, Pozzo Emma ed altri e il Comune di Recco e
Morixe Renza ed altri e il Comune di Vado Ligure, ai nn. 268, 269 e
270 del registro ordinanze 1993, prima serie speciale, dell’anno
1993;
Visto l’atto di costituzione di Fresia Elsa nonché gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 1993 il Giudice
relatore Renato Granata;
Ritenuto che nel corso di un giudizio di opposizione alla stima
dell’indennità di espropriazione, promosso da Matteo Pasquale e
Centonze Concetta, la adita Corte d’appello di Lecce ha sollevato
(con ordinanza del 4 marzo 1993) questione incidentale di
legittimità costituzionale dell’art. 5- bis, commi 1, 2, 6 e 7 della
legge 8 agosto 1992 n. 359 (recte: art. 5- bis d.l. 11 luglio 1992 n.
333, convertito nella legge 8 agosto 1992 n. 359) recante nuovi
criteri per la determinazione della indennità suddetta, ipotizzando
la violazione: a) dell’art. 24, commi 1 e 2, della Costituzione nella
parte in cui, sostanzialmente penalizzando il soggetto che non sia
addivenuto alla cessione volontaria del bene e che abbia scelto la
via giudiziaria per la tutela del proprio diritto, stabilisce
comunque per quest’ultimo una riduzione dell’importo indennitario in
misura del 40%; b) dell’art. 3 della Costituzione perché crea una
irragionevole disparità di trattamento tra chi al momento della sua
entrata in vigore ha visto definita la propria posizione con la
vecchia normativa e chi, invece, per cause assolutamente indipendenti
dalla sua volontà, tale posizione non ha visto definita in tempo; c)
dell’art. 42, comma 3, della Costituzione perché non costituisce
“serio ristoro” un indennizzo espropriativo pari a circa il 30% del
valore venale del bene espropriato;
che in altrettanti analoghi giudizi di opposizione alla stima
dell’indennità di espropriazione – proposti rispettivamente da
Fresia Elsa, Pozzo Emma ed altri, e da Morixe Reza ed altro – la
medesima norma (anche con riferimento al quinto comma) è stata
censurata dalla Corte d’appello di Genova con ordinanze del 21 e 28
gennaio e 6 aprile 1993 per sospetta violazione: a) dell’art. 42,
comma 3, della Costituzione (per inadeguatezza e difetto di
congruità dell’indennizzo espropriativo quale risultante dal nuovo
criterio di calcolo, che – dovendo farsi riferimento alla semisomma
(peraltro ridotta del 40%) del valore venale e del reddito dominicale
– comporta una diminuzione dell’indennità che va ben oltre quel
margine di scostamento, tra il “serio ristoro” dovuto a chi subisce
l’espropriazione ed il pieno “valore venale” del bene espropriato,
scostamento che la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto
compatibile con la natura dell’istituto dell’espropriazione); b)
(ancora) dell’art. 42, comma 3, della Costituzione (perché la
previsione del quinto comma della norma censurata, secondo cui è
rinvia ad un regolamento, da emanarsi con decreto ministeriale, la
definizione dei criteri e dei requisiti per la individuazione della
edificabilità di cui al precedente terzo comma, viola il principio
della riserva di legge); c) degli artt. 3 e 24, comma 1, della
Costituzione (per disparità di trattamento tra chi accede alla
cessione volontaria del bene e chi invece intende adire l’autorità
giudiziaria con opposizione alla stima e per violazione del diritto
di agire in giudizio perché la penalizzazione della riduzione, in
tal caso, del 40% dell’indennizzo si traduce in un ostacolo
all’esercizio di un diritto soggettivo; inoltre vi sarebbe disparità
di trattamento tra chi al momento dell’entrata in vigore delle nuove
norme abbia già subito l’esproprio e non possa quindi più convenire
la cessione volontaria del bene, e chi, non essendo ancora stato
emesso un provvedimento ablatorio, può accedere alla cessione
volontaria senza subire la riduzione del 40%);
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato chiedendo
che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili o
infondate in quanto già delibate da questa Corte con la sentenza n.
283/93;
che si è costituita la parte privata Fresia Elva depositando
memorie e in particolare, nel prendere atto della sentenza n. 283 del
1993 di questa Corte, emessa nelle more del giudizio, non ha chiesto
la discussione in pubblica udienza;
Considerato che è manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 5- bis, primo comma, d.l. n.
333/92 cit. sollevata – in riferimento all’art. 42, comma 3, della
Costituzione – sotto il profilo che l’indennizzo espropriativo (pari
al 40% della semisomma del valore venale e del reddito dominicale)
non presenta le caratteristiche del “serio ristoro”, che invece
dovrebbe avere, atteso che la Corte ha già dichiarato non fondata la
medesima questione con la sentenza n. 283 del 1993, né le Corti
d’appello rimettenti allegano nuovi e diversi elementi di
valutazione;
che è viceversa manifestamente inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 5- bis, primo comma, ultima
parte, e secondo comma, riguardante il previsto esonero
dall’abbattimento del 40% dell’indennizzo espropriativo solo in caso
di cessione volontaria per assunta disparità di trattamento (art. 3
della Costituzione) e per asserita vulnerazione del diritto di azione
(artt. 24 della Costituzione) essendo, in entrambe le fattispecie
all’esame dei giudici a quibus, già intervenuti i decreti di
espropriazione sicché non può più trovare applicazione la
disciplina della cessione volontaria, come ritenuto in analoga
fattispecie dalla cit. sent. n. 283/93;
che altresì manifestamente inammissibile è la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 5- bis, quinto comma, cit.
sollevata – in riferimento all’art. 42, comma 3, della Costituzione –
sotto il profilo della violazione della riserva di legge, atteso che
nelle ordinanze di rimessione non è precisato se la destinazione
edificatoria del suolo, accertata dal c.t.u., sia di natura legale o
di fatto, sicché manca un elemento essenziale per valutare la
effettiva rilevanza della questione nei giudizi a quibus;
che è manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 5- bis, sesto comma, cit. sollevata in
riferimento all’art. 3 della Costituzione perché la prospettata
disparità di trattamento tra espropriati, secondo che nei loro
confronti sia stato emesso, o meno, il decreto di espropriazione al
momento della entrata in vigore del d.l. n. 333/92 cit., risulta
rimossa – successivamente alle ordinanze di rimessione – dalla cit.
sentenza n. 283/93, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
del secondo comma del medesimo art. 5- bis nella parte in cui non
prevede in favore dei soggetti già espropriati al momento
dell’entrata in vigore della legge n. 359 del 1992, e nei confronti
dei quali la indennità di espropriazione non sia ancora divenuta
incontestabile, il diritto di accettare l’indennità di cui al primo
comma con esclusione della riduzione del 40%, e quindi la pronuncia
additiva invocata dalla Corte d’appello di Genova è stata già resa
(ancorché riferita al secondo comma e non già al sesto della
disposizione impugnata); mentre non può esaminarsi – perché fuori
dal thema decidendum quale devoluto dalla Corte rimettente – il
profilo, indicato in una sua memoria dalla parte costituita,
dell’incidenza dell’onere delle spese processuali;
che è manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 5- bis, sesto e settimo comma, cit. nella
parte in cui la nuova disciplina dell’indennizzo espropriativo si
applica (con efficacia retroattiva) anche ai procedimenti (ed ai
relativi giudizi) in corso per violazione del principio di parità di
trattamento (art. 3 della Costituzione) e del diritto d’azione (art.
24 della Costituzione) avendo questa Corte già escluso la lesione
dei suddetti parametri nella cit. sentenza n. 283/93, senza che nuovi
e diversi profili di valutazione siano prospettati dalle Corti
d’appello rimettenti;
Visti gli artt. 26, comma 2, legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9, comma
2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara:
a) la manifesta inammissibilità delle questioni di
legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3, 24 e 42,
comma 3, della Costituzione – dell’art. 5- bis, commi 1, ultima
parte, 2, e 5 d.l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito nella legge 8
agosto 1992 n. 359 (Misure urgenti per il risanamento della finanza
pubblica), sollevate dalla Corte d’appello di Lecce e dalla Corte
d’appello di Genova con le ordinanze trascritte in epigrafe.
b) la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità
costituzionale – in riferimento all’art. 3, 24 e 42, comma 3, della
Costituzione – dell’art. 5- bis, commi 1, 6 e 7, d.l. n. 333/92 cit.,
sollevate dalla Corte d’appello di Lecce e dalla Corte d’appello di
Genova con le ordinanze trascritte in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 novembre 1993.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: GRANATA
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 23 novembre 1993.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA