Ordinanza N. 414 del 2001
Corte Costituzionale
Data generale
18/12/2001
Data deposito/pubblicazione
18/12/2001
Data dell'udienza in cui è stato assunto
03/12/2001
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
e 13, comma 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 186 –
recte: n. 286 – (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero), promosso con ordinanza emessa il 29 novembre 2000 dal
Tribunale amministrativo regionale della Sicilia – sezione staccata
di Catania, sul ricorso proposto da Croos Warnakulasuriya Anton
Claude Mahinda contro la Questura di Catania ed altra, iscritta al
n. 238 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 14, 1ª serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2001 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che con ricorso al Tribunale amministrativo regionale
della Sicilia – sezione staccata di Catania, l’extracomunitario Croos
Warnakulasuriya Anton Claude Mahinda ha impugnato, chiedendone
l’annullamento, il provvedimento del Questore della Provincia di
Catania di rigetto dell’istanza tendente ad ottenere il rilascio del
permesso di soggiorno per lavoro subordinato;
che, successivamente, il medesimo ricorrente ha impugnato con
nuovo ricorso, inserito nello stesso fascicolo e considerato come
proposizione di motivi aggiunti, il susseguente provvedimento
prefettizio di espulsione dal territorio nazionale;
che il Tribunale amministrativo regionale, con ordinanza del
29 novembre 2000, ha sollevato, d’ufficio, in riferimento agli
artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale degli artt. 6, comma 10, e 13, comma 8, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 186 – recte: 286 – (Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero), nella parte in cui non devolvono
ad un unico giudice e, segnatamente, al giudice amministrativo, le
controversie relative al soggiorno degli stranieri in Italia;
che, sul punto della rilevanza, il collegio rimettente
precisa che l’esito favorevole del ricorso avrebbe come unico ed
indefettibile presupposto la declaratoria di illegittimità
costituzionale della normativa impugnata, avendo il ricorrente, nel
giudizio a quo, adito, ai sensi dell’art. 6, comma 10, del citato
decreto legislativo n. 286, il giudice amministrativo per
l’annullamento del diniego espresso dal Questore della Provincia di
Catania sulla istanza di regolarizzazione del permesso di soggiorno;
che, successivamente, lo stesso ricorrente aveva impugnato
con motivi aggiunti, dinanzi al medesimo tribunale, il decreto
prefettizio di espulsione dal territorio nazionale, che avrebbe
dovuto essere impugnato, ai sensi dell’art. 13, comma 8, del medesimo
decreto legislativo, dinanzi al giudice ordinario entro cinque
giorni;
che, in ordine a quest’ultimo provvedimento di espulsione –
impugnato con motivi aggiunti consistenti, tra l’altro, nella sola
censura di illegittimità derivata dal provvedimento di diniego di
regolarizzazione espresso dal Questore -, il giudice a quo ritiene
che dovrebbe essere dichiarato il difetto di giurisdizione del
giudice adito in favore del giudice ordinario, con conseguente
perdita di ogni tutela giurisdizionale, che l’errore sulla
giurisdizione comporterebbe;
che, sempre secondo il Tar, non potrebbe esser fatta valere,
dinanzi al giudice ordinario, la rimessione in termini prevista
dall’art. 184-bis cod. proc. civ., laddove invece il giudice
amministrativo potrebbe valutare la scusabilità dell’errore
(artt. 34 e 36 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, recante
“Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato”),
né sarebbe possibile utilizzare l’istituto della riassunzione della
causa a norma dell’art. 50 cod. proc. civ., con gli effetti della
translatio iudicii nella ipotesi in cui il giudice amministrativo
abbia declinato la propria giurisdizione;
che ad avviso del Tar rimettente le norme denunciate
recherebbero vulnus agli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto
si porrebbero in contrasto con il principio di ragionevolezza e con
il diritto di difesa: la frammentazione della giurisdizione in
materia non avrebbe ragion d’essere, trattandosi sempre di situazioni
di diritto soggettivo, in quanto sia i provvedimenti che attengono al
“soggiorno” dello straniero, sia il decreto di espulsione
inciderebbero sul diritto di circolazione e soggiorno, garantito
dall’art. 16 della Costituzione;
che non vi sarebbe, ad avviso del giudice a quo alcun
ostacolo dogmatico alla concentrazione della tutela presso l’uno o
l’altro giudice, mentre sarebbe coerente con lo spirito della recente
riforma del processo amministrativo una soluzione che prevedesse la
devoluzione dell’intera materia al giudice amministrativo ai sensi
dell’art. 21, comma 1, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034
(Istituzione dei tribunali amministrativi regionali) nella
formulazione introdotta dalla legge 21 luglio 2000, n. 205
(Disposizioni sulla giustizia amministrativa) (“Tutti i provvedimenti
adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi
all’oggetto del ricorso stesso, sono impugnati mediante proposizione
di motivi aggiunti”), poiché i procedimenti, culminati con i
provvedimenti impugnati, potrebbero essere considerati o
sub-procedimenti di un medesimo procedimento in senso lato ovvero
procedimenti collegati;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha
concluso per la inammissibilità della questione, sottolineando il
carattere perplesso ed ipotetico della questione, così come
sollevata e la discrezionalità politica del legislatore, non
sindacabile neanche dinanzi alla Corte costituzionale, circa la
scelta della giurisdizione cui affidare la conoscibilità di
determinate materie;
che, nel merito, l’Avvocatura ha concluso per la infondatezza
della questione sollevata, richiamando il costante insegnamento della
giurisprudenza costituzionale, secondo cui, a fronte di due possibili
interpretazioni, una delle quali il giudice ritenga conforme a
Costituzione, di questa dovrebbe farsi applicazione; sottolineando,
inoltre, che la ripartizione di competenze tra le due giurisdizioni
sarebbe puramente tendenziale e più volte derogata, senza, peraltro,
che siano stati lamentati inconvenienti che abbiano inciso sulla
razionalità del sistema o sul diritto di difesa e della tutela
giurisdizionale.
Considerato che preliminarmente deve essere precisato che nella
questione sollevata nel presente giudizio (incidentale rispetto ad un
ricorso avanti al Tar) non vengono in rilievo i profili relativi ai
poteri ed alle facoltà del giudice ordinario in ordine all’errore
scusabile ai fini della rimessione in termini, né alla possibilità
per la parte ricorrente di utilizzare, avanti al giudice ordinario,
l’istituto della riassunzione della causa ai sensi dell’art. 50 cod.
proc. civ.;
che gli inconvenienti che ad un soggetto deriverebbero da un
errore esclusivo dello stesso soggetto o del suo rappresentante, non
possono di per sé risolversi in motivi di illegittimità
costituzionale, né può invocarsi la intervenuta (conseguente
all’errore) scadenza di termini processuali, stabiliti a pena di
decadenza, per invocare la illegittimità costituzionale di norme che
provvedono a ripartire la giurisdizione ed a determinare le
rispettive procedure, al fine esclusivo di superare la preclusione
derivante dal difetto di giurisdizione e la conseguente scadenza
(verificatasi) di termini processuali;
che resta rimesso alla scelta discrezionale del legislatore
ordinario – suscettibile di modificazioni in relazione ad una
valutazione delle esigenze di giustizia e ad un diverso assetto dei
rapporti sostanziali – il conferimento al giudice ordinario o al
giudice amministrativo del potere di conoscere ed eventualmente
annullare un atto della pubblica amministrazione o di incidere sui
rapporti sottostanti secondo le tipologie degli interventi
giurisdizionali (sentenza n. 275 del 2001);
che, allo stesso modo, rientra nella discrezionalità del
legislatore, ripartire, a seconda della tipologia e del contenuto
dell’atto, la giurisdizione tra il giudice amministrativo ed il
giudice ordinario, conferendo anche un eventuale potere di
annullamento con gli effetti previsti dalla legge (v. ordinanza
n. 165 del 2001);
che il provvedimento prefettizio di espulsione di un
cittadino extracomunitario dal territorio nazionale è ben diverso
dagli altri provvedimenti in ordine al permesso di soggiorno (art. 5
del d.lgs. n. 286 del 1998), attribuiti alla giurisdizione del
giudice amministrativo (art. 6, comma 10, del d.lgs. n. 286 del
1998), dal punto di vista dei poteri e della discrezionalità
esercitata, dei presupposti oggettivi e soggettivi, della sfera dei
diritti soggettivi coinvolti e delle esigenze di garanzie (art. 18,
comma 2);
che, pertanto, deve escludersi una palese irragionevolezza
nella scelta discrezionale del legislatore di attribuire la tutela
nei riguardi dei provvedimenti di espulsione alla giurisdizione del
giudice ordinario, per le implicazioni, nella quasi totalità dei
casi necessarie, sulla libertà personale e non solo sulla libertà
di circolazione dello straniero (v. sentenza n. 105 del 2001;
ordinanza n. 297 del 2001), che si trovi nel territorio nazionale al
di fuori dei limiti di vigilanza della frontiera, per la esigenza di
misure coercitive per il trattenimento e l’accompagnamento alla
frontiera;
che qualunque sia l’interpretazione da dare all’ampiezza
della innovazione processuale dell’ambito dei motivi aggiunti (legge
21 luglio 2000, n. 205, recante “Disposizioni sulla giustizia
amministrativa”, art. 1, comma 1, con sostituzione dell’art. 21 della
legge 6 dicembre 1971, n. 1034, in particolare v. il primo comma)
come mezzo per impugnare i provvedimenti sopravvenuti, connessi
all’oggetto del ricorso originario, adottati tra le stesse parti in
pendenza del ricorso stesso, certamente la norma consente un
simultaneo processo, con riunione di azioni ed ampliamento
dell’ambito originario, ma presuppone sempre che la domanda e
l’oggetto nuovi rientrino nella giurisdizione del giudice
amministrativo adito;
che, infatti, non esiste sul piano costituzionale una
esigenza inderogabile che, una volta iniziato un giudizio tra due
soggetti, tutti i rapporti e le pretese successive debbano subire una
concentrazione (non prevista dalla procedura) avanti ad unico
giudice, in deroga ad ogni diversa previsione di riparto di
giurisdizione ed al principio di precostituzione del giudice;
che non sono isolate le differenziazioni di tutela
giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, secondo
le fasi procedimentali e la posizione fatta valere dal privato, come
ad esempio nella tutela contro il decreto di espropriazione e la
liquidazione della indennità di esproprio;
che non si può configurare una violazione dell’art. 24 della
Costituzione, quando il sistema giurisdizionale preveda, in termini
chiari e conoscibili, una effettiva ed ampia possibilità di tutela
per tutti i provvedimenti che possono ledere un soggetto,
ripartendola tra distinti procedimenti giurisdizionali, per alcuni
atti avanti al giudice ordinario e per altri innanzi al giudice
amministrativo, secondo una scelta non palesemente irragionevole o
manifestamente arbitraria, come sopra rilevato;
che d’altro canto, dovendosi escludere l’esistenza di
pregiudizialità amministrativa nella materia considerata, il
soggetto privato avrebbe potuto trovare piena tutela contro il
provvedimento di espulsione avanti al giudice ordinario, che avrebbe
potuto esercitare un sindacato incidentale sul presupposto atto di
rifiuto o di rinnovo di permesso di soggiorno (e disapplicarlo), con
effetti di illegittimità derivata sull’atto oggetto della sua
giurisdizione piena, ovviamente se ritualmente adita.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 10, e 13, comma 8,
del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento agli
artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo
regionale della Sicilia – sezione staccata di Catania, con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2001.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Chieppa
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 18 dicembre 2001.
Il direttore della cancelleria: Di Paola