Ordinanza N. 416 del 1989
Corte Costituzionale
Data generale
18/07/1989
Data deposito/pubblicazione
18/07/1989
Data dell'udienza in cui è stato assunto
06/07/1989
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO,
avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
secondo, n. 11, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega
legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria),
degli artt. 46, 47, 55 e 56 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600
(Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui
redditi) nonché della restante normativa concernente le sanzioni di
cui al titolo V del medesimo decreto, promosso con ordinanza emessa
il 30 luglio 1981 dalla Commissione tributaria di 1° grado di Savona
sul ricorso proposto da Sambin Stanislao ed altri contro l’Ufficio
Imposte Dirette di Savona iscritta al n. 45 del registro ordinanze
1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7,
prima serie speciale, dell’anno 1989;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 17 maggio 1989 il giudice
relatore Vincenzo Caianiello.
Ritenuto che nel corso di tre giudizi riuniti, proposti da alcuni
contribuenti avverso avvisi di accertamento notificati dagli uffici
finanziari per IRPEF e ILOR relative all’anno 1974 e, in uno di essi,
per obblighi nascenti dalla qualità di sostituto di imposta
rivestita dal ricorrente, la Commissione tributaria di primo grado di
Savona, con ordinanza emessa il 30 luglio 1981 (pervenuta a questa
Corte il 21 gennaio 1989) ha sollevato questioni di legittimità
costituzionale: dell’art. 10, comma secondo, n. 11 della legge 9
ottobre 1971, n. 825, in relazione all’art. 76 della Costituzione;
del “nuovo ordinamento sanzionatorio” nel suo complesso per
violazione del c.d. “principio di fissità” stabilito dal capoverso
dell’art. 1 della legge 7 gennaio 1929, n. 4; degli artt. 46, comma
quarto, e 56, comma primo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in
relazione agli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione; degli artt. 47 e
55 del medesimo d.P.R. n. 600, in relazione agli artt. 76 e 77 della
Costituzione; nonché “della restante normativa concernente le
sanzioni di cui al titolo V” del medesimo d.P.R.;
che, in particolare, assunta genericamente la rilevanza delle
questioni in relazione alle controversie sottoposte al suo esame, il
giudice rimettente dubita, in primo luogo, della legittimità
costituzionale dell’art. 10, secondo comma, n. 11 della legge delega
per la riforma tributaria n. 825 del 1971 perché, in contrasto con
l’art. 76 della Costituzione, non avrebbe indicato al legislatore
delegato sufficienti principi e criteri direttivi per la concreta
determinazione delle sanzioni amministrative e penali e per la loro
graduazione in relazione alla effettiva entità oggettiva e
soggettiva delle violazioni alle leggi tributarie;
che, per quel che concerne la questione relativa al “nuovo
ordinamento sanzionatorio” nel suo complesso, il giudice a quo assume
che esso non rispetterebbe il c.d. “principio di fissità” stabilito
dal capoverso dell’art. 1 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, secondo
cui le disposizioni di tale legge, recante norme generali sulla
repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, non possono
essere modificate o abrogate se non in modo espresso;
che, in ordine agli artt. 46, comma quarto, e 56, comma primo,
del d.P.R. n. 600 citato, che rispettivamente recano la sanzione
amministrativa e quella penale per i casi ivi considerati,
prescindendo entrambi dalla dimostrazione di un comportamento
fraudolento, doloso o colposo, del contribuente, si sostiene dal
giudice a quo che essi si porrebbero in contrasto con l’art. 3 della
Costituzione in quanto non distinguerebbero tra omessa dichiarazione
e dichiarazione infedele nella irrogazione delle rispettive sanzioni;
che, in proposito si soggiunge che la prima delle norme
denunciate (art. 46 cit.), prevedendo la irrogazione della pena
pecuniaria anche nel caso in cui la differenza di reddito tra quello
dichiarato e quello accertato – differenza sulla quale si calcola in
concreto la misura della sanzione – dipenda dalla indeducibilità di
spese, passività ed oneri, non terrebbe conto della difficile
determinazione di tali fattori anche a causa delle incertezze della
stessa amministrazione finanziaria nel procedere agli accertamenti,
cosicché la dichiarazione diverrebbe “infedele” per effetto di
elementi incerti, con conseguente applicazione anche della sanzione
penale di cui all’art. 56, primo comma, dello stesso d.P.R.;
che, inoltre, si rileva che il mancato adeguamento della misura
massima della imposta evasa, da cui scaturisce la irrogazione della
sanzione penale per omessa o incompleta o infedele dichiarazione
(art. 56, primo comma, del d.P.R. n. 600), unitamente alla incertezza
degli uffici finanziari in ordine alle detrazioni possibili,
renderebbe il sistema sanzionatorio ancor più ingiusto, così
violandosi gli artt. 76 e 24 della Costituzione;
che, nell’ordinanza di rinvio, la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 47 e 55 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.
600, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, è
menzionata solo nel dispositivo, senza riscontri nella motivazione
sui profili della rilevanza e della non manifesta infondatezza;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
concludendo per la inammissibilità o infondatezza di tutte le
questioni.
Considerato che la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 10, comma secondo, n. 11, della legge 9 ottobre 1971, n.
825, già sollevata in riferimento allo stesso parametro (art. 76
della Costituzione) e sotto gli stessi profili ora enunciati, è
stata già dichiarata non fondata con sentenze nn. 83 del 1989, 111 e
128 del 1986 e manifestamente infondata con sentenza n. 83 del 1989 e
con ordinanza n. 45 del 1988;
che, non essendo dedotti, nell’ordinanza di rimessione, profili
o argomenti diversi da quelli già disattesi dalla Corte, la
questione proposta deve essere dichiarata manifestamente infondata;
che, quanto alla questione, concernente l’art. 56, comma primo,
del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), va rilevato che questo prevede
sanzioni penali la cui applicazione è preclusa al giudice
rimettente, onde deve essere dichiarata la manifesta inammissibilità
della questione per difetto di rilevanza;
che la questione di legittimità costituzionale, relativa al
“nuovo ordinamento sanzionatorio” recato dal titolo V del citato
d.P.R. n. 600 del 1973, sotto il profilo della violazione del c.d.
“principio della fissità” stabilito dall’art. 1, comma secondo,
della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali sulla repressione
della violazione delle leggi finanziarie), articolo peraltro abrogato
espressamente dall’art. 13 del D.L. 10 luglio 1982, n. 429,
convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1982, n. 516, è
manifestamente inammissibile, essendo stato assunto come parametro di
riferimento un principio non avente rango costituzionale;
che manifestamente inammissibile è anche la questione di
legittimità costituzionale degli artt. 47 e 55 del d.P.R. n. 600 del
1973, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, perché,
come già precisato nella narrativa, manca nell’ordinanza ad essa
ogni motivazione, essendosi limitato il giudice a quo a censurare
tali norme nel dispositivo con un mero riferimento ai parametri
costituzionali (artt. 76 e 77) invocati;
che anche la questione di legittimità costituzionale dell’art.
46, comma quarto, dello stesso d.P.R. n. 600, in riferimento agli
artt. 3 e 76 della Costituzione – sollevata sotto il profilo che la
norma denunciata riserverebbe identico trattamento sia per
l’omissione che per la infedele dichiarazione, quest’ultima resa
possibile da fattori di difficile determinazione a causa delle
incertezze della Amministrazione finanziaria nelle operazioni di
accertamento in ordine alla indeducibilità di spese, passività ed
oneri – è manifestamente infondata poiché le due fattispecie poste
a raffronto risultano invece sanzionate in modo diverso (cfr. art. 46
commi primo e quarto);
che, per quanto riguarda la questione, relativa allo stesso art.
46, comma quarto, cit., sollevata in riferimento all’art. 24 della
Costituzione, va chiarito che la normativa vigente consente al
contribuente la scelta tra due alternative, e cioè quella di
effettuare la dichiarazione e il conseguente versamento dell’imposta,
senza avvalersi della detrazione, chiedendo il rimborso delle somme
ritenute detraibili e quindi non dovute e con la conseguente
possibilità in caso di rifiuto di adire il giudice tributario,
oppure quella di operare direttamente le detrazioni e di difendersi
in giudizio, qualora esse vengano contestate dall’amministrazione,
sì che nel sistema non è ravvisabile la denunciata violazione del
diritto di difesa;.
Visti gli artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n.
87 e 9, comma secondo, delle Norme integrative per i giudizi davanti
la Corte costituzionale;
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 56, comma primo, del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di
accertamento delle imposte sui redditi) sollevata, in riferimento
agli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione dalla Commissione tributaria
di primo grado di Savona con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale del titolo V del d.P.R. 29 settembre
1973, n. 600, sollevata con la medesima ordinanza, in relazione
all’art. 1, comma secondo, della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme
generali sulla repressione delle violazioni delle leggi finanziarie);
3) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale degli artt. 47 e 55 del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 600, sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 77
della Costituzione, con la medesima ordinanza;
4) dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 10, comma secondo, n. 11, della
legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della
Repubblica per la riforma tributaria) sollevata, in riferimento
all’art. 76 della Costituzione, con la medesima ordinanza;
5) dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 46, comma quarto, del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 600, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e
76 della Costituzione, con la medesima ordinanza.
Così deciso in Roma, nella Sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 luglio 1989.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: CAIANIELLO
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 18 luglio 1989.
Il cancelliere: DI PAOLA