N. 416 del 1998
Data generale
16/12/1998
Data deposito/pubblicazione
16/12/1998
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/12/1998
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA,
prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo
MEZZANOTTE, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI,
prof. Annibale MARINI;
del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758 (Modificazioni alla
disciplina sanzionatoria in materia di lavoro), promossi con n. 18
ordinanze emesse il 5, il 19 e il 5 dicembre (n. 2 ordinanze), il 26
novembre, il 17, il 19 (n. 2 ordinanze), il 17 (n. 2 ordinanze) ed il
5 dicembre, il 6 novembre ed il 17 dicembre 1997, l’8 gennaio (n. 2
ordinanze), il 2 ed il 20 febbraio e l’8 aprile 1998 dal giudice per
le indagini preliminari della Pretura di Pistoia, rispettivamente
iscritte ai nn. da 114 a 123, da 137 a 141, 375, 376 e 493 del
registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 10, 11, 22 e 28, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Udito nella camera di consiglio dell’11 novembre 1998 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che con diciotto ordinanze di analogo tenore – pronunciate
in altrettanti procedimenti nei quali il pubblico ministero, in
mancanza di apposite prescrizioni impartite al contravventore
dall’organo di vigilanza, aveva chiesto l’emissione del decreto
penale di condanna – il giudice per le indagini preliminari della
Pretura circondariale di Pistoia ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del decreto
legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, nella parte in cui non prevede
l’obbligo dell’organo di vigilanza di ammettere obbligatoriamente il
contravventore al pagamento in sede amministrativa di una somma pari
al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la violazione anche
nel caso in cui non venga impartita alcuna prescrizione per la
materiale impossibilità della sua emanazione, in riferimento agli
artt. 3 e 76 della Costituzione in relazione all’art. 1, comma 1,
lettera b), della legge n. 499 del 1993 (Delega al Governo per la
riforma dell’apparato sanzionatorio in materia di lavoro);
che nella maggior parte delle ordinanze di rimessione il giudice
a quo precisa che l’organo di vigilanza aveva ritenuto di non
impartire alcuna prescrizione a norma dell’art. 20 del citato decreto
legislativo, in quanto si trattava di “reato già consumato e non
ottemperabile” mentre in altre ipotesi l’impossibilità di impartire
la prescrizione era stata ricollegata al tipo di violazione di natura
procedurale, per la quale non poteva essere adottato alcun
provvedimento atto a rimuovere la violazione contestata, ovvero a
reati nei cui confronti era comunque venuta meno la situazione
antigiuridica che aveva dato origine alla violazione contestata;
che, al riguardo, il rimettente rileva che nella fattispecie in
esame era materialmente impossibile per l’organo di vigilanza
impartire una prescrizione finalizzata all’eliminazione della
contravvenzione accertata, “trattandosi di reato istantaneo
caratterizzato da un’offesa del bene protetto che si perfeziona e si
esaurisce nel momento della commissione del fatto, senza protrarsi
nel tempo, sicché risulta ontologicamente impedita qualsiasi
possibilità di regolarizzazione e la conseguente emanazione di una
prescrizione non avrebbe alcuna utilità, in considerazione della
oggettiva impossibilità di ripristinare una situazione conforme a
diritto”;
che, ad avviso del giudice rimettente, la disciplina denunciata
si porrebbe in contrasto: con l’art. 3 Cost., in quanto farebbe
irragionevolmente dipendere la possibilità di definire in via
amministrativa il procedimento dalla natura della violazione, ossia
da un elemento estraneo alla volontà del contravventore, ovvero
dalla insindacabile discrezionalità dell’organo di vigilanza di
impartire la prescrizione, e determinerebbe disparità di trattamento
tra il contravventore a cui venga imposta una prescrizione che gli
consente di definire la violazione contestata avvalendosi della
procedura amministrativa prevista dalla legge, e il contravventore al
quale non venga impartita alcuna prescrizione, che si vedrebbe
preclusa la possibilità di definire in via amministrativa il
procedimento penale a suo carico, con l’art. 76 Cost., per violazione
della direttiva contenuta nell’art. 1, comma 1, lettera b), della
legge 6 dicembre 1993, n. 499, che delega il Governo a stabilire una
causa di estinzione dei reati in materia di tutela della sicurezza e
dell’igiene del lavoro “consistente nell’adempimento, entro un
termine non superiore al limite fissato dalla legge, alle
prescrizioni impartite dagli organi di vigilanza allo scopo di
eliminare la violazione accertata, nonché al pagamento in sede
amministrativa di una somma pari ad un quarto del massimo
dell’ammenda comminata per ciascuna infrazione” in quanto la
direttiva non lascia alcun margine di discrezionalità all’organo di
vigilanza, mentre nella disciplina emanata dal legislatore delegato
l’obbligatorietà della prescrizione risulta condizionata dalla
natura della violazione accertata.
Considerato che, stante il contenuto pressoché identico delle
diciotto ordinanze, deve essere disposta la riunione dei relativi
giudizi;
che le censure di legittimità costituzionale si basano
sull’erroneo presupposto che, ove si tratti di reato per cui sia
“ontologicamente” impossibile impartire qualsiasi prescrizione per
eliminare le conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione
accertata, la natura del reato costituisca elemento idoneo ad
incidere in termini di irragionevolezza e di ingiustificata
disparità di trattamento sulla disciplina del decreto legislativo n.
758 del 1994;
che l’obiettiva diversità della struttura dei diversi reati,
quale risulta dagli elementi costitutivi della fattispecie, e,
conseguentemente, il momento in cui si realizzano la commissione e la
consumazione del reato stesso, nonché la natura istantanea o
permanente del reato, appartengono a scelte del legislatore, che
nella costruzione delle fattispecie incriminatrici traduce le proprie
opzioni di politica criminale, ovvero sono imposte dalla stessa
natura degli obblighi e dei comportamenti di cui si vuole assicurare
l’osservanza mediante il ricorso alla sanzione penale;
che pertanto eventuali trattamenti differenziati risultano
giustificati dalla diversa struttura delle fattispecie
incriminatrici;
che sotto questo profilo non ha pregio neppure la censura
sollevata in riferimento all’art. 76 Cost., in quanto la disciplina
impugnata in realtà non riconosce alcuna “discrezionalità”
dell’organo di vigilanza: l’impossibilità di impartire la
prescrizione – secondo la prospettazione del rimettente – è infatti
una conseguenza obbligata della struttura della contravvenzione
contestata, sicché non può configurarsi alcun eccesso di delega da
parte del legislatore delegato;
che questa Corte, prendendo in esame con la sentenza n. 19 del
1998 la situazione del contravventore che aveva regolarizzato la
violazione prima che l’organo di vigilanza avesse impartito la
prescrizione, ovvero nonostante la prescrizione fosse stata omessa o
fosse stata impartita senza osservare le forme prescritte, aveva
precisato che esistono soluzioni interpretative tali da consentire
egualmente l’applicazione della causa estintiva del reato, idonee a
“ricondurre situazioni sostanzialmente omogenee a quelle
espressamente previste dalla legge nell’alveo della procedura
disciplinata dagli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo in
esame”;
che tale conclusione trova il suo fondamento nella ratio del
decreto legislativo n. 758 del 1994, che si propone il duplice
obiettivo di favorire l’effettiva osservanza delle misure di
prevenzione e di protezione in tema di sicurezza e di igiene del
lavoro – materia in cui l’interesse alla regolarizzazione delle
violazioni e alla conseguente tutela dei lavoratori è prevalente
rispetto all’applicazione della sanzione penale – e di attuare una
consistente deflazione processuale;
che, sulla base di tale ratio ove risultasse che le conseguenze
dannose o pericolose sono venute meno grazie ad un comportamento
volontario dell’autore dell’infrazione, o che il medesimo vi ha posto
comunque rimedio, anche successivamente al momento di consumazione
del reato, valutate la natura e le concrete modalità di
realizzazione della contravvenzione contestata, il contravventore
potrebbe comunque essere ammesso, previo pagamento della somma
dovuta, al procedimento di definizione in via amministrativa previsto
dagli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo n. 758 del 1994;
che pertanto la questione va dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara la manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del
decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758 (Modificazioni alla
disciplina sanzionatoria in materia di lavoro), sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, dal giudice per le
indagini preliminari della Pretura circondariale di Pistoia, con le
ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1998.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Neppi Modona
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 16 dicembre 1998.
Il direttore della cancelleria: Di Paola