Ordinanza N. 417 del 1989
Corte Costituzionale
Data generale
18/07/1989
Data deposito/pubblicazione
18/07/1989
Data dell'udienza in cui è stato assunto
06/07/1989
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO,
avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
penale in relazione all’art. 358 dello stesso codice, promosso con
ordinanza emessa il 10 novembre 1988 dal Giudice istruttore presso il
Tribunale di Bolzano nel procedimento penale a carico di Ortombina
Guglielmo, iscritta al n. 74 del registro ordinanze 1989 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale,
dell’anno 1989;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella Camera di consiglio del 14 giugno 1989 il Giudice
relatore Ettore Gallo;
Ritenuto che, con ordinanza 10 novembre 1988, il Giudice
istruttore presso il Tribunale di Bolzano sollevava questione di
legittimità costituzionale dell’art. 315 del codice penale, in
relazione all’art. 358 stesso codice, con riferimento all’art. 3
della Costituzione, nella parte in cui consente che il dipendente di
una società per la gestione di autostrade deve essere qualificato
come incaricato di pubblico servizio, così che il reato nella specie
commesso (attribuzione agli autoveicoli di categoria inferiore a
quella effettiva, allo scopo di incamerare a suo vantaggio la
differenza di pedaggio, o di favorire taluni conducenti) andrebbe
qualificato come malversazione, di competenza del Tribunale;
che, in precedenza, lo stesso Giudice istruttore, ritenendo
invece che nel fatto si dovesse configurare il delitto di
appropriazione indebita, aveva trasmesso gli atti al Pretore di
Bolzano per competenza;
che questi, però, aveva restituito gli atti stessi osservando
che, per costante giurisprudenza della Corte di Cassazione,
all’impiegato addetto alla riscossione del pedaggio doveva essere
appunto attribuita la qualifica di incaricato di pubblico servizio;
che, a seguito di ciò, il Giudice istruttore riteneva di
doversi adeguare alla detta giurisprudenza e di non dovere, perciò,
sollevare conflitto di competenza, ma opinava che il dipendente di
una società privata, che incassa pedaggi che rappresentano
corrispettivo di una prestazione che va ad esclusivo beneficio della
società, non possa rivestire la detta qualifica, anche perché gli
spetterebbe allora una tutela che non trova riscontro in una
particolare preparazione professionale o in particolari controlli;
che, semmai, la detta qualifica potrebbe spettare al dipendente
della società esclusivamente quando in concreto compie atti di
pubblico servizio, così come la stessa Corte di Cassazione ha
ritenuto per i dipendenti delle Banche d’interesse nazionale e della
Cassa di Risparmio;
che, pertanto, verrebbe a verificarsi disparità di trattamento
nell’ambito dei cittadini che svolgono analoghe attività, per cui
riteneva il giudice d’investire questa Corte della questione;
che interveniva nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato dall’Avvocatura Generale dello Stato, la
quale eccepiva preliminarmente l’inammissibilità della questione
perché il giudice a quo avrebbe dovuto previamente sollevare il
conflitto, proprio in quanto ha dato atto di un certo mutamento in
corso da parte della giurisprudenza della Cassazione, e comunque
chiedeva che la questione fosse dichiarata infondata, avendo il
servizio carattere pubblico ed essendo disciplinato in forma
pubblicistica;
Considerato che l’eccezione preliminare dell’Avvocatura dev’essere
respinta, avendo questa Corte in altra occasione deciso che,
sollevato il conflitto di competenza, il giudice non può più
avanzare questione di legittimità costituzionale nei confronti della
decisione della Corte di Cassazione che fa stato nel processo in
corso (vedi sentenza 609/88);
che, peraltro, il Giudice istruttore, a fronte di una
ultradecennale e pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione,
non ha espresso alcuna motivazione in ordine al prospettato suo
dissenso, limitandosi a considerazioni esteriori che non toccano la
sostanza del problema sollevato, che era quella di spiegare perché
mai il pedaggio rappresenti un corrispettivo che va a tutto vantaggio
della società, così come l’ordinanza di rimessione apoditticamente
afferma;
che, d’altra parte, il giudice ha dichiarato di volersi attenere
alla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, mentre, così
stando le cose, avrebbe potuto e dovuto dare egli stesso quella
diversa e motivata interpetrazione delle funzioni dell’impiegato de
quo che gli avrebbero consentito di pervenire alle conseguenze
giuridiche da lui auspicate;
che, in realtà, la norma denunziata non presenta alcun aspetto
d’illegittimità costituzionale, giacché si limita a configurare gli
elementi essenziali della fattispecie di “malversazione a danno di
privati” quale reato proprio del pubblico ufficiale o dell’incaricato
di un pubblico servizio;
che altrettanto deve dirsi dell’art. 358 codice penale,
dall’ordinanza richiamato, nel quale è data la nozione
dell’incaricato di un pubblico servizio, agli effetti della legge
penale, con riferimento sia al momento soggettivo che, appunto, al
pubblico servizio, che però non viene definito;
che tutto ciò dimostra come la soluzione del quesito proposto
non investa la legittimità costituzionale della disposizione
impugnata, ma piuttosto l’identificazione delle funzioni che
comportano, per loro natura, un pubblico servizio;
che, pertanto, non si tratta di interpetrare una norma in senso
conforme a Costituzione (anche nel qual caso, peraltro questa Corte
ha suggerito che competente sia sempre il giudice ordinario che
dovrà scegliere, attraverso un’interpetrazione adeguatrice, quella
compatibile con la Costituzione; vedi sentenza n. 171 del 1986),
sicché, vuoi per questa ragione, vuoi perché, comunque, l’ordinanza
è frutto – per quanto già si è rilevato più sopra – di
affermazioni apodittiche proprio sul punto concernente la natura di
quelle funzioni;
LA CORTE COSTITUZIONALE
Visti gli artt. 26, comma 2, legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9, comma
2, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte
Costituzionale;
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 315 codice penale, in relazione
all’art. 358, stesso codice, e con riferimento all’art. 3 della
Costituzione, sollevata dal Giudice istruttore presso il Tribunale di
Bolzano con ordinanza 10 novembre 1988.
Così deciso in Roma, nella Sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 luglio 1989.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: GALLO
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 18 luglio 1989.
Il cancelliere: DI PAOLA