Ordinanza N. 420 del 1993
Corte Costituzionale
Data generale
25/11/1993
Data deposito/pubblicazione
25/11/1993
Data dell'udienza in cui è stato assunto
05/11/1993
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof.
Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI;
comma, del d.P.R. 24 marzo 1981, n. 145, in relazione all’art. 21
dello stesso d.P.R. (Ordinamento dell’Azienda autonoma di assistenza
al volo per il traffico aereo generale), promosso con ordinanza
emessa il 15 ottobre 1992 dal Tribunale amministrativo regionale del
Lazio sul ricorso proposto da De Tullio Osvaldo ed altro contro la
Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri, iscritta al n. 200
del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 1993;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 6 ottobre 1993 il Giudice
relatore Mauro Ferri;
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha
sollevato – con ordinanza del 15 ottobre 1992, pervenuta a questa
Corte il 14 aprile 1993 – questione di legittimità costituzionale,
in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, dell’art. 17,
terzo comma, del d.P.R. 24 marzo 1981, n. 145, in relazione all’art.
21 dello stesso d.P.R., “nella parte in cui viene prevista la
possibilità che le funzioni di revisore dei conti presso l’Azienda
autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale vengano
prestate a titolo gratuito”;
che il remittente premette che, ai sensi della norma impugnata,
i revisori dei conti appartenenti ad amministrazioni dello Stato
(come i ricorrenti nel giudizio a quo) sono collocati fuori del ruolo
organico di appartenenza e percepiscono, in aggiunta alla normale
retribuzione, non già gli emolumenti pur previsti – mediante rinvio
ad apposito d.P.R. – dal primo comma dello stesso art. 17, ma
soltanto la eventuale differenza tra il trattamento goduto
nell’amministrazione di provenienza e quello spettante in base al
menzionato d.P.R., con la conseguenza che, quando il primo sia
superiore al secondo (come avviene nella fattispecie), i revisori
prestano la propria opera senza alcun compenso;
che, ad avviso del giudice a quo, tale disciplina viola i sopra
indicati parametri costituzionali in primo luogo per irrazionale
disparità di trattamento rispetto ad una serie di altre analoghe
fattispecie il cui regime normativo prevede (o comunque non esclude)
un compenso specifico per i membri di collegi di revisori dei conti,
pur se dipendenti di pubbliche amministrazioni collocati fuori ruolo;
che, in particolare, mentre appare evidente la discriminazione
con riferimento al regime previsto per il collegio dei revisori dei
conti della Cassa depositi e prestiti, la cui situazione è del tutto
speculare a quella in esame, anche in ordine ad altre fattispecie
richiamate (collegio dei revisori dell’Agenzia spaziale italiana,
dell’Agenzia per la promozione dello sviluppo del mezzogiorno, delle
Università degli studi, ecc.) la disparità di trattamento non è
giustificata, in quanto le stesse costituiscono espressione di un
principio normativo in base al quale all’impiegato pubblico collocato
fuori ruolo per adempiere a funzioni di revisione o controllo viene
riconosciuto (anche implicitamente) il diritto ad uno specifico
emolumento aggiuntivo rispetto al trattamento economico di
provenienza;
che, in secondo luogo, prosegue il remittente, è ravvisabile
una disparità di trattamento irrazionale anche all’interno del
collegio dei revisori in esame, in quanto, a causa del particolare
meccanismo previsto dalla norma impugnata, a parità di funzioni
svolte si vengono a privilegiare i membri che hanno un trattamento
economico di provenienza di importo inferiore;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, il quale ha eccepito l’inammissibilità della questione – in
quanto il remittente chiede una sentenza additiva invasiva della
discrezionalità del legislatore, con violazione nella specie, anche
dell’art. 81, quarto comma, della Costituzione -, concludendo, in
subordine, per l’infondatezza della medesima;
Considerato che l’eccezione sollevata dall’Avvocatura dello Stato
deve essere respinta, in quanto nella richiesta del giudice a quo –
tendente in sostanza ad ottenere che, attraverso l’eliminazione del
particolare meccanismo previsto dalla norma impugnata, il compenso
per l’opera svolta dai ricorrenti sia comunque corrisposto
integralmente – non si rinviene alcun motivo di inammissibilità,
risultando, d’altro canto, del tutto inconferente il riferimento
all’art. 81, quarto comma, della Costituzione;
che la questione si rivela chiaramente non fondata sotto
entrambi i profili prospettati;
che, invero, rispetto alle discipline richiamate dal remittente,
relative a collegi di revisori dei conti di altri enti, non può
ritenersi che il legislatore, nell’ambito della sua sfera di
discrezionalità, abbia introdotto nella fattispecie in esame
un’irragionevole disparità di trattamento, in quanto trattasi di
situazioni certamente non identiche e, d’altro canto, inidonee ad
integrare – contrariamente a quanto afferma il giudice a quo – un
asserito principio generale in materia, cui la norma impugnata
avrebbe ingiustificatamente derogato;
che, del resto, poiché la normativa in esame prevede in
astratto la corresponsione di un compenso, la censura si incentra
essenzialmente sul sistema di calcolo degli emolumenti, che
effettivamente può portare (come avviene per i ricorrenti nel
giudizio a quo) ad un azzeramento del compenso aggiuntivo qualora
l’ammontare della retribuzione percepita nell’amministrazione di
provenienza sia pari o superiore agli emolumenti spettanti in base al
d.P.R. cui rinvia il primo comma dell’art. 17 in questione;
che, tuttavia, tale meccanismo non determina alcuna irrazionale
disparità di trattamento all’interno del collegio, essendo
evidentemente ispirato – come riconosce lo stesso remittente –
proprio da un intento di perequazione del complessivo trattamento
economico dei componenti del collegio medesimo, i quali, essendo
collocati fuori ruolo, svolgono esclusivamente le eguali funzioni di
cui trattasi;
che, infine, quanto al riferimento all’art. 36 della
Costituzione, va ribadito il costante orientamento di questa Corte,
secondo cui il principio in esso affermato attiene alla retribuzione
considerata nel suo complesso e non alle singole componenti di questa
o alle prestazioni accessorie (cfr. sent. n. 314 del 1987);
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 17, terzo comma, del d.P.R. 24 marzo 1981,
n. 145 (Ordinamento dell’Azienda autonoma di assistenza al volo per
il traffico aereo generale), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e
36 della Costituzione, dal TAR del Lazio con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 novembre 1993.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: FERRI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 25 novembre 1993.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA