Ordinanza N. 421 del 1997
Corte Costituzionale
Data generale
18/12/1997
Data deposito/pubblicazione
18/12/1997
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1997
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa l’8
gennaio 1997 dal pretore di Roma, sezione distaccata di Frascati, nel
procedimento penale a carico di Grossi Giuliana, iscritta al n. 85
del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 1997;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 29 ottobre 1997 il giudice
relatore Guido Neppi Modona;
Ritenuto che il pretore di Roma, sezione distaccata di Frascati, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 96 e
seguenti del codice di procedura penale, assumendo che il complesso
normativo in questione, prevedendo per l’imputato l’assistenza
obbligatoria ad opera di un difensore abilitato all’esercizio della
professione forense, sarebbe in contrasto con l’art. 10 della
Costituzione, in relazione all’art. 6, lettera c), della Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (adottata a Strasburgo il 4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,
n. 848), e con l’art. 24 della Costituzione;
che ad avviso del rimettente l’art. 6, lettera c), della predetta
Convenzione, nel prevedere che ciascun imputato abbia diritto a
difendersi personalmente o con l’assistenza di difensore di sua
scelta, implica il riconoscimento del diritto dell’imputato a
difendersi anche solo personalmente;
che, parimenti, secondo il giudice a quo, l’art. 24 della
Costituzione, nell’affermare il principio che tutti possono agire in
giudizio a difesa dei propri diritti e interessi legittimi e che la
difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento,
non subordina l’esercizio di tale diritto alla necessaria assistenza
dell’imputato ad opera di un difensore abilitato;
che si è costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;
che l’Avvocatura, richiamate le pronunce della Corte
costituzionale con le quali è stata dichiarata l’illegittimità
costituzionale delle disposizioni che limitavano l’obbligo di
nominare un difensore di ufficio all’imputato sprovvisto di difensore
di fiducia, rileva che la difesa tecnica, oltre ad essere un diritto
costituzionalmente protetto, è nella gran parte dei casi una
necessità;
che inoltre, secondo l’Avvocatura, le disposizioni della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, avendo valore
di legge ordinaria, non possono porsi come parametri di
costituzionalità, né essere invocate nell’ambito di operatività
dell’art. 10 della Costituzione;
che, comunque, il diritto alla difesa personale costituisce la
“regola minima” per un giusto processo e che il sistema processuale
vigente, nel garantire congiuntamente la difesa tecnica e
l’autodifesa, non si porrebbe in contrasto con i principi affermati
dalla Convenzione, ma ne costituirebbe la massima realizzazione;
Considerato che questa Corte ha già dichiarato l’infondatezza di
analoghe censure mosse alla corrispondente disciplina del diritto di
difesa contenuta nel codice di procedura penale del 1930, in
relazione agli stessi parametri costituzionali evocati dal
ricorrente;
che in particolare, in relazione all’art. 24 della Costituzione,
la Corte ha rilevato che la presenza del difensore “risponde
all’aspirazione a fondare l’intero processo penale sopra un effettivo
contraddittorio tra accusa e difesa” e che “nessuno ha mai dubitato o
dubita che alla specifica capacità professionale del pubblico
ministero fosse e sia ragionevole contrapporre quella di un soggetto
di pari qualificazione che affianchi ed assista l’imputato” (sentenza
n. 125 del 1979);
che su un diverso terreno rispetto alla difesa tecnica si colloca
il parallelo diritto all’autodifesa, operante nell’ambito del
principio del contraddittorio, con riferimento ad un “complesso di
attività, mediante le quali l’imputato, come protagonista del
processo penale, ha facoltà di eccitarne lo sviluppo dialettico
contribuendo all’acquisizione delle prove ed al controllo di
legalità del suo svolgimento” (sentenza n. 186 del 1973), sì che,
sotto questo profilo, ai fini del rispetto dell’art. 24, secondo
comma, della Costituzione, rileva che all’imputato sia garantita la
possibilità di intervenire in ogni stato e grado del procedimento
(sentenze n. 280 del 1985 e n. 9 del 1982);
che, d’altro canto, “l’imposizione all’imputato di un difensore,
persino suo malgrado, mira ad assicurargli quelle cognizioni tecnico
giuridiche, quell’esperienza processuale e quella distaccata
serenità, che gli consentono di valutare adeguatamente le situazioni
di causa, in guisa da tutelare la sua più ampia libertà di
determinazione nella scelta delle iniziative e dei comportamenti
processuali” (sentenza n. 498 del 1989);
che, per quanto concerne la censura sollevata in relazione
all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo, con riferimento all’art. 10 della Costituzione, va
ribadito che il richiamo alle “norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute” ai fini dell’adeguamento del diritto
interno si riferisce soltanto alle norme internazionali di natura
consuetudinaria e non a quelle di natura pattizia (vedi ex plurimis
sentenze nn. 288 del 1997, 15 e 146 del 1996);
che, comunque, la disposizione di cui all’art. 6, numero 3,
lettera c) della Convenzione, concorrendo alla definizione del
“giusto processo”, fondato, tra l’altro, sulla parità delle armi, va
interpretata nel senso che, “il diritto all’autodifesa non è
assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato interessato ad emanare
disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai
tribunali” (sentenza n. 188 del 1980);
che a maggior ragione nel codice di procedura penale vigente,
ispirato ai principi del sistema accusatorio, le norme che assicurano
la difesa tecnica sono funzionali alla realizzazione di un “giusto
processo”, garantendo l’effettività di un contraddittorio più
equilibrato e una più sostanziale parità delle armi tra accusa e
difesa;
che la questione deve essere pertanto dichiarata manifestamente
infondata in relazione ad entrambi i parametri evocati;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale degli artt. 96 e seguenti del codice di procedura
penale, sollevata, in riferimento agli artt. 10 e 24 della
Costituzione, dal pretore di Roma, sezione distaccata di Frascati,
con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Neppi Modona
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 18 dicembre 1997.
Il direttore della cancelleria: Di Paola