Ordinanza N. 425 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
27/12/1996
Data deposito/pubblicazione
27/12/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1996
Presidente:, dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA;
penale, promosso con ordinanza emessa il 4 dicembre 1995 dalla Corte
di appello di Cagliari nel procedimento penale a carico di Altea
Corrado, iscritta al n. 114 del registro ordinanze 1996 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale,
dell’anno 1996;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio dell’11 dicembre 1996 il giudice
relatore Giuliano Vassalli;
Ritenuto che la Corte di appello di Cagliari ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 337 del codice
penale nella parte in cui prevede la pena minima di sei mesi di
reclusione;
che a tal proposito il giudice a quo, nel richiamare i principi
posti a fondamento della sentenza n. 341 del 1994, rileva come il
minimo edittale previsto dalla norma oggetto di impugnativa non
risulti più adeguato alle mutate concezioni del rapporto tra
cittadino e pubblica amministrazione, sicché, pur se idoneo a
tutelare il principio di autorità, non consente di proporzionare la
sanzione ai fatti di minima gravità;
che pertanto risulterebbe nella specie compromesso il principio
di uguaglianza, avuto riguardo al diverso trattamento sanzionatorio
previsto per i reati di percosse o di partecipazione a rissa, ove non
è sancito alcun minimo edittale, e di riflesso violato anche il
precetto sancito dall’art. 27, terzo comma, della Costituzione, in
quanto la maggiore e non giustificata severità imposta dalla legge
può “influire negativamente sul principio costituzionale di
rieducazione del condannato, scopo principale del legislatore
penale”;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
Considerato che nessuna delle considerazioni svolte in tema di
oltraggio nella sentenza n. 341 del 1994 può ritenersi pertinente
alla fattispecie oggetto di impugnativa, giacché, come la
giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di ribadire anche di
recente (Cass., Sez. VI, 19 settembre 1996, n. 1178), a differenza di
quanto si verifica nel delitto di oltraggio, nel reato di resistenza
non viene in preminente considerazione il diritto personale del
cittadino investito di pubblica funzione al rispetto della propria
dignità e libertà privata, bensì il diritto-dovere della stessa
pubblica amministrazione di non subire intralci nell’assolvimento dei
suoi compiti, sicché il maggior livello della sanzione minima non è
rivolto a punire la violazione di una privilegiata posizione
personale connessa ad una ormai tramontata configurazione dei
rapporti tra pubblici ufficiali e cittadini, ma la maggior offesa
arrecata alla pubblica amministrazione da una condotta volta ad
impedire con violenza o minaccia l’attuazione della sua volontà;
che d’altra parte, e come questa Corte ha avuto modo di
evidenziare in riferimento alla analoga fattispecie prevista
dall’art. 336 cod.pen., ove venisse accolto il petitum inteso a
caducare il minimo edittalmente previsto dall’art. 337 dello stesso
codice, si assimilerebbe, sotto questo aspetto, il relativo
trattamento sanzionatorio a quelloora stabilito per il delitto di
oltraggio, in aperto contrasto con la stessa tradizione codicistica,
doverosamente attenta a rimarcare la maggior lesività che presenta
una sia pur “minima” violenza o minaccia ad un pubblico ufficiale
rispetto ad una parimenti “minima” offesa al suo onore e prestigio
(v. sentenza n. 314 del 1995);
che, pertanto, la questione proposta deve essere dichiarata
manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 337 del codice penale, sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dalla
Corte di appello di Cagliari con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1996.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Vassalli
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola