Ordinanza N. 436 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1996
Data deposito/pubblicazione
30/12/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1996
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA;
18, comma 2 e 29, comma 2, del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 109
(Attuazione delle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti
l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti
alimentari), promosso con ordinanza emessa il 15 aprile 1996 dal
pretore di Udine nel procedimento penale a carico di Pucar Milenco ed
altro, iscritta al n. 626 del registro ordinanze 1996 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie
speciale, dell’anno 1996;
Udito nella camera di consiglio dell’11 dicembre 1996 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky;
Ritenuto che, nel corso di un procedimento penale a carico di due
soggetti, imputati della contravvenzione di cui all’art. 13 della
legge 30 aprile 1962, n. 283 – per avere, nella qualità di legali
rappresentanti di ditte commerciali, posto in vendita e pubblicizzato
yogurt con la denominazione di “biologico”, in modo da indurre in
errore gli acquirenti circa la natura, la sostanza e la qualità del
prodotto – il pretore di Udine, con ordinanza del 15 aprile 1996, ha
sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione
di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, 18, comma 2, e
29, comma 2, del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 109 (Attuazione delle
direttive 89/395/ CEE e 89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la
presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari), “nella parte
in cui abrogano parzialmente l’art. 13 della legge 30 aprile 1962, n.
283, in contrasto con l’art. 2, punto d) (recte: primo comma, lettera
d)), della legge 29 dicembre 1990, n. 428”;
che, accertata la materialità dei fatti contestati, il giudice a
quo dubita della vigenza della norma incriminatrice (art. 13 cit.),
dal momento che il decreto legislativo n. 109 del 1992 avrebbe
introdotto una fattispecie di illecito amministrativo (artt. 2, comma
1, e 18, comma 2) che appare quasi perfettamente sovrapponibile alla
fattispecie sanzionata penalmente dall’art. 13 in esame, mentre ha
abrogato tutte le disposizioni precedentemente vigenti in materia di
etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari
(art. 29, comma 2), con la conseguenza che il contestato reato
dovrebbe essere ormai depenalizzato;
che pertanto le norme impugnate, avendo determinato
l’abrogazione implicita per incompatibilità della fattispecie
contravvenzionale di cui all’art. 13 della legge n. 283 del 1962, si
porrebbero in contrasto con l’art. 76 della Costituzione, perché
inosservanti della legge 29 dicembre 1990, n. 428 che, nel conferire
delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie, all’art.
2, comma 1, lettera d), autorizza l’introduzione di sanzioni
amministrative e penali, fatte comunque salve le norme penali
vigenti, tra le quali va ricompreso anche l’art. 13 della legge del
1962;
Considerato che la stessa questione, riferita agli artt. 18, comma
2, e 29, secondo comma del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 109, è stata
già esaminata da questa Corte e ritenuta inammissibile con la
sentenza n. 356 del 1996, in primo luogo perché alla ricostruzione
normativa effettuata dal giudice rimettente “è possibile
contrapporne un’altra che conduce ad esiti opposti e cioè alla
perdurante vigenza della norma penale … con argomenti almeno
altrettanto plausibili”, essendo ipotizzabile un concorso tra
illeciti (penale e amministrativo) con il cumulo delle sanzioni;
che, d’altra parte, è possibile sostenere che la clausola di
salvaguardia con cui si apre l’art. 18 (“Salvo che il fatto
costituisca reato”) si riferisce “non solo alle ipotesi indicate al
primo comma, ma a tutte quelle previste in tale articolo” (di cui è
impugnato solo il secondo comma), rispondendo inoltre tale
interpretazione ai principi della delega;
che anche l’art. 9 della legge n. 689 del 1981, dopo aver
affermato al primo comma il principio di specialità nella
concorrenza tra disposizioni penali e disposizioni che prevedono
sanzioni amministrative, al terzo comma fa salve le norme penali
della legge n. 283 del 1962, tra cui l’art. 13;
che, pertanto, è ingiustificata la richiesta pronuncia di
incostituzionalità, quando è possibile dare delle norme denunciate
una interpretazione secundum constitutionem, risolvendosi altrimenti
la questione di legittimità costituzionale in “un improprio
tentativo di ottenere dalla Corte costituzionale l’avallo a favore di
una interpretazione contro un’altra interpretazione”, attività
questa rimessa al giudice che deve applicare le norme;
che le medesime considerazioni valgono anche in relazione
all’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 109 del 1992, che è
un’altra delle norme ora impugnate (mentre non formava oggetto della
questione di legittimità costituzionale decisa con la ricordata
sentenza n. 356 del 1996), e ciò in quanto essa è norma meramente
definitoria della fattispecie di illecito punita con sanzione
amministrativa;
che, in conclusione, la questione è manifestamente
inammissibile;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, 18, comma 2 e 29,
comma 2, del d. lgs. 27 gennaio 1992, n. 109 (Attuazione delle
direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la
presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari), sollevata,
in riferimento all’articolo 76 della Costituzione e in relazione
all’articolo 2, primo comma, lettera d), della legge 29 dicembre
1990, n. 428, dal pretore di Udine con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1996.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Zagrebelsky
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola