Ordinanza N. 437 del 1989
Corte Costituzionale
Data generale
25/07/1989
Data deposito/pubblicazione
25/07/1989
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/07/1989
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO,
avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
della legge 7 agosto 1982, n. 516 (Conversione in legge, con
modificaizoni, del D.L. 10 luglio 1982, n. 429, recante norme per la
repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul
valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in
materia tributaria. Delega al Presidente della Repubblica per la
concessione di amnistia per reati tributari), promosso con:
1) ordinanza emessa il 27 dicembre 1988 dal Tribunale di Torino
nel procedimento penale a carico di Alvaro Franco ed altra, iscritta
al n. 79 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno
1989;
2) ordinanza emessa il 29 dicembre 1988 dal Tribunale di Torino
nel procedimento penale a carico di Delogu Antonio, iscritta al n. 80
del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 9, prima serie speciale dell’anno 1989;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 14 giugno 1989 il Giudice
relatore Vincenzo Caianiello;
Ritenuto che nel corso di due procedimenti penali entrambi
concernenti l’accertamento del reato di cui all’art. 1, sesto comma,
del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione
della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia
tributaria) convertito in legge 7 agosto 1982, n. 516, che sanziona
la mancata tenuta o conservazione delle scritture contabili
(obbligatorie ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta sul
valore aggiunto), il Tribunale di Torino con due identiche ordinanze
(r.o. nn. 79 e 80 del 1989), ha sollevato questione di legittimità
costituzionale della norma incriminatrice, in riferimento all’art. 3
della Costituzione;
che la disposizione impugnata viene censurata nella parte in
cui, punendo la mancata annotazione nelle scritture contabili –
obbligatorie ai fini dell’imposta sul valore aggiunto – anche degli
atti di acquisto (fatture ricevute) indipendentemente da una soglia
quantitativa di punibilità, determinerebbe un’ingiustificata
disparità di trattamento rispetto a quanto prevede invece il secondo
comma, n. 1 (rectius n. 2) della medesima disposizione che sanziona
penalmente l’omessa annotazione degli atti di cessione (fatture
emesse) solo quando il loro ammontare complessivo superi i 50 milioni
di lire, e la percentuale del 2% dei corrispettivi risultanti
dall’ultima dichiarazione presentata;
che non si sono costituite le parti mentre in entrambi i giudizi
è intervenuta l’Avvocatura Generale dello Stato sostenendo che la
determinazione di una soglia quantitativa di punibilità risulterebbe
superflua nei confronti di una norma che, correttamente interpretata,
non consente di punire ogni singola omissione di annotazione, ma
bensì soltanto quelle idonee ad assicurare, nel loro insieme, una
visione complessiva sufficientemente illuminante circa i volumi di
acquisti, di affari e di ricavi del soggetto passivo di imposta;
che, inoltre, ad avviso dell’interveniente, le situazioni poste
a raffronto non sarebbero omogenee e pertanto la previsione di un
trattamento sanzionatorio autonomo e separato, per la omessa
annotazione degli atti di acquisto, costituirebbe espressione non
irragionevole della discrezionalità legislativa;
Considerato che i giudizi vanno riuniti per la loro identità
oggettiva;
che la norma impugnata non esclude interpretazioni tali da
lasciare al giudice di merito un certo margine di apprezzamento nel
limitarne l’applicazione a quelle sole fattispecie omissive che, per
entità e natura, siano effettivamente in grado di ledere la funzione
stessa della scrittura, preordinata alla ricostruzione della
situazione patrimoniale e del giro di affari del contribuente;
che pertanto, sotto tale aspetto, la mancata previsione in
astratto di una soglia di punibilità, non comportando l’automatica e
necessaria incriminazione di fattispecie oculi inoffensive, non
appare di per sé irragionevole e ciò in conformità a quanto già
affermato da questa Corte nella sentenza n. 62 del 1986, non essendo
il legislatore obbligato a prevedere in ogni norma la soglia del
penalmente rilevante, e potendo invece tale limite essere individuato
in via interpretativa dal giudice di merito in base al principio di
offensività, che costituisce ormai un canone unanimemente accettato
(punto 5 della motivazione);
che per quanto attiene alla lamentata disparità di trattamento
rispetto alla disciplina sanzionatoria prevista per la omessa
annotazione delle cessioni di beni (art. 1, secondo comma, n. 2
decreto legge n. 429 del 1982) non può che ribadirsi quanto già
costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte e cioè
che le scelte discrezionali del legislatore in materia di sanzioni
penali non sono sindacabili nel giudizio di costituzionalità salvo
il limite della ragionevolezza (v. da ultimo ord. n. 376 del 1989);
che tale limite in relazione alle fattispecie poste a raffronto
dal giudice a quo, non risulta violato, trattandosi di norme che
perseguono finalità diverse, specie sotto il profilo degli eventuali
controlli incrociati, e che sanzionano comportamenti fra loro non
omogenei rispetto al pericolo di un’evasione fiscale;
che pertanto la questione va dichiarata manifestamente
inammissibile;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi dinanzi
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara la manifesta inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, ultimo comma,
del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione
della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia
tributaria) convertito con modificazioni in legge 7 agosto 1982, n.
516 sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal
Tribunale di Torino con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1989.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: CAIANIELLO
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 25 luglio 1989.
Il cancelliere: DI PAOLA