Ordinanza N. 438 del 1997
Corte Costituzionale
Data generale
23/12/1997
Data deposito/pubblicazione
23/12/1997
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1997
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
comma, della legge 7 agosto 1982, n. 516 (Norme per la repressione
della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia
tributaria), e dell’art. 21, terzo comma, della legge 7 gennaio 1929,
n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi
finanziarie), promosso con ordinanza emessa il 21 giugno 1996 dal
Tribunale di Pesaro, nel procedimento penale a carico di Pedinelli
Alberto, iscritta al n. 1177 del registro ordinanze 1996 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie
speciale, dell’anno 1996.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 1 ottobre 1997 il giudice
relatore Guido Neppi Modona;
Ritenuto che il Tribunale di Pesaro, investito della decisione
sulla richiesta delle parti di applicazione della pena ex art. 444
cod. proc. pen., ha sollevato d’ufficio questione di legittimità
costituzionale degli artt. 11, secondo comma, della legge 7 agosto
1982, n. 516, e 21, terzo comma, della legge 7 gennaio 1929, n. 4, in
riferimento agli artt. 25, primo comma, 97 e 76 della Costituzione;
che il giudice rimettente rileva che la determinazione della
competenza territoriale per i reati tributari con riferimento al
luogo dell’accertamento del reato, a lungo identificato mediante il
criterio legale del luogo in cui è stato redatto il processo verbale
di constatazione, era coerente con un sistema caratterizzato dalla
pregiudiziale tributaria e da un regime unico di accertamento
dell’illecito fiscale, sia di carattere amministrativo che penale,
nonché dalla tendenziale connotazione del reato tributario come
evasione di imposta, a prescindere dalle condotte materiali poste in
essere per raggiungere tale risultato;
che – malgrado le profonde modifiche subite da tale sistema a
seguito dell’abolizione della pregiudiziale tributaria e della
tendenza ad attribuire autonomia al reato fiscale rispetto
all’illecito amministrativo abbiano fatto venire meno le ragioni che
giustificavano la coincidenza tra luogo dell’accertamento tributario
e luogo dell’accertamento penale – la legge n. 516 del 1982 ha
mantenuto immutato il tradizionale criterio di determinazione della
competenza territoriale;
che tale disarmonia, ad avviso del rimettente, ha indotto la
giurisprudenza della Cassazione ad enucleare un nuovo criterio di
determinazione della competenza territoriale, sostituendo
all’accertamento “tributario formale” l’accertamento “penale
sostanziale”, individuato nel luogo “dove il reato è stato scoperto
nella sua materialità, raccogliendo… prove di consistenza tale da
legittimare la formale elevazione di una imputazione”;
che il giudice rimettente rileva che nel caso di specie risulta
dal capo di imputazione che i reati sono stati accertati in Ancona, e
che pertanto egli dovrebbe dichiararsi incompetente, in applicazione
del criterio di determinazione della competenza territoriale definito
dalla giurisprudenza di legittimità;
che lo stesso giudice rimettente rileva anche che dal fascicolo
del pubblico ministero emerge che i reati sono stati accertati,
almeno in parte, all’esito di una verifica fiscale operata presso la
sede dell’impresa del prevenuto in San Costanzo (Pesaro) e che
comunque le condotte ascritte all’imputato si collocano tutte
nell’ambito territoriale del Tribunale di Pesaro;
che ad avviso del rimettente “il luogo di accertamento emerge
dunque dagli atti in modo dubbio e contraddittorio, sicché, sempre
ai fini della competenza, l’esame degli atti andrebbe approfondito
per chiarire, per ogni singolo reato, il luogo in cui sono state
acquisite le prove, come vuole l’odierno insegnamento della
Cassazione”, con la conseguenza che il giudice competente potrebbe
risultare “diversamente definito applicando le norme comuni sulla
competenza territoriale”;
che l'”incertezza” e la conseguente “dubbia validità operativa”
del criterio di accertamento del luogo di commissione del reato
tributario elaborato dall’ormai consolidata giurisprudenza di
legittimità si porrebbero in contrasto:
con l’art. 25, primo comma, della Costituzione, in quanto la
competenza territoriale risulterebbe determinata unicamente dallo
sviluppo delle indagini e, quindi, dalle attività svolte dalla
polizia giudiziaria e dal pubblico ministero, ovvero dallo stesso
denunciante in possesso di prove decisive o dall’imputato in caso di
autodenuncia fondata su prove assolutamente esaurienti;
con l’art. 97, primo comma, della Costituzione, perché il luogo
di accertamento del reato così determinato si porrebbe in conflitto
con le esigenze probatorie che necessariamente si localizzano nel
luogo di commissione del reato;
con l’art. 76 della Costituzione, in riferimento ai punti 13, 14
e 15 dell’art. 2 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, per
violazione del principio che vuole esclusa ogni discrezionalità
nella determinazione del giudice competente, con particolare riguardo
alle ipotesi di connessione probatoria;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, che ha concluso sostenendo in via principale
l’inammissibilità della questione, per avere il giudice rimettente
omesso di accertare se in concreto la normativa denunciata avrebbe
comportato l’individuazione di un giudice diverso da quello naturale,
e in subordine la sua infondatezza.
Considerato che, a prescindere da ogni valutazione sul merito della
questione, le considerazioni svolte dal rimettente per dimostrarne la
rilevanza appaiono carenti e contraddittorie: dalla stessa ordinanza
di rimessione risulta che dapprima il giudice, sulla base
dell’indicazione contenuta nei capi di imputazione, (“accertato in
Ancona”) ritiene che la competenza territoriale sembrerebbe spettare
all’autorità giudiziaria di Ancona, ma poco dopo precisa che dal
fascicolo del pubblico ministero emerge con chiarezza che i reati
sono stati accertati a seguito di una verifica fiscale operata nel
circondario del Tribunale di Pesaro e che comunque tutte le condotte
si sono realizzate nell’ambito territoriale del predetto Tribunale;
che, di fronte a questi dubbi e alla contraddittorietà tra capo
di imputazione e dati emergenti dal fascicolo del pubblico ministero
circa il luogo di accertamento dei reati, lo stesso giudice
rimettente precisa che sarebbe necessario approfondire l’esame degli
atti per chiarire, per ogni singolo reato, il luogo di acquisizione
delle prove, alla luce del criterio interpretativo a suo dire
adottato dalla Cassazione;
che in tale contesto non è affatto scontata la conclusione, cui
perviene il rimettente in punto rilevanza, che il giudice competente
verrebbe diversamente definito applicando le norme comuni sulla
competenza territoriale: da un lato, infatti, il rimettente precisa
che le condotte ascritte all’imputato “si collocano tutte nell’ambito
territoriale di questo Tribunale” e che i reati sono stati “almeno in
parte” accertati nel circondario del Tribunale di Pesaro, per cui,
quale che sia il criterio adottato per determinare la competenza,
risulterebbe comunque competente tale tribunale; dall’altro, avendo
il rimettente omesso di approfondire per ogni singolo reato il luogo
in cui sono state acquisite le prove, è impossibile stabilire se la
competenza territoriale, definita alla stregua dell’interpretazione
della Cassazione denunciata di illegittimità, spetterebbe
effettivamente ad un organo giurisdizionale diverso dal Tribunale di
Pesaro;
che, infine, il giudice rimettente ha omesso di verificare se
l’indicazione di Ancona come luogo di accertamento dei reati,
contenuta nel capo di imputazione, non sia eventualmente frutto di
una mera inesattezza, come tale non incidente sulla valutazione del
giudice in ordine alla sua competenza territoriale;
che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente
inammissibile per difetto e contraddittorietà di motivazione sulla
rilevanza.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale degli artt. 11, secondo comma, della
legge 7 agosto 1982, n. 516 (Norme per la repressione della evasione
in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per
agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria), e 21,
terzo comma, della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la
repressione delle violazioni delle leggi finanziarie), in riferimento
agli artt. 25, primo comma, 76 e 97, primo comma, della Costituzione,
sollevata dal Tribunale di Pesaro, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Neppi Modona
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1997.
Il direttore della cancelleria: Di Paola