Ordinanza N. 440 del 1997
Corte Costituzionale
Data generale
23/12/1997
Data deposito/pubblicazione
23/12/1997
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1997
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 6 febbraio 1997
dalla Corte d’assise di Catanzaro, nel procedimento penale a carico
di Zaccaro Antonio, iscritta al n. 277 del registro ordinanze 1997 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima
serie speciale, dell’anno 1997.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 26 novembre 1997 il giudice
relatore Guido Neppi Modona;
Ritenuto che la Corte di assise di Catanzaro ha sollevato questione
di legittimità costituzionale dell’articolo 299 del codice di
procedura penale, con riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e
111 della Costituzione, “anche in relazione all’art. 13 Cost.”, nella
parte in cui – in caso di istanza de libertate (nella specie,
sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere)
proposta nella fase degli atti preliminari del dibattimento o,
comunque, quando l’istruzione dibattimentale non è ancora ovvero è
appena iniziata, e si palesa l’assoluta necessità di acquisire piena
cognizione delle concrete modalità della condotta oggetto
dell’imputazione – non prevede una sospensione della decisione,
analoga a quella contemplata dal comma 4-ter della stessa
disposizione, sino al termine della istruzione dibattimentale,
ovvero, in via alternativa, non consente che il giudice possa
acquisire gli atti contenuti nel fascicolo di cui all’art. 433 cod.
proc. pen;
che il giudice rimettente lamenta:
con riferimento al principio di eguaglianza, che la norma
censurata determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento
tra gli imputati il cui processo pende nella fase degli atti
preliminari al dibattimento, ovvero quando l’istruzione
dibattimentale non è ancora o è appena iniziata, riguardo ai quali
il giudice dispone unicamente degli atti elencati negli artt. 431 e
432 cod. proc. pen., e i soggetti sottoposti ad indagini preliminari,
nonché gli imputati in fasi successive alla conclusione
dell’istruzione dibattimentale, nei cui confronti il giudice
competente a decidere conosce gli atti su cui si fonda la misura
cautelare, ovvero ha ormai acquisito piena cognizione della vicenda
processuale;
in relazione all’art. 24, secondo comma, Cost., che la
disciplina censurata, non consentendo al giudice di avere piena e
concreta cognizione degli elementi di fatto indispensabili per
giungere ad una decisione in merito alla vicenda cautelare e per
potere verificare la fondatezza delle ragioni addotte a sostegno
dell’istanza difensiva de libertate, determinerebbe una irreparabile
compressione del diritto di difesa in tema di tutela della libertà
personale;
con riguardo all’art. 111, primo comma, Cost., che l’obbligo di
motivazione, ribadito dall’art. 13, secondo comma, della Costituzione
con particolare riferimento ai provvedimenti in tema di libertà
personale, risulterebbe compromesso in radice dall’impossibilità di
utilizzare per la decisione le risultanze già acquisite e conosciute
nell’ambito dello stesso procedimento;
che nell’ordinanza si precisa che le censure di legittimità
trovano il loro presupposto nell’impossibilità di aderire ad un
isolato precedente della Corte di cassazione, che aveva ritenuto
ammissibile l’acquisizione da parte del giudice del fascicolo del
pubblico ministero ai fini della decisione de libertate: a parere del
rimettente, infatti, da un lato l’art. 299, comma 4-ter cod. proc.
pen. consente al giudice, quando non è in grado di decidere allo
stato degli atti, di disporre esclusivamente accertamenti sulle
condizioni di salute o su altre condizioni o qualità personali
dell’imputato; dall’altro, sul terreno sistematico, le acquisizioni
da parte del giudice del dibattimento di atti della fase delle
indagini preliminari sono improntate al criterio della tassatività e
non possono essere estese in via interpretativa;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, che ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza della
questione, in quanto il rimettente avrebbe dovuto adeguarsi
all’interpretazione conforme alla Costituzione seguita dalla Corte di
cassazione nella pronuncia dallo stesso menzionata;
Considerato che la questione di legittimità costituzionale, nei
termini prospettati dal rimettente, sembrerebbe involgere profili
attinenti al sistema delineato dal codice di procedura penale in
ordine ai rapporti tra le fasi del procedimento e alle diverse regole
probatorie su cui esse sono impostate;
che in realtà la questione, pur sollevata dal rimettente con
specifico riferimento al giudice investito di una istanza de
libertate negli atti preliminari al dibattimento, si estende a tutte
le ipotesi in cui il giudice sia chiamato nel corso del procedimento
a pronunciarsi ex art. 299 cod. proc. pen. sulla revoca o
sostituzione di misure cautelari personali;
che essa investe il generale problema delle conoscenze
utilizzabili dal giudice ai fini delle decisioni de libertate anche a
prescindere dal principio della distinzione fra le fasi processuali e
dal conseguente regime del “doppio fascicolo”;
che, infatti, contrariamente a quanto dedotto dal giudice a quo,
anche per la fase delle indagini preliminari, prima che sia
introdotta l’udienza preliminare, manca una esplicita norma che
abiliti il giudice investito di una richiesta di revoca o
sostituzione di una misura ad accedere agli atti di indagine,
configurandosi, sotto questo aspetto, una situazione analoga a quella
prospettata dal rimettente in relazione alla fase degli atti
preliminari al dibattimento;
che, per consentire al giudice di decidere su simili istanze con
cognizione di causa, il legislatore, con l’art. 13 della legge 8
agosto 1995, n. 332, ha introdotto nell’art. 299 cod. proc. pen. il
comma 3-ter, a norma del quale il giudice, “valutati gli elementi
addotti per la revoca o la sostituzione delle misure, prima di
provvedere può assumere l’interrogatorio della persona sottoposta
alle indagini” e, se “l’istanza di revoca o di sostituzione è basata
su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati, il
giudice deve assumere l’interrogatorio dell’imputato che ne ha fatto
richiesta”;
che il rimettente non prende in alcuna considerazione tale
disposizione e le sue ricadute applicative sulla fattispecie
processuale in esame, il che configura un evidente difetto di
motivazione circa la rilevanza della questione;
che comunque le soluzioni volte a definire il potere del giudice
di acquisire conoscenze nei procedimenti incidentali de libertate in
quanto finalizzate ad assicurare l’adozione di provvedimenti che
motivatamente incidano sulla libertà personale, comportano scelte
non costituzionalmente vincolate, e quindi riservate alla
discrezionalità del legislatore;
che, infatti, accanto alle soluzioni prospettate dal rimettente
(che vorrebbe estendere all’ipotesi in esame la possibilità di
sospensione della decisione disciplinata dall’art. 299, comma 4-ter
cod. proc. pen., ovvero consentire al giudice di acquisire gli atti
del fascicolo del pubblico ministero), altre possono essere
individuate in via interpretativa (v. ordinanza n. 200 del 1991) e
altre ancora potrebbero essere prefigurate de jure condendo (v.
sentenza n. 51 del 1997);
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente
inammissibile;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 299 del codice di procedura
penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e
111 della Costituzione, dalla Corte di assise di Catanzaro, con
l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Neppi Modona
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1997.
Il direttore della cancelleria: Di Paola