Ordinanza N. 445 del 1998
Corte Costituzionale
Data generale
23/12/1998
Data deposito/pubblicazione
23/12/1998
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/12/1998
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, avv. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA,
prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, avv. Fernanda
CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI,
prof. Annibale MARINI;
del codice di procedura penale come modificato dalla legge 7 agosto
1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura
penale in tema di valutazione delle prove), promossi con ordinanze
emesse il 1 dicembre 1997 dal tribunale di Pistoia, il 24 ottobre
1997 dal tribunale di Milano, il 17 dicembre 1997 dal tribunale di
Verbania, il 19 dicembre 1997 dal tribunale di Monza, il 19 marzo
1998 dalla Corte di assise di Agrigento, il 14 novembre 1997 dalla
Corte di assise di Modena, il 1 aprile 1998 dal tribunale di Roma, il
16 aprile 1998 dal tribunale di Frosinone ed il 1 giugno 1998 dal
tribunale di Napoli, rispettivamente iscritte ai nn. 3, 92, 219, 310,
343, 352, 389, 442 e 729 del registro ordinanze 1998 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 4, 9, 14, 18, 20, 21,
23, 25 e 41, prima serie speciale, dell’anno 1998;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 10 dicembre 1998 il giudice
relatore Guido Neppi Modona;
Ritenuto che il tribunale di Pistoia (r.o. n. 3 del 1998), il
tribunale di Milano (r.o. n. 92 del 1998), il tribunale di Verbania
(r.o. n. 219 del 1998), il tribunale di Monza (r.o. n. 310 del
1998), la Corte di assise di Agrigento (r.o. n. 343 del 1998), la
Corte di assise di Modena (r.o. n. 352 del 1998), il tribunale di
Roma (r.o. n. 389 del 1998), il tribunale di Frosinone (r.o. n. 442
del 1998) e tribunale di Napoli (r.o. n. 729 del 1998) hanno
sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 27, primo comma,
101, 102, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 513, comma 2, del codice di procedura
penale, come modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica
delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di
valutazione delle prove), nella parte in cui subordina all’accordo
delle parti l’utilizzabilità ai fini della decisione delle
dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari
dall’imputato in procedimento connesso che si avvalga in dibattimento
della facoltà di non rispondere;
che, in particolare, il tribunale di Monza, la Corte di assise di
Modena e il tribunale di Roma impugnano, congiuntamente all’art.
513, comma 2, cod. proc. pen., l’art. 6 della legge n. 267 del 1997
(il tribunale di Roma con specifico riguardo ai commi 2 e 5 di tale
disposizione e in “combinato disposto” con il nuovo art. 513, comma
2, cod. proc. pen.), nella parte in cui non prevede che nei processi
nei quali alla data di entrata in vigore della legge sia già stato
emesso il decreto che dispone il giudizio continui a trovare
applicazione la disciplina previgente, e dunque nella parte in cui
non prevede che il giudice, nel caso in cui l’imputato in
procedimento connesso, sentito per la prima volta dopo l’entrata in
vigore della legge, si avvalga della facoltà di non rispondere,
possa acquisire le dichiarazioni rese nel corso delle indagini anche
senza l’accordo delle parti;
che analoga questione, avente ad oggetto l’immediata
applicabilità della nuova normativa ai procedimenti in corso al
momento della entrata in vigore della legge, è stata prospettata, in
riferimento agli artt. 3, 101 e 112 Cost., dal tribunale di Napoli
(r.o. n. 729 del 1998), sia pure con impugnazione formalmente
indirizzata al solo art. 513 cod. proc. pen. novellato;
che tutte le questioni (compresa quella prospettata dal tribunale
di Napoli, che impugna genericamente l’intero testo dell’art. 513
cod. proc. pen.) sono state sollevate nel corso di dibattimenti nei
quali alcuni imputati in procedimenti connessi, citati per la prima
volta dopo l’entrata in vigore della legge n. 267 del 1997, si sono
avvalsi della facoltà di non rispondere, e le parti non hanno
prestato il consenso alla utilizzazione delle dichiarazioni rese in
precedenza;
che secondo i rimettenti la norma impugnata sarebbe in contrasto
con l’art. 3 della Costituzione per la irragionevole diversità della
disciplina riservata alle dichiarazioni rese nel corso delle indagini
dall’imputato in procedimento connesso che in dibattimento si avvalga
della facoltà di non rispondere, le quali, pur essendo
oggettivamente e imprevedibilmente irripetibili, non sono
utilizzabili in mancanza dell’accordo delle parti, rispetto:
a) alla disciplina delle dichiarazioni rese in precedenza
dall’imputato in procedimento connesso del quale non è possibile
ottenere la presenza per fatti o circostanze imprevedibili, che
secondo quanto disposto dall’art. 513, comma 2, prima parte, cod.
proc. pen. possono invece essere utilizzate ai sensi dell’art. 512
cod. proc. pen. (r.o. nn. 219, 343 e 442 del 1998, nonché r.o. n. 3
del 1998 sotto il profilo della intrinseca irragionevolezza della
norma impugnata);
b) alla disciplina prevista per le dichiarazioni rese
dall’imputato in procedimento connesso che decida di sottoporsi
all’esame dibattimentale, le quali possono essere utilizzate ai sensi
dell’art. 503, comma 5, cod. proc. pen., previo ricorso al meccanismo
delle contestazioni (r.o. n. 343 del 1998);
c) alla disciplina riservata alle dichiarazioni testimoniali
rese nel corso delle indagini preliminari, delle quali è previsto il
“recupero” in dibattimento ai sensi degli artt. 511-bis 512 e 512-bis
cod. proc. pen., in particolare se divenute irripetibili nella fase
del giudizio “per cause naturali” ovvero in conseguenza
dell’esercizio del diritto di astenersi dal rispondere del prossimo
congiunto, e comunque utilizzabili ai fini della decisione previo
ricorso al meccanismo delle constestazioni previsto dall’art. 500
cod. proc. pen. (r.o. nn. 3 e 343 del 1998, con particolare
riferimento alle ipotesi contemplate nei commi 4 e 5 dell’art. 500
cod. proc. pen. e al controllo del giudice sulla presenza di
eventuali forme di intimidazione che possano aver determinato il
rifiuto di rispondere, nonché r.o. nn. 219 e 729 del 1998);
che i rimettenti lamentano inoltre che la norma impugnata,
vietando l’acquisizione di quanto legittimamente acquisito prima del
dibattimento in mancanza dell’accordo delle parti, deroga
irragionevolmente al principio di non dispersione della prova e
impedisce al giudice di pervenire ad una decisione giusta, così
sacrificando l’esercizio della funzione giurisdizionale, il cui fine
è quello della ricerca della verità, con conseguente lesione degli
artt. 3 e 27, primo comma, della Costituzione (r.o. n. 3 del 1998,
secondo cui il principio di conservazione delle prove è “immanente
al canone della responsabilità penale, che il giudice è chiamato ad
accertare”), degli artt. 3, 25 e 101, secondo comma, della
Costituzione (r.o. n. 92 del 1998), degli artt. 3, 24, 25 e 101,
secondo comma, della Costituzione (r.o. n. 219 del 1998, nella
quale, in riferimento all’art. 24 Cost., si denuncia anche la lesione
del diritto di difesa dell’imputato che per il mancato accordo delle
parti non possa ottenere l’acquisizione di dichiarazioni a lui
favorevoli), degli artt. 3, 101, secondo comma, e 111 della
Costituzione (r.o. n. 343 del 1998), dell’art. 3 della Costituzione
per intrinseca irragionevolezza (r.o. n. 442 del 1998);
che analoghe censure, connesse alla asserita violazione del
principio di non dispersione della prova, sono rivolte alla
disciplina transitoria contenuta nell’art. 6 della legge n. 267 del
1997 dal tribunale di Monza (in riferimento agli artt. 3, 25, 101,
111 e 112 Cost.), dalla Corte di assise di Modena (in riferimento
agli artt. 3, 24, 111 e 112 Cost.), dal tribunale di Roma (in
riferimento al solo art. 3 Cost.), nonché dal tribunale di Napoli
(in riferimento agli artt. 3, 101 e 112 Cost.), le cui censure, pur
formalmente indirizzate al nuovo art. 513 cod. proc. pen., investono
in realtà la disciplina transitoria per la dedotta possibile
vanificazione dei risultati acquisiti nel corso delle indagini prima
dell’entrata in vigore della legge;
che, infine, secondo i rimettenti l’art. 513, comma 2, cod. proc.
pen., condizionando alla volontà delle parti l’ingresso delle
dichiarazioni rese in precedenza fra il materiale probatorio
sottoposto alla valutazione del giudice, introduce un principio
dispositivo in materia probatoria che viola i principi di
uguaglianza, legalità, esercizio dell’azione penale, funzione
conoscitiva del processo, indefettibilità della giurisdizione, in
contrasto con gli artt. 3 e 27, primo comma, della Costituzione (r.o.
n. 3 del 1998), con gli artt. 101, secondo comma, e 112 della
Costituzione (r.o. n. 92 del 1998), con gli artt. 2, 3, 24, 101, 102,
111 e 112 della Costituzione (r.o. n. 343 del 1998), con gli artt.
101, secondo comma, e 112 della Costituzione (r.o. n. 442 del 1998);
che nei giudizi di legittimità costituzionale promossi con le
ordinanze iscritte ai nn. 3, 92, 219, 310, 343, 442 e 729 del r.o.
del 1998 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
riportandosi integralmente, stante l’analogia delle questioni, al
contenuto dell’atto di intervento relativo ai giudizi di
costituzionalità promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 776 e 787
del r.o. del 1997, già decisi con sentenza n. 361 del 1998, nonché,
per il solo giudizio di legittimità promosso con ordinanza iscritta
al n. 219 del r.o. del 1998, anche all’atto di intervento relativo
alla questione sollevata dal tribunale di Lecco con ordinanza del 1
dicembre 1997, fissata per la camera di consiglio del 10 febbraio
1999;
che nel giudizio promosso con l’ordinanza iscritta al n. 389 del
r.o. del 1998 l’Avvocatura ha depositato atto di intervento chiedendo
che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata,
riportandosi al contenuto dell’atto di intervento relativo al
giudizio di costituzionalità promosso con l’ordinanza iscritta al n.
153 del r.o. del 1998, anch’esso già deciso con sentenza n. 361 del
1998;
Considerato che tutte le ordinanze di rimessione, muovendo dal
quadro normativo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 7
agosto 1997, n. 267, sottopongono a censura il regime di
inutilizzabilità ai fini della decisione, in mancanza dell’accordo
delle parti, delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini
preliminari dall’imputato in procedimento connesso che si avvalga in
dibattimento della facoltà di non rispondere;
che i giudizi, attesa la sostanziale identità delle questioni,
vanno riuniti;
che, successivamente alla emissione delle ordinanze, questa
Corte, con sentenza n. 361 del 1998, ha inciso sul predetto quadro
normativo, dichiarando la illegittimità costituzionale, tra l’altro,
dell’art. 513, comma 2, ultimo periodo, del codice di procedura
penale “nella parte in cui non prevede che, qualora il dichiarante
rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti
concernenti la responsabilità di altri già oggetto delle sue
precedenti dichiarazioni, in mancanza dell’accordo delle parti alla
lettura si applica l’art. 500, commi 2-bis e 4, del codice di
procedura penale”;
che, con riguardo alle ordinanze che investono specificamente
anche la disciplina transitoria (r.o. n. 310, 352, 389 e 729 del
1998), la citata sentenza n. 361 del 1998, nel disporre la
restituzione degli atti relativi a questioni che avevano impugnato la
medesima normativa, ha affermato che doveva essere valutato dai
giudici a quibus se le questioni potessero considerarsi superate a
seguito della modifica della disciplina a regime, “che ora permette
di recuperare mediante il sistema delle contestazioni i singoli
contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza”;
che pertanto occorre restituire gli atti ai giudici rimettenti
affinché verifichino se, alla luce della nuova disciplina
applicabile a seguito della sentenza n. 361 del 1998, le questioni
sollevate siano tuttora rilevanti;
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, ordina la restituzione degli atti al tribunale
di Pistoia, al tribunale di Milano, al tribunale di Verbania, al
tribunale di Monza, alla Corte di assise di Agrigento, alla Corte di
assise di Modena, al Tribunale di Roma, al tribunale di Frosinone e
al tribunale di Napoli.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1998.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Neppi Modona
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1998
Il direttore della cancelleria: Di Paola