Ordinanza N. 477 del 1994
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1994
Data deposito/pubblicazione
30/12/1994
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/12/1994
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof.
Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare
RUPERTO;
di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 22 febbraio
1994 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
Tolmezzo nel procedimento penale a carico di Pellegrini Afri
Giovanni, iscritta al n. 339 del registro ordinanze 1994 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie
speciale, dell’anno 1994;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 23 novembre 1994 il Giudice
relatore Ugo Spagnoli.
Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Tolmezzo ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’art. 335 del codice di procedura penale, “nella
parte in cui non prevede, qualora il pubblico ministero non iscriva
immediatamente la notizia di reato, che sia comunque applicabile la
disciplina degli artt. 406 e 407 c.p.p. dell’inutilizzabilità degli
atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine, da
computarsi, questo ultimo, dalla data di ricezione della notizia di
reato e non dall’iscrizione nel relativo registro”;
che ad avviso del remittente tale norma contrasterebbe:
a) con l’art. 3 della Costituzione, per “la situazione
deteriore e l’ingiusta disparità di trattamento che viene ( ..) a
subire l’indagato rispetto alla situazione tipica prevista dalla
legge”;
b) con l’art. 76 della Costituzione, non essendosi rispettata
la previsione dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, implicitamente
richiamata dall’art. 2 (alinea) della legge-delega 16 febbraio 1987,
n. 81, che assicura ad ogni persona che la sua causa sia esaminata in
un tempo ragionevole da parte di un organo giurisdizionale;
c) con l’art. 112 della Costituzione, in quanto il principio
dell’obbligatorietà dell’azione penale dovrebbe intendersi
funzionale sia al corretto esercizio dell’attività giudiziaria sia
all’uguaglianza di trattamento dei cittadini davanti alla legge, il
che implicherebbe certezza sulle condizioni e sui tempi di esercizio
dell’azione penale medesima;
che in punto di fatto il giudice a quo espone:
– che il procedimento penale, condotto secondo le regole del
previgente codice di rito, si era in un primo tempo concluso con
decreto del giudice istruttore in data 5 novembre 1985 “di non
doversi promuovere l’azione penale perché non erano emerse ipotesi
di reato”;
– che in data 20 febbraio 1986 il Procuratore della Repubblica
“chiedeva al giudice istruttore di revocare il decreto di
impromovibilità dell’azione penale e di procedere con il rito
formale” a carico dell’imputato;
– che in data 20 aprile 1990 il giudice istruttore, ritenuto
che non sussistesse alcuna delle ipotesi previste dall’art. 242 disp.
trans. cod. proc. pen. , trasmetteva il fascicolo al Procuratore
della Repubblica perché il procedimento proseguisse secondo il nuovo
rito;
– che il pubblico ministero iscriveva la notizia nominativa di
reato l’8 settembre 1992 e, all’esito di indagini preliminari, dopo
aver richiesto e ottenuto in data 15 marzo 1993 una proroga del
termine, chiedeva in data 7 maggio 1993 il rinvio a giudizio
dell’imputato;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, concludendo per la infondatezza della questione.
Considerato che, secondo quanto esposto nell’ordinanza, il
procedimento a quo, in corso alla data del 24 ottobre 1989, risulta
regolato dalla disciplina transitoria, e in particolare dall’art. 258
del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione,
di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), in
forza del quale, tra l’altro, per i procedimenti in corso che
proseguono con l’osservanza delle disposizioni del nuovo codice, i
termini di durata delle indagini preliminari “sono computati dalla
data di entrata in vigore del codice” (comma 3);
che pertanto, in base a tale disciplina, espressamente
derogativa di quella “a regime”, non trova applicazione la regola per
la quale i termini di durata delle indagini preliminari (artt.
405-407 cod. proc. pen. ) decorrono “dalla data in cui il nome della
persona alla quale è attribuito il reato è iscritto nel registro
delle notizie di reato” (art. 405 comma 2 cod. proc. pen. );
che, conseguentemente, essendo nella specie del tutto
irrilevante, ai fini della decorrenza dei termini di durata delle
indagini preliminari, il momento di iscrizione della notizia di reato
nel registro ex art. 335 cod. proc. pen. , la questione deve essere
dichiarata manifestamente inammissibile, non dovendo il giudice a quo
fare applicazione della norma impugnata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale;
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 335 del codice di procedura
penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 76 e 112 della
Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Tolmezzo con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1994.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: SPAGNOLI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1994.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA