Ordinanza N. 479 del 1991
Corte Costituzionale
Data generale
19/12/1991
Data deposito/pubblicazione
19/12/1991
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1991
Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE,
prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,
prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
comma, del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa
il 18 marzo 1991 dal Tribunale di Bologna nel procedimento penale a
carico di Amato Antonino ed altri, iscritta al n. 402 del registro
ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 23, prima serie speciale, dell’anno 1991;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 20 novembre 1991 il Giudice
relatore Mauro Ferri;
Ritenuto che il Tribunale di Bologna, adito – ai sensi degli artt.
304, terzo comma, e 310 del codice di procedura penale – in sede di
appello avverso l’ordinanza con cui la locale Corte d’assise aveva
disposto la sospensione dei termini di durata massima della custodia
cautelare ex art. 304, secondo comma, del codice di procedura penale,
ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 304,
quarto comma, del medesimo codice, il quale fissa in due terzi del
massimo della pena prevista per il reato contestato o ritenuto in
sentenza la durata insuperabile della custodia cautelare, tenuto
conto anche delle sospensioni dei termini eventualmente disposte ai
sensi dei commi precedenti dello stesso articolo;
che, ad avviso del remittente, la norma impugnata viola gli
artt. 76, 77 e 13, quinto comma, della Costituzione, “in entrambe le
interpretazioni possibili dell’art. 2, punto 61, della legge n.
81/8/7”;
che, in particolare, il giudice a quo osserva che, se la legge
di delega, al punto 61, con la frase “previsione che in ogni caso la
durata massima della custodia in carcere, tenuto conto anche di tutte
le proroghe, non possa superare i quattro anni, sino alla sentenza
definitiva”, intendesse riferirsi anche alla durata della custodia
tenuto conto della sospensione dei termini di durata massima delle
misure cautelari, l’art. 304, quarto comma, del codice di procedura
penale sarebbe incostituzionale per violazione della norma delegante;
che se invece, prosegue il remittente, la legge di delega avesse
fissato soltanto il termine ultimo di custodia tenendo conto delle
proroghe senza nulla prevedere in riferimento alle sospensioni dello
stesso termine, la norma delegante (art. 2, punto 61, legge n. 81/87)
“potrebbe ritenersi viziata per violazione del combinato disposto
degli
artt. 13, quinto comma, e 76, della Costituzione, non avendo il
legislatore delegante fornito principi e criteri direttivi idonei a
stabilire per legge i limiti massimi della carcerazione preventiva”;
e pur avendo il legislatore delegato introdotto tale limite con
l’art. 304, quarto comma, del codice di procedura penale, “permane
dubbia la legittimità costituzionale di questa norma in
considerazione del termine massimo, determinato in misura (anni 20)
tale da rischiare di vanificare di fatto la previsione costituzionale
dell’art. 13, quinto comma, ed in considerazione della carenza di
criteri direttivi in proposito nella legge delega”;
che la questione è, infine, ritenuta rilevante in quanto “il
presente procedimento verte proprio sulla legittimità del
provvedimento che ha dato applicazione alla norma della cui
legittimità si dubita”;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile
(per contraddittorietà e perplessità di motivazione) o comunque
infondata.
Considerato che il giudice a quo è stato adito dalla difesa degli
imputati, ai sensi degli artt. 304, terzo comma, e 310 del codice di
procedura penale, quale giudice di appello avverso l’ordinanza della
locale corte d’assise, con cui è stata disposta, ex art. 304,
secondo e terzo comma, la sospensione dei termini di durata massima
della custodia cautelare durante il tempo in cui si terranno le
udienze e si delibererà la sentenza;
che il giudizio a quo verte, pertanto, esclusivamente sulla
legittimità di tale provvedimento in relazione ai requisiti indicati
nel citato art. 304, secondo comma, del codice di procedura penale;
che, ciò posto, appare evidente la irrilevanza della proposta
questione di legittimità costituzionale dell’art. 304, quarto comma,
del codice di procedura penale (che fissa il termine massimo
insuperabile di durata della custodia cautelare, comprese le
eventuali sospensioni del termine stesso), in quanto non si comprende
quale nesso di pregiudizialità necessaria tale questione presenti ai
fini della decisione demandata al remittente; né, del resto, la
motivazione dell’ordinanza di rimessione fornisce alcun chiarimento
al riguardo, ed anzi conferma indirettamente quanto ora detto là
dove, in punto di rilevanza, il giudice a quo, con affermazione
chiaramente erronea, dichiara che “il presente procedimento verte
proprio sulla legittimità del provvedimento che ha dato applicazione
alla norma della cui legittimità si dubita”;
che, in conclusione, la questione va dichiarata manifestamente
inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 304, quarto comma, del codice
di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 13, quinto
comma, 76 e 77 della Costituzione, dal Tribunale di Bologna con
l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1991.
Il presidente: CORASANITI
Il redattore: FERRI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 19 dicembre 1991.
Il direttore della cancelleria: MINELLI