Ordinanza N. 5 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
30/01/2002
Data deposito/pubblicazione
30/01/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/01/2002
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per
la stabilizzazione e lo sviluppo), promossi con ordinanze emesse il
24 maggio 2000 e il 14 giugno 2000 dal Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, iscritte al n. 673 del registro ordinanze 2000 e
al n. 101 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica – 1ª serie speciale – n. 46 dell’anno 2000
e n. 7 dell’anno 2001.
Visto l’atto di costituzione di Laura Liverani, nonché gli atti
d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2001 il giudice
relatore Franco Bile.
Ritenuto che con l’ordinanza iscritta al n. 673 r.o. del 2000,
pronunciata il 24 maggio 2000 e pervenuta alla Corte il 4 ottobre
2000, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato,
secondo il tenore del dispositivo, la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 26, commi 4 e 5, della legge 23 dicembre
1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo
sviluppo), per contrasto con gli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione,
mentre nella motivazione ha prospettato e argomentato la questione
con riferimento all’art. 1, comma 5, della legge 10 ottobre 1996,
n. 525 (Norme in materia di personale amministrativo del Ministero di
grazia e giustizia e delle magistrature speciali);
che l’ordinanza è stata resa nel corso di un giudizio
introdotto da oltre duemila dipendenti del Ministero della giustizia,
i quali – premesso di avere diritto all’indennità giudiziaria
istituita dalla legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il
personale di magistratura), in forza dell’estensione operata dalla
legge 22 giugno 1988, n. 221 (Provvedimenti a favore del personale
delle cancellerie e segreterie giudiziarie); di avere inoltre
ottenuto dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio il
riconoscimento sulle relative somme della rivalutazione triennale
prevista da tale legge e la conseguente condanna dell’amministrazione
a corrispondere quanto dovuto con interessi e rivalutazione; e di
essere infine soggetti all’applicazione della sopravvenuta legge
n. 525 del 1996, che ha escluso, all’art. 1, comma 5, la
corresponsione di interessi e rivalutazione sulle somme stesse, anche
se riconosciute con sentenza passata in giudicato – chiedevano la
condanna del Ministero alla corresponsione di tali accessori,
prospettando l’illegittimità costituzionale del citato art. 1,
comma 5;
che – secondo quanto riferisce il giudice rimettente – i
ricorrenti, nel motivare su quest’ultimo punto, richiamavano
l’ordinanza con cui lo stesso Tribunale amministrativo regionale
Lazio aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 26, commi 4 e 5, della legge n. 448 del 1998 (che aveva
negato la corresponsione degli accessori sulle somme dovute per
effetto del reinquadramento di cui alla legge 11 luglio 1980, n. 312,
sul nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e
militare dello Stato), adducendo trattarsi di questione assolutamente
analoga;
che, in conseguenza, ad avviso del rimettente, la questione
di legittimità costituzionale sollevata dai ricorrenti dovrebbe
ritenersi non manifestamente infondata “anche in adesione alle
argomentazioni poste a base” della suddetta ordinanza relativa
all’art. 26 della legge n. 448 del 1998;
che la motivazione dell’ordinanza in epigrafe si conclude
affermando che il giudizio deve essere sospeso “in attesa della
soluzione da parte della Corte costituzionale della sollevata
questione di legittimità costituzionale della norma dell’art. 1,
comma 5 della legge n. 525/1996 in relazione agli artt. 3, 36, primo
comma e 97, primo comma, della Costituzione”, mentre il suo
dispositivo, dopo avere ritenuto rilevante e non manifestamente
infondata “la questione, come sopra indicata” ordina la trasmissione
del fascicolo alla Corte “per la soluzione della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 26, commi 4 e 5, della legge
n. 448 del 1998 per contrasto con gli artt. 3, 36 e 97 Cost.”;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
tramite l’Avvocatura generale dello Stato, depositando memoria, nella
quale, osservato che le disposizioni impugnate sarebbero l’art. 1,
comma 5, della legge n. 525 del 1996 e l’art. 26, commi 4 e 5, della
legge n. 448 del 1998, rileva l’infondatezza della questione
proposta, riferendola al citato art. 26;
che si sono costituiti i ricorrenti nel giudizio a quo,
depositando memoria e sostenendo che la questione proposta dal
Tribunale amministrativo regionale – come si evincerebbe dalla parte
motiva dell’ordinanza – concernerebbe l’art. 1, comma 5, della legge
n. 525 del 1996, essendo frutto di mero errore materiale
l’indicazione nel dispositivo, come norma impugnata, dell’art. 26,
commi 4 e 5, della legge n. 448 del 1998, e che così individuata
essa sarebbe fondata;
che, nell’imminenza della camera di consiglio, le parti
ricorrenti del giudizio a quo hanno depositato memoria illustrativa,
insistendo per l’accoglimento della questione;
che con l’ordinanza iscritta al n. 101 r.o. del 2001,
pronunciata il 14 giugno 2000 e pervenuta alla Corte il 24 gennaio
2001, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, commi 4 e 5,
della legge n. 448 del 1998;
che l’ordinanza è stata resa nel corso di un giudizio
introdotto da alcuni dipendenti dell’Avvocatura generale dello Stato
nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri, per
ottenere il riconoscimento di interessi e rivalutazione monetaria su
quanto loro corrisposto per effetto della legge n. 312 del 1980, che
(modificando l’ordinamento dei dipendenti civili dello Stato) ha
previsto un sistema fondato sulle qualifiche professionali;
che in pendenza di tale giudizio è intervenuto l’art. 26,
commi 4 e 5, della legge n. 448 del 1998, che, definendosi norma di
interpretazione autentica, ha stabilito che le somme corrisposte per
effetto dell’inquadramento nelle nuove qualifiche professionali non
danno luogo ad interessi e rivalutazione monetaria;
che il rimettente – il quale aveva già sollevato la stessa
questione di legittimità costituzionale con altra ordinanza –
“ritiene di aderire alle argomentazioni poste a base” di essa,
ravvisando contrasto con l’art. 3, primo comma, della Costituzione
per lesione del principio di parità di trattamento tra cittadini in
relazione “alla particolare fattispecie relativa alla corresponsione
degli interessi e della rivalutazione monetaria dei crediti di
lavoro, qualora liquidi ed esigibili”; con l’art. 36 della
Costituzione per lesione del principio di proporzionalità tra
retribuzione e prestazione lavorativa, in ragione della natura
retributiva delle somme dovute per l’inquadramento; e con l’art. 97
Cost., in quanto la norma consentirebbe alla pubblica amministrazione
di eludere l’obbligo di ristorare i dipendenti del ritardo nel
pagamento;
che anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, depositando memoria, con la quale ha fatto
integrale rinvio alle difese svolte nel giudizio introdotto dalla
precedente ordinanza ed ha sostenuto l’inammissibilità e comunque la
manifesta infondatezza della questione.
Considerato che – poiché tanto l’ordinanza n. 673 del 2000
(seppure soltanto nel dispositivo) quanto l’ordinanza n. 101 del 2001
denunciano l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, commi 4 e 5,
della legge n. 448 del 1998 – i due giudizi possono essere riuniti;
che la questione proposta dall’ordinanza n. 673 del 2000 è
manifestamente inammissibile;
che infatti tale ordinanza, mentre nel dispositivo censura
espressamente l’art. 26, commi 4 e 5, della legge n. 448 del 1998,
nella motivazione riferisce invece la questione di legittimità
costituzionale all’art. 1 comma 5, della legge n. 525 del 1996 e
considera la norma menzionata in dispositivo soltanto come oggetto di
una (diversa) questione di costituzionalità sollevata dallo stesso
giudice con altra ordinanza, la cui motivazione sarebbe idonea a
sostenere la questione relativa al citato art. 1, comma 5;
che il radicale contrasto fra le due parti del provvedimento
non può essere superato privilegiando l’una rispetto all’altra, in
quanto nella struttura dell’ordinanza di rimessione, come in ogni
ordinanza, la motivazione ed il dispositivo assolvono a distinte e
specifiche funzioni, mirando l’una ad indicare le ragioni per cui la
questione di legittimità costituzionale sollevata in via incidentale
è ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, ed il secondo
ad individuare formalmente l’oggetto della questione in modo
corrispondente a quelle ragioni;
che pertanto l’ordinanza, in violazione del principio di
autosufficienza del provvedimento di rimessione, è affetta da un
radicale difetto di motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta
infondatezza della questione come individuata in dispositivo, con
conseguente manifesta inammissibilità;
che la questione sollevata dall’ordinanza n. 101 del 2001 è
manifestamente inammissibile, in quanto la norma da essa denunciata
è stata dichiarata illegittima con la sentenza di questa Corte
n. 136 del 2001, onde non è più in vigore.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
avanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 26, commi 4 e 5, della legge
23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la
stabilizzazione e lo sviluppo), sollevata, rispettivamente, in
riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione ed in
riferimento agli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 97, primo
comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del
Lazio, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Bile
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 30 gennaio 2002.
Il direttore della cancelleria: Di Paola