Ordinanza N. 507 del 1989
Corte Costituzionale
Data generale
15/11/1989
Data deposito/pubblicazione
15/11/1989
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/10/1989
Presidente: prof. Giovanni CONSO;
Giudici: prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL’ANDRO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.
Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
e secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di
prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e
per la pubblica moralità), e successive modificazioni, promosso con
ordinanza emessa il 9 dicembre 1988 dal Tribunale di Roma nel
procedimento penale a carico di Natti Roberto, iscritta al n. 209 del
registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 1989;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 4 ottobre 1989 il Giudice
relatore Giovanni Conso;
Ritenuto che – nel corso del procedimento penale a carico di Natti
Roberto, imputato del delitto di cui all’art. 9, secondo comma, della
legge 27 dicembre 1956, n. 1423, perché, essendogli stata applicata,
con decreto del Tribunale di Roma del 12 dicembre 1979, la misura di
prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel
comune di Cisternino, ometteva, una volta scarcerato dalla Casa
circondariale di Roma, di presentarsi presso la locale questura “per
la prescritta elezione di domicilio, funzionale all’avvio del
soggiorno obbligato” – il Tribunale di Roma, con ordinanza del 9
dicembre 1988, ha sollevato:
a) in riferimento all’art. 25, secondo comma, della
Costituzione, questione di legittimità dell’art. 9, primo e secondo
comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, quale modificato
dall’art. 12 della legge 13 settembre 1982, n. 646, perché – con lo
stabilire che “Il contravventore agli obblighi inerenti alla
sorveglianza speciale è punito con l’arresto da tre mesi a un anno”
(primo comma) e che “Se l’inosservanza riguarda la sorveglianza
speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno, si applica la
reclusione da due a cinque anni” (secondo comma) – “configura una
fattispecie criminosa i cui elementi di identificazione non sono
predeterminati dalla legge ma sono rimessi al potere discrezionale
del giudice in misura esorbitante dal suo normale compito di
interpretazione”, nonché dell’art. 7 della stessa legge 27 dicembre
1956, n. 1423, in quanto – con lo stabilire che “Il provvedimento di
applicazione delle misure di prevenzione… è comunicato al questore
per l’esecuzione”, così concorrendo “a qualificare la fattispecie
criminosa prevista dal citato art. 9” “ne amplifica i caratteri di
genericità ed incertezza, incorrendo nello stesso vizio di
illegittimità costituzionale”;
b) in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di
legittimità “del citato art. 9, perché punisce irragionevolmente
comportamenti che non sono invece sanzionati per soggetti che versano
in condizioni analoghe in quanto sottoposti a misure di prevenzione
ispirate ad identica ratio”, con conseguente disparità di
trattamento “tra le condotte punibili del soggiornante obbligato
“semplice” e del soggiornante “mafioso”, per il quale l’art. 5 della
legge 31 maggio 1965, n. 575, prevede la punizione (con pena identica
a quella prevista dall’art. 9, 2° comma) soltanto in caso di
“allontanamento abusivo dal comune di soggiorno obbligatorio”;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello
Stato, il quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate: in via
principale, inammissibili, avendo il Tribunale prospettato come
“meramente ipotetica ed eventuale” l’esistenza nel caso di specie
dell’elemento oggettivo del reato contestato, e ciò perché, “lungi
dall’affermare che la interpretazione della normativa impugnata
conduce a ritenere violati nella fattispecie gli obblighi della
sorveglianza speciale”, l’ordinanza di rimessione si sarebbe limitata
a richiamare “due diversi indirizzi della Corte di Cassazione, per
dedurne una situazione di incertezza normativa che deriverebbe dalla
insufficiente tipizzazione della fattispecie”, indirizzi che,
peraltro, condurrebbero entrambi “ad escludere nel caso concreto la
sussistenza del reato e, di conseguenza, l’applicabilità dell’art. 9
della legge 1423 / 56”, senza che mai il Tribunale mostri “in alcun
modo di far propria la interpretazione di cui contesta la
legittimità”, un’interpretazione, del resto, “contraddetta dalla
stessa giurisprudenza richiamata nell’ordinanza”; e, in via
subordinata, non fondate perché l’art. 7 della legge n. 1423 del
1956 – norma strutturata in modo tale da non potersi qualificare né
norma incriminatrice né norma concorrente “a configurare la
fattispecie criminosa” – non sarebbe riconducibile al principio di
tipicità, mentre l’art. 9 – norma “sufficientemente determinata”
quanto a condotta punibile sotto il profilo dell’art. 25, secondo
comma, della Costituzione – non darebbe luogo ad “alcuna disparità
di trattamento tra il ‘soggiornante obbligato semplice’ e il
‘soggiornante mafioso’, essendo del tutto pacifico che, in materia di
misure di prevenzione, per le violazioni non espressamente sanzionate
dalla legge n. 575 del 1965 (Disposizioni contro la mafia), trova
applicazione la legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di
prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e
per la pubblica moralità)”;
Considerato che, con riferimento alla denuncia dell’art. 9, primo
e secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, il giudice a
quo si è effettivamente limitato a sottoporre a questa Corte le sue
incertezze interpretative, conseguenti all’esistenza di più
indirizzi giurisprudenziali circa l’atto di esecuzione che condiziona
l’insorgere della condotta punibile, identificato dalla
giurisprudenza ora “nella reiterazione della comunicazione del
decreto che dispone la misura di prevenzione”, ora
“nell’accompagnamento coattivo dell’obbligato nel Comune di
soggiorno”, senza contare l’ulteriore interpretazione profilata dallo
stesso giudice rimettente, quando – dopo aver rilevato “che il Natti
non raggiunse Cisternino all’indomani della scarcerazione” considera
“ovvio… che il mancato raggiungimento del Comune designato dal
decreto del Tribunale integri una violazione degli ‘obblighi inerenti
alla sorveglianza speciale’ con corredo di ‘obbligo di soggiorno’
(art. 9, 1° e 2° comma)”;
che, pertanto, il giudice a quo non ha effettuato la necessaria
scelta fra le diverse possibili interpretazioni dell’art. 9, primo e
secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, così
prospettando un normale dubbio interpretativo, come la medesima
ordinanza di rimessione implicitamente conferma, allorché chiede
alla Corte “anche soltanto la dichiarazione, per via interpretativa
di rigetto, di quella ‘norma’ – estraibile da tale complesso – che
sanziona la condotta attiva attribuita all’imputato”;
che, perciò, la questione di legittimità dell’art. 9, primo e
secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, in riferimento
all’art. 25 della Costituzione, così come proposta, è
manifestamente inammissibile, spettando esclusivamente al giudice a
quo interpretare la norma denunciata (v. sentenze n. 427 del 1989, n.
225 del 1983, n. 109 del 1982);
che, analogamente, la questione di legittimità dell’art. 9
della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, sollevata sotto il profilo
della violazione dell’art. 3 della Costituzione, e la questione di
legittimità dell’art. 7 della stessa legge n. 1423 del 1956 – e,
più precisamente, del suo primo comma (richiamato solo in quanto vi
si regolano le modalità esecutive del provvedimento con il quale
viene applicata la misura di prevenzione) – sollevata sotto il
profilo della violazione dell’art. 25, secondo comma, della
Costituzione, vanno dichiarate manifestamente inammissibili,
trattandosi di censure dipendenti dall’irrisolto dubbio
interpretativo da cui è scaturita la denuncia di indeterminatezza
rivolta allo stesso art. 9, primo e secondo comma.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 9, primo e secondo comma, della
legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti
delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica
moralità), modificato dall’art. 12 della legge 13 settembre 1982, n.
646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere
patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10
febbraio 1962, n. 57,
e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare
sul fenomeno della mafia), nonché dell’art. 7 della stessa legge 27
dicembre 1956, n. 1423, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 25,
secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Roma con
ordinanza del 9 dicembre 1988.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 ottobre 1989.
Il Presidente e redattore: CONSO
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 15 novembre 1989.
Il direttore della cancelleria: MINELLI