Ordinanza N. 515 del 1991
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1991
Data deposito/pubblicazione
30/12/1991
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/12/1991
Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,
prof. Cesare MIRABELLI;
comma, del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa
il 23 febbraio 1991 dal giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Ancona nel procedimento penale a carico di Luigi Rossini
iscritta al n. 478 del registro ordinanze del 1991 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale,
dell’anno 1991;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 1991 il Giudice
relatore Enzo Cheli;
Ritenuto che nel procedimento penale a carico di Luigi Rossini,
imputato del delitto di cui agli artt. 81, cpv., 476, 479, 61, n. 2,
del codice penale, del delitto di cui agli artt. 640, secondo comma,
n. 1, 61, n. 9, del codice penale, nonché del delitto di cui
all’art. 324 del codice penale, il giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Ancona, con ordinanza del 23
febbraio 1991, ha sollevato d’ufficio – in riferimento agli artt. 2,
3, 24, 97 e 101, secondo comma, della Costituzione – questione di
legittimità dell’art. 423, secondo comma, del codice di procedura
penale nella parte in cui “prevede il consenso dell’imputato in sede
di udienza preliminare quale condizione obbligatoria e vincolante per
consentire al pubblico ministero la contestazione dei fatti nuovi non
enunciati nella originaria richiesta del pubblico ministero di rinvio
a giudizio ex artt. 416 e ss. stesso codice, anziché prevedere
esplicitamente un congruo termine a difesa come quello contemplato
dall’art. 519 del codice in sede dibattimentale”;
che, nella ordinanza di rinvio, il giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Ancona premette di aver già
sollevato, nello stesso procedimento, con ordinanza del 23 marzo
1990, questione di legittimità costituzionale dell’art. 423, secondo
comma, del codice di procedura penale con riferimento agli artt. 24,
27, secondo comma, e 112 della Costituzione e di avere
successivamente indirizzato alla Corte un ulteriore atto, recante la
data del 27 marzo 1990, nel quale si identificavano profili di
contrasto del citato art. 423, secondo comma, con l’art. 97, primo
comma, della Costituzione;
che, secondo il giudice a quo, l’ordinanza di questa Corte del
10 gennaio 1991, n. 11, con la quale è stata dichiarata la manifesta
infondatezza della questione di costituzionalità sollevata in
relazione agli artt. 24, 27, secondo comma, e 112 della Costituzione
e la manifesta inammissibilità della questione di costituzionalità
prospettata con riferimento all’art. 97 della Costituzione, non
esaurirebbe la “problematica giuridica” posta dalla sua precedente
ordinanza di rinvio del 23 marzo 1990 e dal successivo atto del 27
marzo 1990;
che, sulla base di queste premesse, il giudice remittente
ripropone le argomentazioni già svolte nella precedente ordinanza di
rinvio dirette a dimostrare l’esistenza di un contrasto tra la norma
impugnata e l’art. 24 della Costituzione ed aggiunge poi che la
disposizione denunciata si porrebbe in contrasto anche con il
principio di soggezione del giudice solo alla legge enunciato
dall’art. 101, secondo comma, della Costituzione in quanto – a suo
avviso – la disciplina delle nuove contestazioni farebbe “dipendere
l’operato del giudice per le indagini preliminari dalla
discrezionalità di una parte (l’imputato)”;
che, infine, sempre a giudizio del remittente, la norma
denunciata ritarderebbe l’azione penale con danno per l’economia
processuale e la celerità del giudizio, in contrasto con l’art. 97
della Costituzione;
che nel giudizio dinanzi alla Corte ha spiegato intervento il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione
sia dichiarata manifestamente infondata;
Considerato che questa Corte, con l’ordinanza n. 11 del 10 gennaio
1991, ha già dichiarato manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 423, secondo comma, del codice
di procedura penale in relazione all’art. 24 della Costituzione, in
precedenza sollevata dallo stesso giudice nello stesso procedimento;
che l’art. 423, secondo comma, del codice di procedura penale
non lede il principio della soggezione del giudice solo alla legge
enunciato dall’art. 101, secondo comma, della Costituzione poiché
tale norma – contrariamente a quanto sostenuto dal giudice a quo –
non subordina l’operato del giudice per le indagini preliminari alla
discrezionalità dell’imputato ma detta, invece, la regola da
adottare per le “nuove contestazioni” nel corso dell’udienza
preliminare, prescrivendo al giudice di autorizzare la contestazione
all’imputato di “un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di
rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere d’ufficio” nella
sola ipotesi che il pubblico ministero ne faccia richiesta e vi sia
il consenso dell’imputato;
che neppure può dirsi violato l’art. 97 della Costituzione
poiché la disposizione denunciata è diretta ad evitare il
pregiudizio che potrebbe derivare al diritto di difesa dell’imputato
dalla inaspettata contestazione di fatti nuovi non enunciati nella
richiesta di rinvio a giudizio e non può perciò essere misurata sul
metro delle esigenze di celerità del giudizio cui fa riferimento il
giudice remittente;
che, inoltre, nella sua ordinanza di rinvio, il giudice
remittente ipotizza che la norma impugnata violi gli artt. 2 e 3
della Costituzione ma omette completamente di indicare le ragioni che
lo inducono a dubitare della conformità della disposizione
denunciata ai suddetti precetti costituzionali, con la conseguenza
che la relativa questione di costituzionalità va dichiarata
manifestamente inammissibile;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 423, secondo comma, del codice di procedura
penale, sollevata, in riferimento agli artt. 24, 101, secondo comma,
e 97 della Costituzione dal giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Ancona con l’ordinanza di cui in epigrafe;
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 423, secondo comma, del codice
di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 3 della
Costituzione, dallo stesso giudice con la stessa ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1991.
Il presidente: CORASANITI
Il redattore: CHELI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1991.
Il direttore della cancelleria: MINELLI