Ordinanza N. 536 del 1995
Corte Costituzionale
Data generale
29/12/1995
Data deposito/pubblicazione
29/12/1995
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/12/1995
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY;
a), punto 2) della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile
1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni
concernenti l’imposta di registro); artt. 2 e 10 d.lgs. 31 ottobre
1990, n. 347 (Approvazione del testo unico delle disposizioni
concernenti le imposte ipotecaria e catastale) e 1 della tariffa
allegata; art. 2, comma 2, d.P.R 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione
dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili)
promosso con ordinanza emessa il 12 dicembre 1994 dalla Commissione
tributaria di secondo grado di Padova sui ricorsi riuniti proposti da
s.r.l. Messaggero Servizi ed altri contro Ufficio del Registro di
Padova, iscritta al n. 252 del registro ordinanze 1995 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie
speciale, dell’anno 1995;
Visti gli atti di costituzione dell’Istituto Teologico Missioni
Estere dei Frati Minori Conventuali S. Antonio Dottore, nonché
l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella udienza pubblica del 21 novembre 1995 il Giudice
relatore Renato Granata;
Uditi l’avv. Enrico De Mita per l’Istituto Teologico Missioni
Estere dei Frati Minori Conventuali S. Antonio Dottore e l’Avvocato
dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei
ministri;
Ritenuto che con ordinanza del 12 dicembre 1994 la Commissione
tributaria di secondo grado di Padova – nel corso del giudizio
promosso dalla S.r.l. Messaggero Servizi ed altri, avente oggetto
l’impugnativa dell’atto con cui l’Ufficio del registro aveva
liquidato le imposte di registro, ipotecaria e catastale, nonché
l’INVIM, riferite ad una delibera di aumento di capitale della
società suddetta mediante conferimento (anche) di immobili – ha
sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale
dell’art. 4, comma 1, lettera a), punto 2) della tariffa, parte
prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, degli artt. 2 e 10
del d.lgs. 31 ottobre 1990, n.347, dell’art. 1 della tariffa allegata
al medesimo decreto legislativo, nonché dell’art. 2, comma 2, del
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, in riferimento all’art. 76 Cost.,
nella parte in cui non prevedono che i conferimenti a società di
capitali vengano assoggettati ad aliquota unica non superiore all’1%,
così come stabilito dalla direttiva del Consiglio delle Comunità
europee del 17 luglio 1969, n. 335 concernente le imposte indirette
sulla raccolta dei capitali, e siano parimenti esenti dalle imposte
catastale ed ipotecaria e dall’INVIM;
che – ad avviso della Commissione rimettente – la menzionata
normativa comunitaria in parte qua deve essere interpretata nel senso
che non è suscettibile di diretta applicabilità nell’ordinamento
giuridico nazionale;
che però – ritiene ancora la Commissione rimettente – il
contenuto precettivo (ancorché non autoapplicativo) della direttiva
rileva sotto altro profilo perché la legge di delega ad emanare le
disposizioni di riforma del sistema tributario (legge 9 ottobre 1971,
n. 825) prevedeva (all’art. 7) che la disciplina dell’imposta di
registro, ipotacaria e catastale, dovesse adeguarsi alla citata
direttiva comunitaria n. 335 del 1969, onde, non avendo il
legislatore delegato dato attuazione alla direttiva, le norme
censurate sarebbero affette da vizio di eccesso di delega;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato chiedendo
che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile o infondata;
che si è costituita una delle parti conferenti, la quale ha
chiesto in via principale la dichiarazione di inammissibilità della
questione di costituzionalità in ragione della ritenuta efficacia
diretta della direttiva CEE n. 335 del 1969 (contrastando in tal modo
l’opposta interpretazione offerta dalla Commissione rimettente ed
aderendo all’interpretazione accolta da altra – e a suo dire
prevalente – giurisprudenza) ed in via subordinata la dichiarazione
di incostituzionalità delle disposizioni censurate;
Considerato che l’esame della prospettata questione di
costituzionalità – essendo questa fondata sull’interpretazione della
citata direttiva – esige che il contenuto delle norme espresse dalle
disposizioni comunitarie sia compiutamente e definitivamente
individuato secondo le regole all’uopo dettate da quell’ordinamento,
in guisa che tale contenuto si presenti connotato dai caratteri della
certezza ed affidabilità necessitati dall’irriversibilità degli
effetti che nell’ordinamento nazionale conseguirebbero ad una
eventuale pronuncia di incostituzionalità, quale quella ipotizzata
dalla Commissione rimettente per emendare il denunciato vizio delle
disposizioni censurate;
che – ferma per un verso la possibilità del controllo di
costituzionalità per violazione dei principi fondamentali e dei
diritti inviolabili della persona (cfr. da ultima sent. n. 509 del
1995) – non compete per altro verso a questa Corte fornire
l’interpretazione della normativa comunitaria che non risulti di per
sé di “chiara evidenza” (sentenza n. 168 del 1991), né tanto meno
le spetta risolvere i contrasti interpretativi insorti (come nella
fattispecie) in ordine a tale normativa, essendone demandata alla
Corte di giustizia delle Comunità europee la interpretazione con
forza vincolante per tutti gli Stati membri;
che detto giudice comunitario non può essere adito – come pur
ipotizzato in una precedente pronuncia (sentenza n. 168 del 1991,
cit.) – dalla Corte costituzionale, la quale “esercita essenzialmente
una funzione di controllo costituzionale, di suprema garanzia della
osservanza della Costituzione della Repubblica da parte degli organi
costituzionali dello Stato e di quelli delle Regioni” (sentenza n.
13 del 1960);
che pertanto nella Corte costituzionale non è ravvisabile quella
“giurisdizione nazionale” alla quale fa riferimento l’art. 177 del
trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, poiché la
Corte non può “essere inclusa fra gli organi giudiziari, ordinari o
speciali che siano, tante sono, e profonde, le differenze tra il
compito affidato alla prima, senza precedenti nell’ordinamento
italiano, e quelli ben noti e storicamente consolidati propri degli
organi giurisdizionali” (sent. n. 13 del 1960, cit.);
che è invece il giudice rimettente, il quale alleghi, come nella
specie, la norma comunitaria a presupposto della censura di
costituzionalità, a doversi far carico – in mancanza di precedenti
puntuali pronunce della Corte di giustizia – di adire quest’ultima
per provocare quell’interpretazione certa ed affidabile che assicuri
l’effettiva (e non già ipotetica e comunque precaria) rilevanza e
non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale
circa una disposizione interna che nel raffronto con un parametro di
costituzionalità risenta, direttamente o indirettamente, della
portata della disposizione comunitaria;
che quindi gli atti vanno restituiti al giudice rimettente, come
già ritenuto da questa Corte in analoga fattispecie (ordinanza n.
206 del 1976).
LA CORTE COSTITUZIONALE
Ordina la restituzione degli atti al giudice rimettente.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1995.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Granata
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1995.
Il direttore di cancelleria: Di Paola