Ordinanza N. 66 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
08/03/1996
Data deposito/pubblicazione
08/03/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
04/03/1996
Presidente: prof. Luigi MENGONI;
Giudici: prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY;
della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione
della finanza pubblica), promosso con ordinanze emesse: 1) il 28
marzo 1995 dal pretore di Caltanissetta nel procedimento penale a
carico di Armando Cigna, iscritta al n. 456 del registro ordinanze
1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica – prima
serie speciale – n. 36, dell’anno 1995; 2) il 7 luglio 1995 dal
pretore di Caltanissetta nel procedimento penale a carico di Carmen
Lorenza Castrillo, iscritta al n. 591 del registro ordinanze 1995 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica – prima serie
speciale – n. 41, dell’anno 1995;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 10 gennaio 1996 il giudice
relatore Riccardo Chieppa;
Ritenuto che il pretore di Caltanissetta, con due ordinanze di
contenuto sostanzialmente identico, emesse nel corso di altrettanti
procedimenti penali per violazioni edilizie (ordinanze R.O. nn. 456 e
591 del 1995, rispettivamente in data 28 marzo 1995 e 7 luglio 1995),
ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 39,
comma 13, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di
razionalizzazione della finanza pubblica) che prevede, in caso di
domanda di concessione edilizia in sanatoria, ai sensi dello stesso
art. 39, la riduzione della misura dell’oblazione qualora le opere
abusive siano state realizzate al fine di ovviare a situazioni di
“estremo disagio”;
che, secondo il rimettente, la disposizione in esame si porrebbe
in contrasto con gli artt. 25, secondo comma, e 3, primo comma, della
Costituzione, per violazione dei principi di tassatività della
fattispecie penale e di uguaglianza dei cittadini, in quanto la
indeterminatezza della espressione usata dal legislatore non
consentirebbe al giudice di individuarne il contenuto, e, di
conseguenza, di stabilire con uniformità di criteri i casi in cui è
consentita la decurtazione della sanzione;
che nel giudizio introdotto con l’ordinanza R.O. n. 456 del 1995
è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha
concluso per la infondatezza dei rilievi;
Considerato che le due ordinanze sollevano la medesima questione e
che, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con
un’unica pronuncia;
che non è configurabile la violazione dell’art. 25, secondo
comma, della Costituzione, in quanto la norma censurata non concorre
a costituire il precetto penale che nella specie risulta violato,
formulato nell’art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47,
disposizione nella quale la condotta penalmente sanzionata risulta
sufficientemente descritta, sì da consentire di distinguere la sfera
del lecito da quella dell’illecito (v., fra le altre, sentenze n. 122
del 1993, n. 185 del 1992, n. 282 del 1990, n. 364 del 1988);
che la impugnata disposizione di cui all’art. 39, comma 13, della
legge n. 724 del 1994 nemmeno contribuisce a precisare il contenuto
della norma incriminatrice, costituendo, invece, solo il presupposto
per l’applicazione di una particolare agevolazione (in sede di
autodeterminazione dell’oblazione da parte dell’interessato, di
determinazione definitiva da parte del sindaco e di verifica
eventuale da parte del giudice sia nel giudizio amministrativo di
impugnativa della relativa determinazione, sia in quello penale ai
sensi degli artt. 38, secondo comma, e 39 della legge 28 febbraio
1985, n. 47), consistente nella riduzione dell’oblazione;
che, una volta chiarito che la conoscibilità del precetto non è
impedita dalla norma impugnata, anche la prospettata violazione
dell’art. 3, primo comma, della Costituzione mostra la sua
inconsistenza;
che, pertanto, le questioni devono essere dichiarate
manifestamente infondate;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara la manifesta infondatezza delle
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 39, comma 13,
della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione
della finanza pubblica), sollevate, in riferimento agli artt. 25,
secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione, dal pretore di
Caltanissetta con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 marzo 1996.
Il presidente: Mengoni
Il redattore: Chieppa
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria l’8 marzo 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola