Ordinanza N. 76 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
18/03/1999
Data deposito/pubblicazione
18/03/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/03/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 (Attuazione delle deleghe conferite al
Governo con gli artt. 27 e 29 della legge 30 aprile 1969, n. 153,
concernente revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in
materia di sicurezza sociale), e dell’art. 6, comma 1, ultima parte,
del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103 (Disposizioni urgenti in materia
previdenziale), convertito in legge 1 giugno 1991, n. 166, promossi
con n. 2 ordinanze emesse l’11 novembre 1996 dal pretore di Torino
nei procedimenti civili vertenti tra Razzetti Agostino, Rollero
Margherita e l’INPS, iscritte ai nn. 75 e 76 del registro ordinanze
1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10,
prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visti gli atti di costituzione dell’INPS nonché gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 23 febbraio 1999 il giudice
relatore Cesare Ruperto;
Uditi l’avvocato Carlo De Angelis per l’INPS e l’Avvocato dello
Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto che, nel corso di due procedimenti promossi contro l’INPS
da pensionati, al fine di ottenere la riliquidazione della pensione
di reversibilità ed il pagamento delle differenze arretrate dalla
data originaria di decorrenza del diritto, il pretore di Torino – al
quale, a séguito dell’emanazione del d.-l. 28 marzo 1996, n. 166,
erano stati restituiti gli atti, con ordinanza di questa Corte n. 164
del 1996, al fine di valutare la perdurante rilevanza delle stesse
questioni già sollevate nell’anno 1995 -, con ordinanze emesse l’11
novembre 1996 ha nuovamente sollevato, con identiche motivazioni,
questione di legittimità costituzionale degli artt. 47, secondo
comma, del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 (Attuazione delle deleghe
conferite al Governo con gli artt. 27 e 29 della legge 30 aprile
1969, n. 153, concernente revisione degli ordinamenti pensionistici e
norme in materia di sicurezza sociale), e 6, comma 1, ultima parte,
del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103 (Disposizioni urgenti in materia
previdenziale), convertito in legge 1 giugno 1991, n. 166, i quali
prevedono che, in caso di mancata proposizione di ricorso
amministrativo, i termini di decadenza per l’esercizio dell’azione
giudiziaria diretta al conseguimento della prestazione previdenziale
decorrono dall’insorgenza dei singoli ratei;
che, secondo il rimettente, le denunciate norme – nella parte in
cui non prevedono che, per gli assicurati o pensionati i quali, dopo
aver presentato una domanda all’istituto previdenziale, non l’abbiano
fatta seguire dal prescritto iter amministrativo, i termini di
decadenza dall’azione giudiziaria decorrano dalla data di scadenza
dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento
amministrativo, computati dalla data di presentazione della richiesta
di prestazione, ed invece stabiliscono che essi decorrano
dall’insorgenza dei singoli ratei – sono in contrasto con l’art. 3
Cost., per violazione del principio di ragionevolezza, atteso il
trattamento più favorevole, in punto di decadenza del diritto alle
rate della pensione, che viene così riservato a coloro i quali hanno
presentato la richiesta di prestazione omettendo di proporre ricorso
amministrativo, rispetto a quanti hanno invece diligentemente
coltivato la domanda attivando il procedimento contenzioso
amministrativo;
che, nel motivare la rilevanza della questione, il rimettente
osserva come la normativa sopravvenuta – la quale, nel dettare una
nuova disciplina del pagamento delle somme arretrate dovute a titolo
di integrazione al trattamento minimo in applicazione delle sentenze
di questa Corte n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994, dispone
l’estinzione d’ufficio dei giudizi pendenti – non abbia alcuna
incidenza nei giudizi a quibus, in quanto: a) la pronuncia di
estinzione dei giudizi presuppone che la domanda sia fondata ed
accoglibile, per cui, “mancando la richiesta pronuncia di
incostituzionalità, l’Ente previdenziale si troverebbe tuttora
esposto al rischio di dover sborsare somme ben superiori a quelle da
corrispondere in caso di accoglimento della presente eccezione”; b)
la normativa sopravvenuta si riferisce solo all’attuazione delle
citate sentenze n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994, mentre la
normativa sospettata di incostituzionalità ha carattere generale,
riguardando qualsiasi prestazione previdenziale per la quale non
siano previsti termini decadenziali o prescrizionali diversi;
che nei giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, e si è costituito l’INPS, concludendo entrambi per
l’infondatezza delle sollevate questioni.
Considerato che i giudizi, concernendo le stesse norme, denunciate
con identiche motivazioni, possono essere riuniti e congiuntamente
decisi;
che, essendo state le medesime questioni di legittimità
costituzionale già sollevate nel corso dei giudizi a quibus (r.o.
nn. 524 e 525 del 1995), questa Corte, con ordinanza n. 164 del 1996,
dispose la restituzione degli atti al giudice a quo affinché
valutasse “la rilevanza della questione sollevata alla stregua del
diritto sopravvenuto” a séguito dell’emanazione del d.-l. 28 marzo
1996, n. 166, nel cui art. 1, comma 3, veniva prevista l’estinzione
dei giudizi in corso riguardanti il pagamento di quanto dovuto in
applicazione delle sentenze n. 495 del 1993 e n. 240 e del 1994;
che gli effetti del citato d.-l. n. 166 del 1996 e dei successivi
decreti-legge nn. 295, 396 e 499 del 1996, tutti decaduti, sono stati
fatti salvi dall’art. 1, comma 6, della legge n. 608 del 1996, come
interpretato dall’art. 73, comma 4, della legge n. 448 del 1998; ed
inoltre la previsione dell’estinzione d’ufficio dei giudizi
riguardanti sempre l’applicazione delle sentenze n. 495 del 1993 e n.
240 del 1994 è stata confermata dall’art. 1, comma 183, della legge
n. 662 del 1996 e ribadita dall’art. 36, comma 5, della legge n. 448
del 1998;
che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, assume
preliminare rilievo logico-processuale rispetto ad ogni possibile
censura di incostituzionalità il disposto legislativo di
dichiarazione d’estinzione dei giudizi pendenti, costituente precetto
ineludibile da parte del giudice che ne è investito (v. sentenza n.
103 del 1995);
che solo ove dovesse venir dichiarata l’incostituzionalità di
siffatta disposizione potrebbe essere condotto l’esame del merito di
altre possibili questioni di incostituzionalità riguardanti norme
ancora applicabili in un processo le quali viceversa perdono di
rilevanza (cfr. in tal senso anche le ordinanze n. 368 e n. 370 del
1997, n. 15 e n. 45 del 1998);
che, dunque, palesemente prive di consistenza sono le
argomentazioni svolte dal rimettente in ordine all’asserita
ininfluenza di detta previsione nei giudizi a quibus, promossi
proprio per ottenere la riliquidazione della pensione di
reversibilità a séguito dei pronunciamenti di questa Corte;
che, pertanto, la mancata censura della previsione stessa, la
quale appunto trova immediata applicazione anche nella fattispecie,
rende le sollevate questioni manifestamente inammissibili.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara la manifesta inammissibilità delle
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 47 secondo
comma, del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 (Attuazione delle deleghe
conferite al Governo con gli artt. 27 e 29 della legge 30 aprile
1969, n. 153, concernente revisione degli ordinamenti pensionistici e
norme in materia di sicurezza sociale) e 6, comma 1, ultima parte,
del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103 (Disposizioni urgenti in materia
previdenziale), convertito in legge 1 giugno 1991, n. 166, sollevate
– in riferimento all’art. 3 della Costituzione – dal pretore di
Torino, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’11 marzo 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Ruperto
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 18 marzo 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola