Ordinanza N. 77 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
18/03/1999
Data deposito/pubblicazione
18/03/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/03/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promossi con n. 2
ordinanze emesse il 27 marzo 1998 dalla Commissione tributaria
provinciale di Firenze sui ricorsi proposti dall’Agricola Barbialla
S.r.l. contro l’Ufficio del Registro di Empoli, iscritte ai nn. 665 e
666 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1999 il giudice
relatore Cesare Ruperto.
Ritenuto che nel corso di due procedimenti, promossi da una
società avverso altrettanti avvisi di accertamento e liquidazione di
imposta INVIM straordinaria notificati dal competente Ufficio del
Registro, la Commissione tributaria provinciale di Firenze, con due
ordinanze di identico contenuto emesse il 27 marzo 1998, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 46, comma 3, del
decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in
cui non prevede che “la pubblica amministrazione possa essere
condannata al pagamento delle spese processuali, per il caso di
dichiarazione di cessazione della materia del contendere per revoca o
annullamento, da parte della pubblica amministrazione stessa,
dell’atto impositivo impugnato, dopo la proposizione del ricorso”;
che, a parere della rimettente, la denunciata norma, disponendo
in modo diverso dall’art. 44 – il quale, nel disciplinare una
situazione equivalente, pone a carico del ricorrente che rinuncia al
ricorso l’obbligo di rimborsare le spese di lite alle altre parti,
salvo diverso accordo – contrasta: a) con l’art. 3 Cost., sancendo
un’ingiustificata disparità di trattamento tra il cittadino, che
rinunciando al ricorso deve rimborsare le spese alle altre parti, e
l’amministrazione finanziaria che, in ipotesi di rinuncia alla
pretesa tributaria, è invece esonerata dal pagamento delle spese di
giudizio; b) con gli artt. 24 e 113 Cost., in quanto l’impossibilità
di conseguire la ripetizione delle spese processuali, spesso
rilevanti, “costituisce elemento lesivo del diritto” di difesa e del
principio della tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica
amministrazione, con particolare riguardo ai soggetti meno abbienti;
c) con l’art. 97 Cost., poiché il criterio della soccombenza –
esteso in via generale al processo tributario dall’art. 15 dello
stesso decreto legislativo n. 546 del 1992 – costituisce anche per
l’amministrazione finanziaria un elemento volto ad assicurare il
rispetto dei principi di buon andamento, correttezza ed
imparzialità, ponendosi come limite positivo alla sua attività
discrezionale;
che in entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza delle sollevate
questioni.
Considerato che i giudizi, concernenti la medesima norma, possono
essere riuniti e congiuntamente decisi;
che anteriormente alla proposizione degli odierni incidenti di
costituzionalità questa Corte, chiamata al vaglio di identiche
questioni, ne ha già dichiarato la manifesta infondatezza con
ordinanza n. 368 del 1998;
che, nella motivazione di tale ordinanza e della sentenza n. 53
del 1998, riguardante analoghe questioni ed anch’essa ignorata, la
Corte ha dato esaurienti risposte alle argomentazioni svolte
dall’attuale rimettente onde giustificare i prospettati dubbi in
ordine all’asserita violazione del principio di uguaglianza, del
diritto di difesa e di tutela giurisdizionale del contribuente,
nonché del principio di buon andamento della pubblica
amministrazione;
che, in particolare, questa Corte ha ivi sottolineato come il
legislatore – nell’opera, affidata alla sua discrezionalità, di
conformazione degli istituti del processo tributario a quelli del
rito civile – non abbia travalicato il limite della razionalità; nel
contempo affermando l’inidoneità del richiamo, quale parametro,
all’art. 97 Cost., che riguarda infatti le sole leggi concernenti in
senso proprio l’ordinamento ed il funzionamento sotto l’aspetto
amministrativo degli uffici giudiziari (v., da ultimo, sentenze n.
182 e n. 225 del 1996);
che, relativamente a quanto ulteriormente prospettato in
riferimento all’asserita violazione del principio di uguaglianza,
basta solo ribadire la disomogeneità, sia con riguardo ai
presupposti sia con riguardo agli effetti processuali e sostanziali,
fra la rinuncia al ricorso e la cessazione della materia del
contendere, donde la palese inconfigurabilità della paventata
disparità di trattamento risultante dalla comparazione tra gli artt.
44 e 46 del decreto legislativo n. 546 del 1992;
che, pertanto, le questioni sono manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara la manifesta infondatezza delle
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 46, comma 3, del
decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevate – in
riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113, della Costituzione – dalla
Commissione tributaria provinciale di Firenze, con le ordinanze
indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’11 marzo 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Ruperto
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 18 marzo 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola