Ordinanza N. 79 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
18/03/1999
Data deposito/pubblicazione
18/03/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/03/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
e 2, e 514 del codice di procedura penale, come modificati dalla
legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice
di procedura penale in tema di valutazione delle prove) e dell’art.
6, comma 5, della stessa legge, promosso con ordinanza emessa il 27
novembre 1997 dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a
carico di D.A. ed altri, iscritta al n. 76 del registro ordinanze
1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8,
prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1999 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Tribunale di Torino ha sollevato, su eccezione del
pubblico ministero, questione di legittimità costituzionale degli
artt. 513, commi 1 e 2, e 514 del codice di procedura penale, come
modificati dalla legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle
disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione
delle prove), nonché dell’art. 6, comma 5, della legge 7 agosto
1997, n. 267, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 101, secondo comma,
102, 111, primo comma, e 112 della Costituzione;
che, in ordine alla rilevanza della questione, nell’ordinanza si
precisa che alcuni imputati in procedimenti connessi, citati per la
prima volta dopo l’entrata in vigore della legge n. 267 del 1997, si
sono avvalsi in dibattimento della facoltà di non rispondere;
che il Tribunale motiva la non manifesta infondatezza della
questione richiamando l’ordinanza del Tribunale di Milano del 24
ottobre 1997 (iscritta al n. 341 del r.o. del 1998), allegata in
copia all’ordinanza di rimessione “come parte integrante della
stessa”;
che, secondo il rimettente, l’art. 513, comma 2, cod. proc. pen.
si pone in contrasto con l’art. 3 della Costituzione per la
irragionevole diversità della disciplina riservata alle
dichiarazioni rese in precedenza sul fatto altrui dall’imputato in
procedimento connesso che in dibattimento si avvale della facoltà di
non rispondere rispetto alla disciplina dettata per “identiche
situazioni di imprevedibile irripetibilità di atti dello stesso
tipo” quali quelle: dell’imputato in procedimento connesso di cui non
è possibile ottenere la presenza per fatti o circostanze
imprevedibili (art. 513, comma 2, prima parte, cod. proc. pen.);
dell’imputato in procedimento connesso che decide di sottoporsi ad
esame ma rifiuti di rispondere a singole domande, rendendo così
possibile il ricorso al meccanismo delle contestazioni ex art. 500
cod. proc. pen; del prossimo congiunto dell’imputato che si avvale in
dibattimento della facoltà di astensione;
che, ad avviso del giudice a quo, l’art. 513, comma 2, cod. proc.
pen. viola, sotto altro profilo, l’art.3, nonché gli artt. 101, 102,
primo comma, 111 e 112 della Costituzione perché, rimettendo alla
volontà delle parti l’utilizzabilità delle dichiarazioni in
precedenza rese da imputati in procedimenti connessi che in
dibattimento si avvalgano della facoltà di non rispondere, introduce
un “irragionevole ostacolo al razionale esercizio dell’azione penale”
e consente alle parti di sottrarre la prova alla “razionale e
motivata valutazione del giudice, in tal modo impedendogli di
formarsi un convincimento che si avvicini il più possibile alla
reale verificazione dei fatti e quindi impedendo la pronuncia di una
giusta decisione” con conseguente violazione anche del principio
della soggezione del giudice solo alla legge;
che il rimettente denuncia ancora violazione dell’art. 24, primo
e secondo comma, della Costituzione sotto due diversi ma
complementari profili: a) per lesione del diritto di difesa della
parte civile, poiché la devoluzione agli imputati della facoltà di
impedire l’utilizzo di elementi di prova divenuti imprevedibilmente
irripetibili danneggia il diritto di veder tutelati i propri
interessi privatistici; b) per lesione del diritto di difesa degli
imputati, nell’ipotesi inversa in cui sia la parte civile ad opporsi
alla lettura delle dichiarazioni rese da imputati in procedimenti
connessi che si avvalgano in dibattimento della facoltà di non
rispondere;
che nell’ordinanza si censurano inoltre, in riferimento ai
medesimi parametri, il comma 1 dell’art. 513 cod. proc. pen. e,
unitamente al comma 2 della medesima disposizione, l’art. 514 cod.
proc. pen., nonché l’art. 6, comma 5, della legge 7 agosto 1997, n.
267, recante la disciplina transitoria delle nuove regole di
acquisizione e valutazione della prova introdotte dalla novella;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata e
riportandosi integralmente, stante l’analogia delle questioni, al
contenuto dell’atto di intervento relativo ai giudizi di
costituzionalità promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 776 e 787
del r.o. del 1997, già decisi con sentenza n. 361 del 1998.
Considerato che il rimettente, muovendo dal quadro normativo
risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 7 agosto 1997, n.
267, sottopone a censura il regime di utilizzabilità ai fini della
decisione, in mancanza dell’accordo delle parti, delle dichiarazioni
rese nella fase delle indagini preliminari dall’imputato in
procedimento connesso che si avvalga in dibattimento della facoltà
di non rispondere;
che successivamente alla emissione dell’ordinanza questa Corte,
con sentenza n. 361 del 1998, ha inciso sul quadro normativo
risultante dalle modifiche introdotte dalla legge n. 267 del 1997,
dichiarando la illegittimità costituzionale, tra l’altro, dell’art.
513, comma 2, ultimo periodo, del codice di procedura penale “nella
parte in cui non prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o
comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti
concernenti la responsabilità di altri già oggetto delle sue
precedenti dichiarazioni, in mancanza dell’accordo delle parti alla
lettura si applica l’art. 500, commi 2-bis e 4, del codice di
procedura penale”;
che pertanto occorre restituire gli atti al giudice rimettente
affinché verifichi se, alla luce della nuova disciplina applicabile
a seguito della sentenza n. 361 del 1998, la questione sollevata sia
tuttora rilevante;
che, con riferimento alla questione di legittimità
costituzionale dell’art. 514 cod. proc. pen., con la sentenza
richiamata questa Corte ha dichiarato l’inammissibilità di analoga
questione sul presupposto che “l’art. 514 non ha autonomo contenuto
normativo rispetto alle regole di utilizzazione probatoria delle
dichiarazioni rese in precedenza”;
che pertanto la questione va dichiarata manifestamente
inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 514 del codice di procedura
penale sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 101, secondo
comma, 102, 111, primo comma, e 112 della Costituzione, dal Tribunale
di Torino con l’ordinanza in epigrafe;
Ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Torino in
relazione alle questioni di legittimità costituzionale degli artt.
513, commi 1 e 2, del codice di procedura penale e 6, comma 5, della
legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice
di procedura penale in tema di valutazione delle prove).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’11 marzo 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Neppi Modona
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 18 marzo 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola