Ordinanza N. 80 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
18/03/1999
Data deposito/pubblicazione
18/03/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/03/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura
penale in tema di valutazione delle prove), in relazione all’art.
513, comma 2, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze
emesse il 12 dicembre 1997 dalla Corte d’assise di Messina, il 16
gennaio 1998 dal Tribunale di Genova, il 20 febbraio 1998 dal
Tribunale di Roma, il 18 novembre 1997 dal Tribunale di Milano, il 26
marzo 1998 dal Tribunale di Trieste, il 6 aprile 1998 dal Tribunale
di Pescara ed il 5 dicembre 1997 dal Tribunale di Roma,
rispettivamente iscritte ai nn. 96, 221, 289, 321, 415, 416 e 544 del
registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 9, 14, 17, 19, 24 e 34, prima serie speciale,
dell’anno 1998.
Visti gli atti di intervento del presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1999 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che la Corte di assise di Messina, il Tribunale di Genova,
il Tribunale di Roma, il Tribunale di Milano, il Tribunale di Trieste
e il Tribunale di Pescara hanno sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’art. 6 della legge 7 agosto 1997, n. 267
(Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema
di valutazione delle prove), in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 97,
101, 111 e 112 della Costituzione;
che il Tribunale di Milano (r.o. n. 321 del 1998) censura, in
riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., l’art. 6, commi 2 e 5, della
legge n. 267 del 1997 nella parte in cui prevede la limitata
efficacia probatoria delle dichiarazioni già acquisite ai sensi del
previgente art. 513 cod. proc. pen., allorché i soggetti di cui
all’art. 210 cod. proc. pen., nuovamente citati su richiesta delle
parti, si avvalgano ancora della facoltà di non rispondere;
che gli altri rimettenti rivolgono la censura alla mancata
estensione della regola di valutazione probatoria contenuta nel comma
5 dell’art. 6 della legge n. 267 del 1997 alle dichiarazioni rese
dai soggetti indicati nell’art. 513 cod. proc. pen. che si avvalgono
in dibattimento della facoltà di non rispondere, al di fuori della
situazione regolata dal comma 2 della medesima disposizione, e cioè
nel caso in cui al momento dell’entrata in vigore della predetta
legge non sia stata ancora disposta la lettura delle dichiarazioni
rese in precedenza;
che la censura è prospettata in riferimento agli artt. 2, 3, 24,
101 e 112 della Costituzione dalla Corte di assise di Messina (r.o.
n. 96 del 1998); in riferimento all’art. 3 della Costituzione dal
Tribunale di Genova (r.o. n. 221 del 1998) e dal Tribunale di Roma
(r.o. nn. 289 e 544 del 1998); in riferimento agli artt. 3, 97, primo
comma, 101, secondo comma, della Costituzione dal Tribunale di
Trieste (r.o. n. 415 del 1998); in riferimento agli artt. 3, 101, 111
e 112 della Costituzione dal Tribunale di Pescara (r.o. n. 416 del
1998);
che le questioni di legittimità costituzionale sono state
sollevate dalla Corte di assise di Messina, dal Tribunale di Genova,
dal Tribunale di Roma, dal Tribunale di Trieste e dal Tribunale di
Pescara nel corso di dibattimenti nei quali alcuni imputati in
procedimenti connessi, citati per la prima volta dopo l’entrata in
vigore della legge n. 267 del 1997, si erano avvalsi della facoltà
di non rispondere, e le parti non avevano prestato il consenso alla
utilizzazione delle dichiarazioni rese in precedenza;
che la questione di costituzionalità prospettata dal Tribunale
di Milano è stata sollevata nel corso di un dibattimento nel quale
erano già stati acquisiti, ai sensi del previgente art. 513 cod.
proc. pen., i verbali delle dichiarazioni rese durante le indagini
preliminari da numerosi imputati di reato connesso, che in
dibattimento si erano avvalsi della facoltà di non rispondere e dei
quali molti, nuovamente citati dopo l’entrata in vigore della legge
n. 267 del 1997, si avvalevano ancora della facoltà di non
rispondere;
che secondo il Tribunale di Milano la disciplina impugnata
contrasta con gli artt. 3 e 24 della Costituzione perché determina
una irragionevole diversità di trattamento, dipendente unicamente
dal dato temporale nel quale si colloca l’esercizio della facoltà di
non rispondere dell’imputato di reato connesso, in relazione sia alla
regola di valutazione dettata dall’art. 192, comma 3, cod. proc.
pen., sia ai casi in cui le dichiarazioni acquisite ai sensi del
previgente art. 513 cod. proc. pen. siano riferibili a soggetti dei
quali non è stata chiesta nuova citazione ai sensi del comma 2
dell’art. 6 della legge n. 267 del 1997: con incidenza sul diritto di
difesa dell’imputato, che può essere leso dalla diversità delle
regole di valutazione probatoria applicabili a situazioni di identico
contenuto processuale;
che, ad avviso degli altri rimettenti, la disposizione
transitoria, nella parte in cui non è applicabile a tutti i
dibattimenti in corso, contrasta con l’art. 3 della Costituzione
perché determina una irragionevole disparità di trattamento tra
imputati, limitando o escludendo nei loro confronti, in ragione dello
stato del procedimento, l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese
dai soggetti indicati nell’art. 513 cod. proc. pen. anteriormente
all’entrata in vigore della novella e assunte nel rispetto della
normativa allora vigente;
che la mancata estensione della regola di utilizzabilità,
quantunque attenuata, prevista dall’art. 6, comma 5, della legge n.
267 del 1997, alle dichiarazioni in precedenza rese dall’imputato in
procedimento connesso, che si avvalga in dibattimento della facoltà
di non rispondere per la prima volta dopo l’entrata in vigore della
legge, violerebbe altresì, sotto altro profilo, l’art. 3 della
Costituzione nonché gli artt. 2, 24, 97, 101, 111 e 112 della
Costituzione perché, comportando la irragionevole dispersione di
elementi di prova legittimamente raccolti, sacrifica l’esercizio
della funzione giurisdizionale, il cui fine è quello della ricerca
della verità (r.o. nn. 96/1998, 415/1998 e 416/1998), con
conseguente lesione dei principi di uguaglianza e di obbligatorietà
dell’azione penale (r.o. nn. 96/1998 e 415/1998) e pregiudizio per il
buon andamento della giustizia e l’efficienza del processo penale
(r.o. n. 415/1998);
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
riportandosi integralmente, stante l’analogia delle questioni, al
contenuto dell’atto di intervento relativo ai giudizi di
costituzionalità promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 776 e 787
del r.o. del 1997, già decisi con sentenza n. 361 del 1998.
Considerato che, pur nelle loro diverse articolazioni, le questioni
di costituzionalità sono tutte riconducibili alla denuncia della
irragionevolezza – e delle ricadute in termini di ingiustificata
disparità di trattamento e di violazione dei principi della
indefettibilità della giurisdizione, della obbligatorietà
dell’azione penale e del giusto processo – di una disciplina che
assoggetta la valutazione delle dichiarazioni acquisite a norma
dell’art. 513, commi 1 e 2, cod. proc. pen. ad un nuovo criterio di
giudizio, ovvero ne subordina l’utilizzazione alle regole introdotte
dalla legge n. 267 del 1997, in base al mero dato occasionale che al
momento dell’entrata in vigore della legge le dichiarazioni fossero
già state acquisite mediante lettura;
che i giudizi, attesa l’analogia delle questioni, vanno riuniti;
che, successivamente alla emissione delle ordinanze, questa
Corte, con sentenza n. 361 del 1998, nel disporre la restituzione
degli atti relativi a questioni che avevano censurato la medesima
normativa transitoria, ha affermato che doveva essere valutato dai
giudici a quibus se le questioni potessero considerarsi superate a
seguito della modifica della disciplina a regime, “che ora permette
di recuperare mediante il sistema delle contestazioni i singoli
contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza”;
che pertanto occorre restituire gli atti ai giudici rimettenti
affinché verifichino se, alla luce della disciplina applicabile a
seguito della sentenza n. 361 del 1998, le questioni sollevate siano
tuttora rilevanti.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, ordina la restituzione degli atti alla Corte di
assise di Messina, al Tribunale di Genova, al Tribunale di Roma, al
Tribunale di Milano, al Tribunale di Trieste e al Tribunale di
Pescara.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’11 marzo 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Neppi Modona
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 18 marzo 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola