Ordinanza N. 84 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
18/03/1999
Data deposito/pubblicazione
18/03/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/03/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
e 513 del codice di procedura penale, dell’art. 372 del codice penale
e dell’art. 6 della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle
disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione
delle prove), promossi con ordinanze emesse il 1 dicembre 1997 dal
Tribunale di Lecco, il 17 dicembre 1997 dal Tribunale di Venezia, il
2 dicembre 1997 dal Tribunale di Trani, il 5 dicembre 1997 dalla
Corte d’appello di Bologna, il 5 febbraio 1998 dal Tribunale di
Grosseto, il 24 ed il 28 ottobre 1997 dal Tribunale di Milano e il 10
marzo 1998 dal Tribunale di Palermo, rispettivamente iscritte ai nn.
112, 134, 146, 220, 325, 341, 342 e 378 del registro ordinanze 1998 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 10, 11, 14,
19, 20 e 22, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1999 il giudice
relatore Guido Neppi Modona;
Ritenuto che con otto ordinanze il Tribunale di Lecco (r.o. n. 112
del 1998), il Tribunale di Venezia (r.o. n. 134 del 1998), il
Tribunale di Trani (r.o. n. 146 del 1998), la Corte di appello di
Bologna (r.o. n. 220 del 1998), il Tribunale di Grosseto (r.o. n.
325 del 1998), il Tribunale di Milano (r.o. nn. 341 e 342 del 1998) e
il Tribunale di Palermo (r.o. n. 378 del 1998) hanno sollevato, in
riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 97, 101, 102, 111 e 112 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 210
del codice di procedura penale;
che tutte le questioni sono state sollevate nel corso di
dibattimenti nei quali i soggetti che avevano reso in precedenza
dichiarazioni erga alios, citati ai sensi dell’art. 210 cod. proc.
pen., si sono avvalsi della facoltà di non rispondere e che gli
imputati non hanno prestato il consenso alla utilizzazione delle
precedenti dichiarazioni;
che tutti i rimettenti, ad eccezione del Tribunale di Grosseto,
censurano l’art. 210, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui
prevede che l’imputato in procedimento connesso, per il quale si
procede o si è proceduto separatamente e che abbia in precedenza
reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di terzi,
possa avvalersi, nel dibattimento a carico di quei soggetti, della
facoltà di non rispondere;
che l’art. 210 cod. proc. pen. è impugnato unitamente all’art.
513, comma 2, cod. proc. pen., per i riflessi che l’eliminazione del
diritto al silenzio produrrebbe sulla disciplina delle letture nel
caso in cui i soggetti indicati nell’art. 210, comma 1, cod. proc.
pen. rifiutino di rispondere in dibattimento;
che secondo i giudici a quibus l’art. 210 cod. proc. pen. e
l’art. 513, comma 2, cod. proc. pen., subordinando alla volontà di
un soggetto estraneo al processo, quale è l’imputato in procedimento
connesso, e all’accordo delle parti l’utilizzabilità ai fini della
decisione delle dichiarazioni rese in precedenza sul fatto altrui, si
pongono in contrasto con l’art. 3 della Costituzione per la
irragionevole diversità di tale disciplina rispetto a quella dettata
nell’art. 513, comma 2, secondo periodo, cod. proc. pen. per le
stesse dichiarazioni quando per fatti o circostanze imprevedibili non
sia possibile ottenere la presenza del soggetto citato ai sensi
dell’art. 210 cod. proc. pen., nonché a quella prevista nell’art.
500, commi 2-bis 4 e 5, cod. proc. pen. per le dichiarazioni
testimoniali rese nel corso delle indagini preliminari (r.o. nn. 112,
146, 341, 342 e 378 del 1998);
che i rimettenti lamentano inoltre che tale disciplina deroga
irragionevolmente al principio di non dispersione della prova e
impedisce al giudice la piena conoscenza dei fatti del giudizio, in
contrasto con i principi di uguaglianza, legalità, esercizio
dell’azione penale, funzione conoscitiva del processo e
indefettibilità della giurisdizione (in riferimento rispettivamente:
r.o. n. 112 del 1998 agli artt. 3, 24, secondo comma, 101, secondo
comma, 112 Cost; r.o. n. 134 del 1998 agli artt. 3, 24, 25, secondo
comma, 101 e 112 Cost; r.o. n. 146 agli artt. 97 e 112 Cost; r.o.
nn. 341, 342 agli artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 101,
102, primo comma, 111 e 112 Cost., nonché all’art. 24, secondo
comma, della Costituzione sotto il profilo della lesione del diritto
di difesa della parte civile e degli altri imputati; r.o. n. 378 agli
artt. 24, 101, 111 e 112 Cost.);
che, in particolare, il Tribunale di Lecco impugna gli artt.
210, commi 4 e 6, e 513, commi 1 e 2, cod. proc. pen., singolarmente
e “in combinato disposto” con gli artt. 197, lettere a) e b), 208
cod. proc. pen. e 372 cod. pen., censurando complessivamente la
disciplina che, distinguendo sotto il profilo processuale e
sostanziale la figura del testimone rispetto a quella dell’imputato
in procedimento connesso, subordina al consenso di quest’ultimo la
possibilità di procedere all’esame dibattimentale anche su fatti
concernenti la responsabilità di altri, in relazione ai quali abbia
in precedenza reso dichiarazioni;
che a parere del rimettente consentire all’imputato in
procedimento connesso di non sottoporsi all’esame dibattimentale
determina la violazione degli artt. 2, 3, 24 e 101, secondo comma,
della Costituzione perché viene irragionevolmente sacrificato il
principio della indefettibilità della giurisdizione che ha come fine
primario l’accertamento del reato, a cui tale soggetto è tenuto a
concorrere in adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
sociale, nonché il diritto al contraddittorio dell’imputato chiamato
a difendersi in dibattimento nei confronti delle dichiarazioni
eteroindizianti rese in precedenza dall’imputato in procedimento
connesso;
che l’art. 210 cod. proc. pen. viene censurato dal Tribunale di
Grosseto in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 112 Cost.,
nella parte (comma 1) in cui equipara il “coimputato nel medesimo
reato la cui posizione sia stata definita con sentenza irretrattabile
ex art. 444 cod. proc. pen.” alle “persone imputate in un
procedimento connesso a norma dell’art. 12 cod. proc. pen., nei
confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente,
estendendogli la facoltà di non rispondere”;
che ad avviso del rimettente la disposizione impugnata detta, in
violazione dell’art. 3 Cost., un’identica disciplina per situazioni
difformi (quella dell’imputato nei confronti del quale si procede o
si è proceduto separatamente, che può subire un pregiudizio, nel
proprio procedimento non ancora definito con sentenza irrevocabile,
dalle dichiarazioni che è chiamato a rendere nel procedimento
connesso o collegato, e quella dell’imputato la cui posizione
processuale è ormai definita e per il quale nessuna conseguenza
sfavorevole potrà mai scaturire da qualsivoglia dichiarazione resa
nel procedimento connesso o collegato) e si pone in contrasto con gli
artt. 24, secondo comma, e 112 della Costituzione sotto il profilo
della lesione del diritto di difesa dell’imputato attinto dalle
dichiarazioni indizianti e del diritto alla prova del pubblico
ministero;
che la Corte di appello di Bologna impugna l’art. 210 cod. proc.
pen. unitamente all’art. 197 dello stesso codice, nonché l’art. 6,
commi 3 e 5, della legge 7 agosto 1997, n. 267, nella parte in cui
prevede che nei giudizi di appello in corso alla data di entrata in
vigore della novella la rinnovazione parziale del dibattimento – in
vista della utilizzazione delle dichiarazioni delle persone indicate
nell’art. 513 cod. proc. pen. e al fine di ottenere la citazione di
coloro che avevano reso tali dichiarazioni – venga disposta “ove la
parte interessata lo richieda” (comma 3), e nella parte in cui
dispone che se tali soggetti si avvalgono ulteriormente della
facoltà di non rispondere, le dichiarazioni rese in precedenza
possono essere valutate come prova dei fatti in esse affermati solo
se la loro attendibilità sia confermata da altri elementi di prova,
non desunti da dichiarazioni rese al pubblico ministero o alla
polizia giudiziaria da questi delegata o al giudice nel corso delle
indagini preliminari di cui sia stata data lettura ai sensi dell’art.
513 cod. proc. pen. previgente (comma 5);
che il collegio rimettente dubita della legittimità
costituzionale degli artt. 197 e 210 cod. proc. pen., in riferimento
agli artt. 3 e 24, primo e secondo comma, Cost., ravvisando nella
disciplina una violazione del principio di uguaglianza e di pari
dignità, in quanto fa “discendere il diritto/dovere di testimoniare
in giudizio da condizioni personali e sociali, anche se limitate a
quelle che si assumono nel processo” con conseguente sacrificio anche
del diritto di difesa;
che, con riferimento alle disposizioni transitorie contenute nei
commi 3 e 5 dell’art. 6 della legge n. 267 del 1997, il rimettente
denuncia per irragionevolezza, con conseguenti ricadute anche in
termini di disparità di trattamento tra imputati, la disciplina che
condiziona alla richiesta delle parti la nuova citazione nel giudizio
di appello delle persone indicate nell’art. 513 cod. proc. pen., in
quanto il giudice può utilizzare le dichiarazioni rese in precedenza
solo nei limiti del comma 5 dell’art. 6 della legge n. 267 del 1997,
mentre, se le parti non ne chiedono la citazione, le dichiarazioni
già acquisite nel dibattimento di primo grado a seguito del rifiuto
di rispondere sono integralmente utilizzabili, assumendone il
contrasto anche con gli artt. 25, 101, secondo comma, e 112 Cost;
che ulteriori censure alla disciplina transitoria contenuta
nell’art. 6 da ultimo indicato sono formulate, in riferimento agli
artt. 3, 24, 25, 101, 102, 111 e 112 Cost., dal Tribunale di Venezia
(che impugna l’art. 513 cod. proc. pen. “con riferimento” all’art. 6,
commi 1 e 5, della legge n. 267 del 1997), dal Tribunale di Trani e
dal Tribunale di Milano: a) nella parte in cui (commi 2 e 5) rende
immediatamente applicabile la nuova disciplina dell’art. 513 cod.
proc. pen. ai procedimenti in corso, nei quali alla data di entrata
in vigore della legge non sia stata disposta la lettura delle
dichiarazioni rese dai soggetti indicati nell’art. 513 cod. proc.
pen. (r.o. nn. 134 e 146 del 1998); b) nella parte in cui esclude al
comma 5 che elementi di prova utili alla conferma dell’attendibilità
di dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento ex art.
513 cod. proc. pen. previgente siano desumibili anche da altre
dichiarazioni dello stesso tipo (r.o. n. 341 del 1998);
che nei giudizi promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 112,
134, 146, 220, 325, 341 e 342 del r.o. del 1998 è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, riportandosi integralmente,
stante l’analogia delle questioni, al contenuto dell’atto di
intervento relativo ai giudizi di costituzionalità promossi con le
ordinanze iscritte ai nn. 776 e 787 del r.o. del 1997, già decisi
con sentenza n. 361 del 1998.
Considerato che tutte le ordinanze di rimessione sottopongono a
censura la facoltà, riconosciuta alle persone indicate dall’art.
210, comma 1, cod. proc. pen., di avvalersi, a norma del comma 4 del
medesimo articolo, della facoltà di non rispondere;
che l’esercizio di tale facoltà viene denunciato in relazione al
regime di inutilizzabilità ai fini della decisione, in mancanza
dell’accordo delle parti, delle dichiarazioni rese nella fase delle
indagini preliminari dall’imputato in procedimento connesso, alla
stregua delle modifiche introdotte nell’art. 513, comma 2, cod. proc.
pen., dalla legge n. 267 del 1997, anch’esso sottoposto a scrutinio
di legittimità costituzionale;
che, attesa la sostanziale identità delle questioni, deve essere
disposta la riunione dei relativi giudizi;
che, in particolare, nell’ordinanza del Tribunale di Grosseto
(r.o. n. 325 del 1998) la facoltà di non rispondere viene censurata
in riferimento alla posizione di imputati di reato connesso già
condannati con sentenza divenuta irrevocabile;
che, successivamente all’emissione delle ordinanze, questa Corte,
con sentenza n. 361 del 1998, ha inciso sul quadro normativo
risultante dal disposto degli artt. 210 e 513 cod. proc. pen;
che in tale sentenza la Corte, da un lato, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 513, comma 2, cod. proc.
pen. “nella parte in cui non prevede che, qualora il dichiarante
rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti
concernenti la responsabilità di altri già oggetto delle sue
precedenti dichiarazioni, in mancanza dell’accordo delle parti alla
lettura si applica l’art. 500, commi 2-bis e 4, del codice di
procedura penale”, dall’altro, ha rigettato le eccezioni sollevate
nei confronti dell’art. 210, comma 4, cod. proc. pen., rilevando che
l’attuale qualificazione come imputati dei soggetti indicati in tale
norma rende coerente la scelta del legislatore di attribuire loro la
facoltà di non rispondere ed individuando gli strumenti per porre
rimedio alle censure di illegittimità, già allora rivolte all’art.
210 cod. proc. pen., nell’estensione all’esame dell’imputato in
procedimento connesso su fatti concernenti la responsabilità di
altri della disciplina delle contestazioni prevista per i testimoni
dall’art. 500, commi 2-bis e 4, cod. proc. pen;
che, con riferimento alle questioni sollevate con l’ordinanza
iscritta al n. 112 del r.o. del 1998, ove l’art. 210, commi 4 e 6,
cod. proc. pen. risulta impugnato “in combinato disposto” con gli
artt. 197, lettere a) e b), 208 cod. proc. pen. e 372 cod. pen., e
con l’ordinanza iscritta al n. 220 del r.o. del 1998, ove l’art. 210
cod. proc. pen. è impugnato unitamente all’art. 197 cod. proc.
pen., questa Corte, con la già richiamata sentenza n. 361 del 1998,
da un lato ha esteso l’obbligo di presentarsi al giudice e
l’eventuale accompagnamento coattivo, previsti dall’art. 210, comma
2, cod. proc. pen., all’imputato del medesimo procedimento chiamato
a rendere dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di
altri, dall’altro ha sottoposto i soggetti indicati nell’art. 210,
comma 1, cod. proc. pen., che si avvalgano in dibattimento della
facoltà di non rispondere, alla disciplina processuale prevista
dall’art. 500, commi 2-bis e 4, cod. proc. pen., fermo restando che
alla Corte sarebbe comunque precluso estendere a carico di tali
soggetti la responsabilità penale stabilita per i testimoni in caso
di rifiuto di rispondere, incidendo sulla loro qualificazione
sostanziale;
che, con riguardo alle ordinanze che investono anche la
disciplina transitoria (r.o. nn. 134, 146, 220 e 341 del 1998), la
citata sentenza n. 361 del 1998, nel disporre la restituzione degli
atti relativi a questioni che avevano impugnato l’art. 6 della legge
n. 267 del 1997, ha affermato che doveva essere valutato dai
rimettenti se le questioni potessero considerarsi superate a seguito
della modifica della disciplina a regime, “che ora permette di
recuperare mediante il sistema delle contestazioni i singoli
contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza”;
che pertanto occorre restituire gli atti ai giudici rimettenti
affinché verifichino se, alla luce della nuova disciplina
applicabile a seguito della sentenza n. 361 del 1998, le questioni
sollevate siano tuttora rilevanti.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, ordina la restituzione degli atti al Tribunale
di Lecco, al Tribunale di Venezia, al Tribunale di Trani, alla Corte
di appello di Bologna, al Tribunale di Grosseto, al Tribunale di
Milano e al Tribunale di Palermo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’11 marzo 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Neppi Modona
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 18 marzo 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola