Sentenza N. 1 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
21/01/1967
Data deposito/pubblicazione
21/01/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
17/01/1967
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott.
LUIGI OGGIONI, Giudici,
dell’art. 7 del testo unico delle leggi sull’ordinamento della Corte
dei conti 12 luglio 1934, n. 1214, come integrato dall’art. 2 del D.
L. Lgt. 14 luglio 1945, n. 430, promosso con ordinanza emessa il 3
giugno 1966 dalla Corte dei conti a Sezioni riunite sui ricorsi di Di
Ciaccia Domenico, Zaccaria Giovanni, Costa Albesi Renato ed altri,
iscritta al n. 127 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 168 del 9 luglio 1966.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
Ministri, di Costa Albesi Renato ed altri e di Sacchetto Aleardo;
udita nell’udienza pubblica del 14 dicembre 1966 la relazione del
Giudice Giovanni Cassandro;
uditi gli avvocati Massimo Severo Giannini e Leopoldo Piccardi, per
Costa Albesi ed altri, l’avv. Antonio Sorrentino, per il Sacchetto, e
il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il
Presidente del Consiglio dei Ministri.
l. – Nel corso di un giudizio davanti alla Corte dei conti a
Sezioni riunite i ricorrenti – primi referendari e referendari della
Corte dei conti che avevano impugnato, chiedendone l’annullamento,
quattro decreti del Presidente della Repubblica coi quali erano stati
nominati dieci consiglieri estranei alla magistratura della Corte, –
sollevavano la questione di legittimità del secondo comma, seconda
parte dell’art. 7 del T.U. 12 luglio 1934, n. 1214, e del terzo comma
aggiunto nel medesimo articolo dall’art. 2 del D. L. Lgt. 14 luglio
1945, n. 430. Le norme impugnate dispongono rispettivamente: “Il grado
di consigliere è conferito, per la metà dei posti, a funzionari di
grado quinto della Corte stessa” e “Per i posti di consigliere di
spettanza ad estranei alla Corte, ove la scelta cada su funzionari
dello Stato, questi debbono essere già di grado 4, ovvero di grado 5
che abbiano non meno di tre anni di anzianità in quest’ultimo grado”.
Ad avviso dei ricorrenti queste norme in virtù delle quali il
Governo conferisce la nomina a consigliere della Corte dei conti per la
metà dei posti vacanti ad elementi estranei alla magistratura della
Corte stessa violano l’art. 100, ultimo comma, che dispone: “La legge
assicura l’indipendenza dei due Istituti (Consiglio di Stato e Corte
dei conti) di fronte al Governo”, l’articolo 106, primo comma, giusta
il quale “Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso”; e l’art.
108, secondo comma, della Costituzione che stabilisce: “La legge
assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del
pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano
all’amministrazione della giustizia”.
La Corte dei conti, respinte le eccezioni pregiudiziali mosse dai
resistenti di difetto di giurisdizione-competenza delle Sezioni riunite
e di carenza di interesse dei ricorrenti, riteneva rilevanti e non
manifestamente infondate le questioni di legittimità sollevate dai
ricorrenti, sollevava di ufficio, nei confronti delle ricordate norme
della Costituzione, anche la questione di legittimità della norma
contenuta nel primo comma del citato articolo 7: “Il Presidente della
Corte, i presidenti di Sezione, i consiglieri ed il procuratore
generale sono nominati per decreto reale (ora presidenziale) su
proposta del Capo del Governo, Primo Ministro Segretario di Stato (ora
Presidente del Consiglio dei Ministri), previa deliberazione del
Consiglio dei Ministri”; e in conseguenza, con ordinanza del 3 giugno
1966, sospendeva il giudizio e rimetteva gli atti a questa Corte.
L’ordinanza è stata notificata, comunicata e pubblicata nei modi e
termini di legge.
2. – I motivi che sorreggono il giudizio di non manifesta
infondatezza della questione proposta sono i seguenti, esaminati
nell’ordinanza partitamente rispetto agli artt. 106 e 108, che
garantiscono in generale l’indipendenza dei magistrati della
giurisdizione ordinaria e delle giurisdizioni speciali e all’art. 100
che riguarda specificamente la Corte dei conti nell’esercizio delle sue
funzioni di controllo, stante la duplice funzione che i magistrati
della Corte sono chiamati ad esercitare: giurisdizionale, cioè, e di
controllo.
Le garanzie di indipendenza dei magistrati ordinari e di quelli
delle giurisdizioni speciali quali sono enumerate dagli artt. 106 e 108
della Costituzione (concorso per l’accesso alla carriera; nomine anche
elettive limitate ai soli magistrati onorari e per le funzioni
attribuite ai giudici singoli; chiamata all’ufficio di consigliere di
Cassazione riservata esclusivamente a professori universitari in
materie giuridiche e ad avvocati iscritti negli albi speciali per le
giurisdizioni superiori, nel concorso di meriti insigni e su
designazione del Consiglio superiore della Magistratura), non sarebbero
rispettate dalle norme del citato art. 7 che consentirebbero al Governo
di nominare, senza alcuna regola, indiscriminatamente, estranei alla
qualifica non iniziale di consigliere. Né questo difetto di disciplina
della facoltà attribuita al Governo può ritenersi sanato dalla norma
dell’art. 8, primo comma, del T.U. ricordato, secondo la quale “i
presidenti e consiglieri della Corte non possono essere revocati né
collocati d’ufficio a riposo, né allontanati in qualsiasi altro modo,
se non per decreto reale (ora presidenziale), col parere conforme di
una commissione composta dai presidenti e vicepresidenti del Senato e
della Camera dei deputati”. Osserva l’ordinanza che questa norma, la
quale spiega la sua efficacia dopo la nomina a consigliere, non può
bastare da sola a eliminare ex post i vizi del procedimento che mette
capo alla nomina stessa da parte del Governo.
Quanto alla specifica garanzia d’indipendenza della Corte e dei
suoi membri “di fronte al Governo” disposta dall’art. 100, ultimo
comma, della Costituzione, che va posta in relazione, secondo
l’ordinanza, con il secondo comma del medesimo articolo che affida alla
Corte le funzioni di controllo preventivo di legittimità sugli atti
del Governo e quello successivo sulla gestione del bilancio dello
Stato, l’ordinanza afferma che l’ingerenza del Governo nella nomina dei
consiglieri, nei modi e nei sensi che sono stati ricordati, può
compromettere la garanzia costituzionale prevista allo scopo precipuo
di contenere l’attività amministrativa nei limiti dell’ordinamento
giuridico e viziare il rapporto tra controllante e controllato che,
giusta l’ordinanza, è di natura dialettica.
3. – Si sono costituiti nel presente giudizio i dottori Renato
Costa Albesi, Antonio Esposito, Enzo Delavigne, Giuseppe Mureddu,
ricorrenti nel giudizio a quo, rappresentati e difesi dagli avvocati
Massimo Severo Giannini e Leopoldo Piccardi, con deduzioni depositate
il 25 luglio 1966.
La difesa dei ricorrenti, dopo aver ricordato la duplice funzione
di controllo del Governo e degli enti ausiliari in senso largo del
Governo, e giurisdizionale esplicata dalla Corte dei conti, richiama la
circostanza che la Corte stessa gode di una garanzia costituzionale di
indipendenza anch’essa duplice: di indipendenza, cioè, nella funzione
di controllo – art. 100, comma terzo, della Costituzione – e di
indipendenza nella esplicazione della funzione giurisdizionale – artt.
106, primo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione. Queste
norme, tuttavia, rispondono ad un’unica finalità, proprio in ragione
della funzione della Corte dei conti, come del resto si rileva dal
fatto che, nell’esercizio della giurisdizione contabile, l’attività
giurisdizionale si presenta così connessa con quella di controllo da
consentire a larga parte della dottrina di raffigurare in essa una
figura di conversione in giurisdizionale di un procedimento
amministrativo di controllo di legittimità e contabile.
In particolare, la difesa dei ricorrenti ritiene che la garanzia
stabilita dall’art. 100, terzo comma, della Costituzione, la quale
attiene tanto ai magistrati della Corte, quanto alla Corte come
istituto, “di fronte al Governo”, discende dal fatto che, nel medesimo
art. 100, secondo comma, la Carta costituzionale assegna alla Corte
dei conti controlli preventivi e successivi su atti del Governo. Le
norme, invece, contenute nel secondo e terzo comma dell’art. 106 e nel
secondo comma dell’art. 108 hanno tutte ad oggetto la garanzia
dell’indipendenza dei magistrati e sono state dettate al fine di
evitare che il legislatore ordinario, com’è accaduto più volte in
passato, eludesse con norme di legge organizzative il principio
costituzionale di indipendenza della magistratura in quanto potere e
dei magistrati in quanto persone e titolari d’uffici giudiziari.
Ora, secondo la difesa, delle varie garanzie previste dalla
Costituzione l’unica che sussisterebbe per i magistrati della Corte dei
conti è quella dell’inamovibilità. Non sussisterebbe, invece, la più
importante delle garanzie: quella che attiene non alle persone, ma
all’Istituto, dato che le norme impugnate consentono al Governo di
nominare alla qualifica più alta dei magistrati della Corte dei conti,
quella cioè di consiglieri, persone scelte liberamente senza alcuna
limitazione di attitudini o di capacità. Vero è che l’art. 106 della
Costituzione prevede alla regola dell’ammissione nella magistratura
eccezioni, ma si tratta di eccezioni tassative e per di più assistite
da un procedimento particolare per questi conferimenti, che si
potrebbero dire straordinari, nel quale è previsto un intervento del
Consiglio superiore della Magistratura con poteri di “designazione”.
Rileva poi la difesa dei ricorrenti che norme, che prevedevano analoghe
potestà del Governo o di singoli organi del Governo, stanno tutte
cadendo, non ostante siano attinenti ad uffici amministrativi: restano
in piedi quelle relative alla Corte dei conti che, certamente, non è
un ufficio amministrativo, ma sta al di fuori dell’apparato
amministrativo dello Stato e che è destinata a controllare il Governo,
riferendo al Parlamento perché questo adotti le misure conseguenti.
Sarebbe evidente che l’attribuzione al Governo di un siffatto
potere discrezionale di nomina realizzerebbe la situazione paradossale
del controllato che sceglie il proprio controllore, senza che a ciò
possa essere obiettato che il potere attiene, solo ad una parte degli
uffici della Corte, giacché questi uffici sono proprio quelli di
consigliere, ai quali nell’ordinamento rigorosamente gerarchizzato
della Corte spetta il potere decisionale maggiore: una volta esercitato
il quale, il controllato non può fare altro se non aprire la fase
contenziosa interna del giudizio di controllo. Né può dirsi
sufficiente che il magistrato, nominato che sia, goda della garanzia
dell’inamovibilità relativa: questa non può esaurire il contenuto di
una garanzia del tipo di quella configurata dalla Costituzione, e
lascia del tutto scoperta la garanzia dell’Istituto espressamente
enunciata dall’art. 100. Va ricordato, prosegue la difesa, che il
potere di scelta del titolare di un ufficio pubblico costituisce uno
dei modi più ingenti di condizionamento dell’ufficio stesso, tanto
che, tutte le volte che si vuole garantire ad un ufficio una posizione
di indipendenza anche relativa, si ricorre a più modi di conferimento
e soprattutto si configura un procedimento attraverso adeguate
strumentazioni giuridiche. Conclude chiedendo che sia dichiarata
l’illegittimità costituzionale dei primi tre commi dell’art. 7 del
T.U. 12 luglio 1934, n. 1214, come integrato dall’art. 2 del D. L. Lgt.
14 luglio 1945, n. 430.
4. – In un’ampia memoria arricchita da riferimenti storici,
dottrinali e giurisprudenziali, depositata il 1 dicembre, la difesa dei
ricorrenti sottolinea la rilevanza costituzionale, non già puramente
amministrativa, della Corte dei conti, già esistente nella
costituzione materiale non scritta, nel vigore dello Statuto albertino,
e riconfermata dalle norme di varia garanzia (di attribuzioni della
Corte dei conti, di un principio generale dei rapporti tra Stato ed
enti sovvenzionati) e da un precetto diretto (“riferisce direttamente
alle Camere sul riscontro eseguito”), contenuti nell’art. 100 della
Costituzione. La garanzia di indipendenza, attinente a un principio
insieme organizzativo e interorganico, posto dall’ultimo comma di
questo medesimo articolo è già implicita nelle garanzie che la
precedono: e la sua esplicita enunciazione vuol servire a evitare un
caso di elusione amministrativa, alla stessa guisa delle norme degli
artt. 106, primo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione.
Proseguendo, la difesa sostiene che la Carta costituzionale ha sempre
distinto tra indipendenza dell’organo avente funzioni giurisdizionali e
indipendenza dei magistrati, non già per contrapporre l’una all’altra,
ma perché quando il conferimento di un ufficio è rimesso alla scelta
discrezionale di un soggetto, si verifica un’ingerenza nell’azione
dell’ufficio che non è eliminata dal fatto che il titolare
dell’ufficio sia posto in una posizione garantita (stabilità,
inamovibilità, incensurabilità e via).
Per tutte queste ragioni, alla Corte dei conti devesi attribuire
un’autentica indipendenza. Non vale opporre la qualifica di organo
ausiliario che la Costituzione assegna alla Corte, perché
l’ausiliarietà, per così dire, si porrebbe in funzione di garanzia
non già del Governo, ma della Costituzione. Di qui l’illegittimità
delle norme impugnate, che non può essere contrastata dal fatto che,
rinviando tanto l’art. 100, quanto l’art. 108 alla legge, la
realizzazione della garanzia si avrà solo quando il legislatore
ordinario si decidesse ad emanare la legge prevista. Nel caso in esame,
il rispetto del precetto costituzionale non richiede, come in altri, la
creazione di nuove strutture organizzative, sicché la dichiarata
illegittimità delle norme impugnate non farà se non estendere a tutti
i casi l’applicazione della norma che prevede una nomina all’ufficio di
consigliere senza una scelta assoluta e immotivata.
5. – Si è costituito il prof. Aleardo Sacchetto, resistente nel
giudizio principale, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio
Sorrentino con deduzioni depositate l’11 luglio 1966.
La difesa, dopo aver constatato che l’ordinanza avrebbe accolto
soltanto parte dei motivi addotti dai ricorrenti e dalla stessa Procura
generale presso la Corte dei conti nel giudizio a quo, ritiene che la
questione sia stata Sottoposta a questa Corte sotto due profili:
a) quello del sistema di nomina dei magistrati, che non apparirebbe
conforme alle garanzie di indipendenza stabilite dall’art. 106 della
Costituzione;
b) quello della garanzia dell’indipendenza della Corte dei conti di
fronte al Governo (art. 100 della Costituzione), che potrebbe essere
compromessa dalla nomina immotivata, libera e indiscriminata di
estranei alla Corte, alla qualifica eminente di consigliere.
Ritiene la difesa, quanto al punto sub a, che il disposto dell’art.
106 della Costituzione non sia applicabile direttamente alle
magistrature amministrative. La norma, sia per la sua collocazione, sia
per i riferimenti che contiene alla legge sull’ordinamento giudiziario,
al Consiglio superiore della Magistratura, all’ufficio di consigliere
di Cassazione riguarderebbe soltanto la magistratura ordinaria. Né
sarebbe esatto ritenere che i sistemi di nomina previsti dall’art. 106
siano implicitamente richiamati dall’art. 108 che, in guisa più
generale, dispone che la legge deve assicurare l’indipendenza dei
giudici delle giurisdizioni speciali. A prescindere dalla circostanza
che la norma non potrebbe riguardare la Corte dei conti o il Consiglio
di Stato, che non sono da considerare giurisdizioni speciali, ma
giurisdizioni amministrative, la norma stessa, parlando espressamente
anche di “estranei che partecipano all’amministrazione della
giustizia”, esclude la recezione dei procedimenti previsti dall’art.
106. In verità, secondo la difesa, per i componenti del Consiglio di
Stato e della Corte dei conti esisterebbe una sola norma specifica di
garanzia, quella appunto contenuta nell’art. 100 che dispone che la
legge assicura l’indipendenza dei due istituti e dei loro componenti di
fronte al Governo.
Si dovrebbe perciò dimostrare, prosegue la difesa, che
l’indipendenza del giudice sia vulnerata dal sistema di nomine dirette
previsto dalle norme impugnate. Ma la difesa ritiene che questa
dimostrazione non sia possibile. La stessa ordinanza, infatti,
prospetta la questione piuttosto nei confronti dell’Istituto che non
dei suoi componenti. Ma anche su questo punto non sembra alla difesa
sussistano seri dubbi sulla legittimità del sistema, anche se si può
convenire sull’opportunità di introdurre garanzie nei modi di scelta e
di nomina dei magistrati della Corte dei conti, al fine di evitare la
possibile inserzione di elementi non idonei per svolgere la funzione
alla quale sono chiamati. Un problema, tuttavia, questo, che attiene al
perfezionamento, non all’indipendenza dell’Istituto. Né varrebbe
richiamare, come fa l’ordinanza, il carattere dialettico del rapporto
fra controllato (Governo) e controllante (Corte dei conti), che
escluderebbe che il primo possa ingerirsi nei procedimenti di nomina
concernenti il secondo. Ad avviso della difesa, così si darebbe
prevalenza ad un’esigenza meramente teorica, smentita dalla realtà
storica, dalla garanzia della partecipazione della nomina, del
Presidente della Repubblica, organo estraneo al Governo, e dal
contrasto in cui essa si troverebbe col nostro sistema costituzionale,
secondo il quale proprio gli organi costituzionali traggono spesso,
com’è il caso della Corte costituzionale, origine dagli organi da essi
controllati. La verità starebbe nel fatto che l’indipendenza
dell’Istituto non si distingue dall’indipendenza dei suoi componenti,
ma è la logica conseguenza di questa: sicché, là dove la legge, la
tradizione, il costume pongono il magistrato in posizione di assoluta
libertà nell’esercizio delle sue funzioni, la magistratura nel suo
complesso ha la più piena e assoluta indipendenza.
6. – In una memoria depositata il 1 dicembre, queste ragioni
vengono ribadite e illustrate. La difesa sottolinea in particolare che
il problema, nonostante parrebbe sollevato soltanto nei confronti della
Corte dei conti, riguarderebbe “direttamente e immediatamente” anche il
Consiglio di Stato, nei riguardi del quale, anzi, il Governo godrebbe
di più ampi poteri; ribadisce la tesi che sarebbero stati male
invocati gli artt. 106 e 108 della Costituzione, anche se per
quest’ultimo la questione non ha rilevanza, potendosi il richiamo
ritenere assorbito dalla dedotta violazione dell’ultimo comma dell’art.
100, che, ai fini del problema in esame, ha identica portata; nota che
l’indipendenza del giudice è assicurata dalla inamovibilità, intesa
nel senso più lato, non dal modo della nomina, e richiama al proposito
alcune sentenze di questa Corte; conferma che l’indipendenza
dell’Istituto come tale dipende dall’indipendenza assicurata ai suoi
componenti; aggiunge che il potere di libera collazione non investe
tutti i componenti dei due organi ausiliari, ma soltanto metà; che
alle funzioni giurisdizionali di controllo e consultive partecipano in
posizione di parità i referendari, e che la gradualità con cui si fa
luogo alle nomine limiterebbe estremamente le possibilità di nominare
persone favorevoli al Governo; sostiene, infine, che il sistema
tradizionale della formazione composita delle magistrature
amministrative, pure sollevata davanti all’Assemblea costituente, non
fu ritenuta non conforme ai principi di indipendenza da essa
sanzionati.
7. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri,
parte nel giudizio principale, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
dello Stato, depositando le sue deduzioni l’11 luglio 1966.
Anche per l’Avvocatura l’art. 106 non avrebbe nulla da vedere né
in modo diretto, né per via di una possibile analogia, con le
modalità di nomina dei consiglieri della Corte dei conti. E anche
l’Avvocatura auspica che il legislatore ponga limiti ben precisi
all’incondizionato potere di nomina del Governo, ed elenchi i requisiti
richiesti in particolare per gli estranei all’amministrazione. Ma il
fatto che questa normativa manchi non costituisce una illegittimità
costituzionale.
La questione sta dunque tutta nel punto se la libera collazione
governativa dei posti di consigliere di Stato o della Corte dei conti
vulneri l’indipendenza degli Istituti e dei magistrati che li
compongono. E la questione si risolve nel significato da attribuire al
termine “indipendenza”, usato nell’ultimo comma dell’art. 100 della
Costituzione.
L’ordinanza prospetta la questione sotto un duplice punto di vista:
quello dell’indipendenza dei magistrati compromessa dall’esercizio di
un potere discrezionale da parte del Governo in contrasto con la regola
della nomina per concorso; l’altro, dell’indipendenza dell’Istituto nei
confronti del Governo, compromessa anch’essa dai provvedimenti di
nomina governativa improntati a latissima discrezionalità.
Sul primo punto l’Avvocatura osserva che, se può sostenersi che in
altre epoche sia sussistito un nesso di dipendenza tra chi è stato
nominato, investito o iniziato, verso colui che ha nominato, investito
o iniziato: un nesso che l’Avvocatura qualifica ex datione muneris,
codesto nesso non sussiste più in uno Stato come lo Stato moderno, in
cui non esiste nessun collegamento giuridico tra il modo di nomina e
l’esercizio della funzione. Non si potrà dire, nota l’Avvocatura, che
la nomina di tutti i componenti della Corte costituzionale disposta dai
poteri centrali dello Stato vulneri l’indipendenza di questa nei
confronti dello Stato parte contro la Regione nei giudizi di
legittimità costituzionale delle leggi proposti in via principale
dalle Regioni o contro le Regioni e nei conflitti di attribuzione. La
verità è che l’indipendenza dei magistrati si consegue nello Stato
moderno mediante due istituti: l’inamovibilità e l’autodichia o
giurisdizione domestica e del pari, l’uno e l’altro sussistenti nei
confronti dei magistrati della Corte dei conti; a favore dei presidenti
e dei consiglieri della quale v’è, poi, l’ulteriore garanzia del
parere conforme di una Commissione parlamentare per ogni provvedimento
di Stato.
La questione dell’indipendenza dell’Istituto risulta, ad avviso
dell’Avvocatura, compresa in quella dell’indipendenza dei magistrati.
La questione, infatti, verte unicamente intorno al modo di nomina
dei consiglieri, non già sul modo in cui la Corte svolge le sue
funzioni. Ora, se le cose stanno così, si dovrebbe sostenere che
l’indipendenza della Corte potrà essere garantita soltanto da nomine
per cooptazione o per concorso. Ma la cooptazione è fenomeno di fatto
sconosciuto in Italia, e non si può pensare che il Costituente l’abbia
avuta in mente dettando gli artt. 100 e 108 a presidio
dell’indipendenza della Magistratura. E quanto al concorso non v’è
nella Costituzione una norma in tal senso. Non nell’ultimo comma
dell’art. 97, che fa salvi espressamente i casi stabiliti dalla legge,
non nell’art. 106, che prevede i magistrati onorari e i consiglieri di
cassazione nominati per meriti insigni, né negli artt. 100 e 108.
Conclude chiedendo che la Corte dichiari infondate le questioni di
legittimità costituzionale sollevate dall’ordinanza.
8. – In una memoria depositata il 30 novembre l’Avvocatura svolge
ampiamente le proprie tesi difensive, articolando in sette punti le sue
conclusioni: a) è principio generale che le supreme magistrature
possono essere costituite con la partecipazione di elementi estranei;
b) la nomina di elementi esterni all’ufficio di consigliere della Corte
dei conti non contrasta con l’art. 106, primo comma, della
Costituzione, che va inquadrato nel sistema vigente per l’ordinamento
giudiziario e non è applicabile alle supreme magistrature
amministrative e neppure alla stessa Corte di cassazione; c) la
questione dell’indipendenza dei consiglieri della Corte dei conti non
può porsi soltanto per i consiglieri di nomina esterna, giacché anche
i primi referendari sono nominati con decreto presidenziale su proposta
del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa delibera del
Consiglio dei Ministri su parere non vincolante del Consiglio di
Presidenza della Corte; d) il sistema di nomina e di scelta non
pregiudica l’indipendenza dell’organo se a questo e ai suoi componenti
sono assicurate adeguate garanzie, che non possono che operare “dopo” e
non “prima” che il prescelto abbia assunto lo status di magistrato; e)
la nomina del cinquanta per cento riservata ad estranei alla Corte, non
lede l’indipendenza dell’Istituto; f) l’indipendenza della Corte dei
conti come istituto è assicurata dall’indipendenza dei suoi presidenti
e consiglieri oltre che dalla mancanza di potere del Governo o di altri
organi sulle determinazioni di tale Magistratura e sulla revoca degli
atti di essa, oltre che dalle norme che direttamente ne garantiscono lo
svolgimento delle attribuzioni; g) una misura diversa del numero dei
consiglieri di nomina esterna, una maggiore garanzia circa le
qualifiche dei nominabili, una più adeguata risposta alle esigenze di
carriere dei referendari e primi referendari, pur se auspicabile, sono
questioni che in definitiva riguardano l’uso del potere discrezionale
del legislatore ordinario.
9. – All’udienza pubblica del 14 dicembre 1966 le difese delle
parti hanno illustrato e svolto le rispettive tesi difensive,
insistendo nelle conclusioni già prese.
1. – La questione sottoposta alla Corte verte sul punto se sia
conforme alla Costituzione la facoltà riconosciuta al Governo di
nominare all’ufficio di consigliere della Corte dei conti persone che,
per usare l’espressione della legge, non sono “funzionari di grado V
(ora primi referendari) della Corte stessa”. Ne consegue che non
vengono in discussione nella loro integrità i tre commi impugnati
dell’art. 7 del T.U. 12 luglio 1934, n. 1214, ma quella parte di essi
dalla quale, soltanto indirettamente, si ricava la facoltà del Governo
di ricoprire “i posti di consigliere di spettanza ad estranei alla
Corte”. La stessa ordinanza, del resto, ha cura di sottolineare che
l’impugnativa va limitata “naturalmente” alla parte “che concerne la
nomina di estranei alla qualifica di consigliere”.
Si afferma che l’illegittimità delle norme impugnate deriva dal
contrasto, in cui esse si trovano con l’art. 106, primo comma, l’art.
108, secondo comma, l’art. 100, terzo comma, della Costituzione.
La questione così delimitata non è fondata.
2. – Innanzi tutto non è fondata nei confronti dell’art. 106,
primo comma. La regola che le nomine dei magistrati abbiano luogo per
concorso non è di per sé una norma di garanzia d’indipendenza del
titolare di un ufficio, sibbene d’idoneità a ricoprire l’ufficio. Può
ritenersi, tuttavia, che nell’ambito di un sistema, quale quello
delineato dalle norme contenute nel titolo IV sezione I della Carta
costituzionale, la nomina per concorso, che pur in quest’ambito patisce
eccezioni, concorra a rafforzare e a integrare l’indipendenza dei
magistrati. Senonché, codesto sistema riguarda soltanto la
Magistratura ordinaria, come risulta evidente dalle norme contenute
nell’invocato art. 106 e negli articoli, che lo precedono e lo seguono,
104, 105, 107, 109, 111, che definiscono la magistratura ordinaria un
ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, e istituiscono e
regolano, a garanzia di codesta autonomia e indipendenza, il Consiglio
superiore della Magistratura. Né vale richiamare il fatto che in
questo medesimo titolo si trovi l’art. 103, il secondo comma del quale
dichiara che la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di
contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge, perché
questa disposizione, che trova giustamente il suo posto dove si
definisce e regola tutto “l’ordinamento giurisdizionale”, non è
sufficiente a ricondurre la Corte dei conti nell’ambito della
magistratura ordinaria e delle norme di garanzia che questa riguardano.
3. – La difesa del resistente ha sostenuto che, nel presente
giudizio, non viene in considerazione nemmeno la norma dell’art. 108,
secondo comma, che affida alla legge (riserva di legge assoluta) di
assicurare l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, per
il motivo che la Corte dei conti non può essere annoverata tra questa.
Ora, è vero che la Costituzione definisce la Corte dei conti un organo
ausiliario del Governo nel senso, deve ritenersi, che essa contribuisce
ad assicurare il rispetto del principio di legalità
nell’amministrazione, ma è vero altresì che la stessa Costituzione
affida alla Corte dei conti la tutela giurisdizionale di diritti
soggettivi e di interessi legittimi, configurandola, così, anche come
un organo di giurisdizione.
Quale delle funzioni attribuite alla Corte sia prevalente e debba
caratterizzare l’Istituto è questione che non occorre risolvere in
questa sede, essendo sufficiente constatare che anche la Carta
costituzionale parla di giurisdizione della Corte dei conti,
considerandola, tuttavia, a parte tra le giurisdizioni speciali, come
si ricava dalla VI disposizione transitoria, la quale, disponendo la
revisione degli organi speciali di giurisdizione, ne esclude “le
giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei
tribunali militari”.
Non occorre, peraltro, affrontare questa questione direttamente nel
presente giudizio, giacché la disposizione generale del secondo comma
dell’art. 108 compare, come disposizione particolare per la Corte dei
conti e con una speciale accentuazione, nell’ultimo comma dell’art.
100, secondo il quale “la legge assicura l’indipendenza dei due
Istituti (Consiglio di Stato e Corte dei conti) e dei loro componenti
di fronte al Governo”. Si può ritenere, perciò, che la questione
sollevata nei confronti dell’art. 108 sia assorbita dall’altra proposta
nei confronti dell’art. 100 o che faccia tutt’uno con questa.
Nemmeno in questi termini la questione è fondata. Una volta
escluso, infatti, che la nomina per concorso debba necessariamente
intervenire per assicurare l’indipendenza dei magistrati delle
giurisdizioni speciali, per le quali, anzi, la provvista dell’ufficio
in modi diversi e con procedimenti diversi da quelli del concorso può
essere necessaria, o quanto meno opportuna, per il raggiungimento delle
finalità loro assegnate (com’è evidente nel caso della Corte dei
conti, non potendosi negare l’opportunità di acquisire all’Istituto
esperienze maturate nell’ambito dell’amministrazione attiva), resta da
vedere se le disposizioni impugnate siano tali da minare l’indipendenza
dei consiglieri della Corte dei conti. Ma ciò non può dirsi, e per
quel che si è osservato di sopra e sarà osservato più avanti, e
soprattutto perché la norma dell’art. 8 del T.U. citato stabilisce una
valida garanzia di indipendenza, disponendo che i consiglieri della
Corte dei conti non possano essere revocati, né collocati a riposo di
ufficio, né allontanati in qualsiasi altro modo senza il parere
conforme di una commissione composta dai Presidenti e dai vice
Presidenti dei due rami del Parlamento.
4. – Del resto, la medesima ordinanza e la difesa dei ricorrenti
non sembrano insistere su questo punto dell’indipendenza dei
consiglieri, ma piuttosto sull’altro dell’indipendenza dell’Istituto,
che la nomina di una parte dei suoi componenti da parte del Governo
comprometterebbe. La questione non è fondata nemmeno sotto questo
profilo. Anche a non voler accogliere la tesi del resistente, che può
apparire semplicistica, giusta la quale l’indipendenza del “corpo” sia
una sola cosa con l’indipendenza dei suoi membri, è evidente che
l’indipendenza dell’Istituto deve ricercarsi nei modi in cui esso
svolge le sue funzioni, non già in quelli coi quali si provvede a
regolare la nomina dei suoi membri. Basta richiamare in questa sede le
norme che regolano lo svolgimento dell’attività di controllo e di
quella giurisdizionale della Corte dei conti, perché risulti evidente
come l’attività dell’Istituto si svolga libera da ogni intervento
estraneo, in piena indipendenza, e senza possibilità di ingerenza da
parte del Governo. Né può obiettarsi, come fa l’ordinanza, che la
mancanza di una precisa normativa delle nomine governative invalidi la
garanzia disposta dal citato art. 8 del T.U. I modi nei quali la nomina
avviene riguardano l’atto di nomina ed esauriscono in questo ogni loro
effetto. Una volta che la nomina sia avvenuta, cessa ogni vincolo che
eventualmente sussista tra il Governo che nomina e la persona che viene
nominata, a null’altro tenuta se non all’obbedienza alla legge: e
subentra la garanzia dell’art. 8 che non si può davvero affermare
perda di efficacia per le particolarità dell’atto di nomina che
necessariamente la precede.
Nemmeno accettabile la tesi della difesa dei ricorrenti che il
potere di scelta del titolare di un ufficio sia uno dei modi più
“ingenti” di condizionamento dell’ufficio e che esso si risolva in una
ingerenza nell’azione che l’ufficio è chiamato a svolgere. La tesi non
è esatta o per lo meno non ha la validità generale e assoluta che le
si vuole conferire, dovendosi tenere d’occhio in concreto il sistema
nel quale quel potere di nomina s’inserisce e che, nel caso in esame,
non consente la predeterminazione dei modi di attuazione delle funzioni
affidate all’Istituto, concorrendo a questo fine anche la circostanza,
sottolineata dagli stessi ricorrenti, che sono diversi i modi di nomina
dei componenti della Corte. Né si può dire che ciò che non avviene
per ragione del sistema, si verifichi poi nel fatto, perché, nel caso
che si esamina, non si tratta dell’istituzione ex novo e uno actu di un
corpo, nella nomina dei membri del quale il Governo interviene per la
metà dei posti da coprire; né v’è la possibilità delle cosiddette
“infornate”, cioè del potere arbitrario del Governo di modificare la
composizione di un organo con un numero illimitato di nuove nomine al
fine di ottenere da esso l’approvazione o l’adozione di un determinato
provvedimento. Si tratta, viceversa, di nomine a un numero limitato di
posti, man mano che si rendono vacanti per eventi diversi, distanziate
nel tempo e perciò fatte da governi diversi o addirittura di opposto
orientamento. In queste circostanze non pare che si possa parlare del
“condizionamento” di un organo, dell’indipendenza del quale non si
dubitò mai, prima ancora del 1923, quando la nomina di tutti i suoi
membri era di spettanza del Governo.
Alla pubblica udienza, infine, la difesa dei ricorrenti ha
affermato che il congegno delle nomine tenderebbe ad assicurare nel
tempo la prevalenza numerica dei consiglieri di libera nomina
governativa. Ma l’affermazione, non valida sul piano giuridico, perché
non è da questo calcolo delle probabilità che può dedursi
l’illegittimità delle nomine dei consiglieri della Corte dei conti da
parte del Governo, non è esatta nel fatto, perché le cose stanno
nella maniera opposta da quando la legge 20 dicembre 1961, n. 1345,
riservò ai soli primi referendari i nuovi posti di consigliere che
essa istituiva nella sua prima applicazione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione, sollevata con ordinanza della
Corte dei conti a Sezioni riunite, sulla legittimità costituzionale
dell’art. 7 del T.U. delle leggi sull’ordinamento della Corte dei conti
12 luglio 1934, n. 1214, in riferimento agli articoli 100, terzo
comma, 106, primo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 gennaio 1967.
GASPARE AMBROSINI – ANTONINO PAPALDO
– NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO
– BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO MANCA-
ALDO SANDULLI- GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI.