Sentenza N. 1 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
04/01/1999
Data deposito/pubblicazione
04/01/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1998
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
206 e 207, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di
razionalizzazione della finanza pubblica), come modificato dall’art.
6, comma 6-bis del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito
in legge 28 febbraio 1997, n. 30 (Disposizioni urgenti in materia
tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di
finanza pubblica per l’anno 1997), promosso con ordinanza emessa il 5
maggio 1998 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto dal Ministero
delle finanze contro Confedir e Dirstat Finanze, iscritta al n. 550
del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visto l’atto di costituzione della Confedir e Dirstat Finanze,
nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 10 novembre 1998 il giudice
relatore Cesare Ruperto;
Uditi l’avvocato Carlo Rienzi per la Confedir e Dirstat Finanze e
l’Avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio
dei Ministri.
posti disponibili nei profili professionali di sesta, settima ed
ottava qualifica funzionale dell’Amministrazione finanziaria,
attraverso corsi di riqualificazione professionale, erano stati
adottati dall’amministrazione stessa i decreti di bando delle prove
di accesso ai corsi.
La Confedir e la Dirstat Finanze avevano chiesto che fosse sospesa
l’efficacia di tali decreti al Tribunale amministrativo regionale del
Lazio, il quale aveva accolto la domanda cautelare limitatamente alle
procedure selettive per la sesta e l’ottava qualifica funzionale.
Avverso l’ordinanza di sospensione il Ministero delle finanze aveva
quindi proposto appello cautelare, rigettato dal Consiglio di Stato.
Contestualmente, peraltro le organizzazioni sindacali attrici in via
d’urgenza avevano altresì proposto appello incidentale per la
sospensione dell’efficacia del bando relativo alle prove d’ammissione
ai corsi di riqualificazione della settima qualifica funzionale.
Nel corso di quest’ultimo giudizio cautelare il Consiglio di Stato,
con ordinanza emessa il 5 maggio 1998, ha sollevato – in riferimento
agli artt. 3 e 97, primo e terzo comma, della Costituzione –
questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 205, 206
e 207, della legge 29 dicembre 1995, n. 549 (Misure di
razionalizzazione della finanza pubblica), come modificato dall’art.
6, comma 6-bis del d.-l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito in
legge 28 febbraio 1997, n. 30 (Disposizioni urgenti in materia
tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di
finanza pubblica per l’anno 1997).
Tale normativa – espone il rimettente – istituisce procedimenti
interni, detti di “riqualificazione”, per la copertura dei posti
disponibili nelle dotazioni organiche degli uffici finanziari dal
quinto al nono livello. Ai relativi corsi possono partecipare, previo
superamento della prova selettiva scritta di cui ai bandi impugnati,
i dipendenti appartenenti alle qualifiche funzionali immediatamente
inferiori a quelle cui sono indirizzati i corsi – salvo che per la
settima – purché in servizio da cinque anni ed in possesso del
titolo di studio previsto per la qualifica alla quale concorrono,
ovvero da dieci anni con titolo di studio inferiore. A conclusione
dei corsi, vertenti su materie professionali, è prevista una prova
teorico-pratica.
In questo modo – rileva il Consiglio di Stato – si realizza il
conferimento di tutti i posti disponibili in organico nelle
qualifiche in esame mediante concorso interno; ma – ricorre il
rimettente – questa Corte, dopo aver qualificato il passaggio ad una
fascia funzionale superiore come una figura di reclutamento analoga
al pubblico concorso, ha dichiarato l’illegittimità dei concorsi
interni totalmente riservati al personale dell’amministrazione che li
bandisce, pronunciandosi in riferimento a leggi regionali, sulla base
di princìpi comunque estensibili anche alla legge statale.
La legittimità dei concorsi interni è stata, viceversa, affermata
– aggiunge il rimettente – in presenza di peculiari esigenze o
situazioni, quali l’esercizio pregresso di mansioni superiori, non
ravvisabili nei procedimenti de quibus, che sono vo’lti, secondo la
legge, ad incrementare l’attività di controllo, ad assicurare
l’efficienza dei servizi, la semplificazione e la trasparenza nei
rapporti con i contribuenti. Finalità, queste ultime, che, in quanto
genericamente connesse all’affinamento della professionalità dei
pubblici dipendenti, non costituiscono motivo valido per derogare al
modello concorsuale pubblico, il quale, consentendo anche la
partecipazione degli estranei, assicura il reclutamento dei migliori.
Né i concorsi valorizzerebbero, nella specie, preesistenti
professionalità (come accade nella richiamata ipotesi dell’esercizio
di fatto di mansioni superiori) ma sarebbero unicamente preordinati a
verificare la formazione somministrata durante un corso
tecnico-pratico, in un procedimento comune a tutti i candidati
ammessi. Donde la prospettata violazione dell’art. 97, commi primo e
terzo, Cost., nonché dell’art. 3 della Costituzione “in relazione
alla difformità di regime giuridico per l’accesso ai profili
professionali rispetto alle altre amministrazioni dello Stato”.
2. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, che ha concluso
per la manifesta infondatezza della questione, osservando anzitutto
come la normativa impugnata preveda che le censurate procedure di
riqualificazione vengano definite dall’Agenzia per la rappresentanza
negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (ARAN) d’intesa con le
organizzazioni sindacali. In secondo luogo – rileva l’Avvocatura –
il totale dei posti messi a concorso (18.477) non copre l’intero
organico delle qualifiche funzionali dalla VI alla IX. Per queste la
dotazione organica è di 47.625 unità; a fronte di una presenza in
servizio di 29.149 unità, vi sarebbe una disponibilità di 23.476
posti. La differenza, indicata dall’Avvocatura in 4.999 unità
sarebbe “da destinare ai concorsi esterni”.
Secondo l’Autorità intervenuta, inoltre, gran parte del personale
“reclutato” tramite le procedure sospettate di illegittimità
costituzionale, sarebbe destinato alla “lotta all’evasione” (sia pure
con prevalente riguardo alla VI qualifica), con ciò evidenziandosi
quelle peculiari esigenze che connoterebbero l’azione amministrativa
finanziaria, giustificando, in aggiunta alle finalità proprie dei
corsi, un reclutamento interno alla stregua delle affermazioni della
stessa giurisprudenza costituzionale.
Peraltro il richiamo a quest’ultima, compiuto dal giudice a quo,
non sarebbe pertinente in ragione della natura paraconcorsuale delle
riqualificazioni vòlte a disciplinare avanzamenti di carriera,
materia in cui è riconosciuta un’ampia discrezionalità al
legislatore, sia pure con il limite derivante dall’art. 97 della
Costituzione. Non si verterebbe infatti in tema di accesso al
rapporto di pubblico impiego, bensì ricorrerebbe un fenomeno di mera
progressione di qualifica del personale già in servizio nella
pubblica amministrazione.
Conclusivamente, l’Avvocatura ricorda alcune affermazioni di questa
Corte a proposito di normative finalizzate a riequilibrare i rapporti
creatisi tra le categorie di personale a séguito di mutamenti
dell’organizzazione del lavoro e degli uffici, giudicate conformi ai
princìpi di buon andamento ed imparzialità.
3. – Nel giudizio dinanzi a questa Corte si sono costituite la
Confedir e la Dirstat Finanze, chiedendo dichiararsi fondata la
questione e depositando altresì nell’imminenza dell’udienza
un’articolata memoria. Osservano anzitutto le parti come attraverso
l’impugnata normativa si realizzerebbe l’attribuzione di tutti i
posti vacanti nella pianta organica del Ministero delle finanze
(circa 20.000 unità per le qualifiche funzionali della quinta e
della nona) in assenza di procedure concorsuali aperte a tutti;
inoltre esse ricordano come nel nostro ordinamento la procedura
concorsuale abbia sempre costituito un generale criterio di accesso
al pubblico impiego sin dal R.D. n. 2960 del 1923, ricevendo la sua
“consacrazione” nell’art. 97, primo e terzo comma, Cost. La normativa
– proseguono le parti – ha sempre previsto che i posti disponibili
fossero attribuiti mediante concorso pubblico per titoli, per esami o
attraverso il corso-concorso; di talché, nella specie avrebbe dovuto
essere indetta una pubblica procedura concorsuale, riservando, al
più, un’aliquota di posti al personale interno.
La deroga a tale canone fondamentale può ammettersi soltanto in
presenza di situazioni differenti e peculiari rispetto a quelle che
danno luogo al pubblico concorso, e deve pur sempre assicurare il
buon andamento della pubblica amministrazione. Ma nessuno
degl’indicati presupposti ricorrerebbe nella specie.
Di tutta evidenza risulterebbe poi l’assenza di peculiari
finalità, posto che la necessità di incrementare l’efficienza dei
servizi e la semplificazione e la trasparenza altro non sarebbero che
obiettivi istituzionali di qualsiasi amministrazione; né potrebbero
utilmente richiamarsi quei casi in cui questa Corte ha ammesso le
procedure selettive interne (come nel passaggio dal sistema delle
carriere a quello delle qualifiche funzionali, ipotesi,
evidentemente, del tutto peculiare). Anche allorquando la deroga è
stata ritenuta legittima – si osserva – questa Corte ha sempre
effettuato un puntuale controllo sulle concrete modalità con cui
veniva svolta la selezione.
Dopo aver ribadito come non esiste alcun titolo che legittimi la
partecipazione esclusiva del personale ministeriale alle procedure di
reinquadramento, ed aver altresì adombrato anche la violazione
dell’art. 51 della Costituzione per il danno recato ai cittadini
esclusi dai concorsi, malgrado il possesso dei titoli, le parti
insistono in modo particolare sulla dedotta illegittimità
costituzionale in riferimento all’attribuzione della settima
qualifica funzionale. Qui, in virtù dell’espressa deroga contenuta
nella lettera c) del comma 206, non è neppure richiesta la
provenienza dalla qualifica immediatamente inferiore.
dell’art. 3, commi 205, 206 e 207, della legge 28 dicembre 1995, n.
549, come modificato dall’art. 6, comma 6-bis, del d.-l. 31 dicembre
1996, n. 669, convertito in legge 28 febbraio 1997, n. 30. A suo
parere la denunciata normativa, consentendo la copertura dei posti
disponibili nelle dotazioni organiche dell’amministrazione
finanziaria per i livelli dal quinto al nono – attraverso
procedimenti di riqualificazione riservati al personale appartenente
alle qualifiche funzionali inferiori, e consistenti in una prova
scritta, in un corso ed in una prova tecnico-pratica finale – lede
l’art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione per la violazione
della regola del pubblico concorso ed il pregiudizio recato al buon
andamento della pubblica amministrazione dalla copertura di tutti i
posti disponibili attraverso un reclutamento esclusivamente interno.
Un ulteriore vulnus è poi prospettato, dal rimettente, in relazione
all’art. 3 della Costituzione per l’asserita difformità di regime
giuridico rispetto all’accesso ai profili professionali nelle altre
amministrazioni dello Stato.
2. – La questione è fondata.
2.1. – Va premesso che il presente scrutinio di legittimità
costituzionale investe la denunciata normativa solo nei limiti in cui
disciplina l’accesso alla settima qualifica funzionale. Infatti, il
giudizio dinanzi al Consiglio rimettente – secondo quanto chiarito
nell’ordinanza – è stato già definito con il rigetto dell’appello
cautelare (principale) relativamente alla sospensiva dei bandi aventi
ad oggetto l’accesso alle qualifiche sesta ed ottava, di talché la
sollevata questione ha rilevanza unicamente ai fini della decisione
sull’appello incidentale proposto contro la mancata sospensiva del
bando con cui sono state indette le prove selettive per
l’attribuzione della settima qualifica funzionale.
2.2. – La denunciata normativa stabilisce che i posti disponibili
nelle dotazioni organiche dei livelli dal quinto al nono degli uffici
finanziari vengano coperti attraverso procedure finalizzate alla
riqualificazione del personale. Secondo il comma 205, tali procedure
sono definite dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle
pubbliche amministrazioni d’intesa con le organizzazioni sindacali, e
sono attuate “in via sperimentale” per incrementare l’attività di
controllo ed assicurare altresì il massimo grado di efficienza dei
servizi nonché la semplificazione e la trasparenza dei rapporti con
i contribuenti.
Nel successivo comma 206 sono poi fissati i criteri generali cui
vanno improntate le procedure. A riguardo, il testo originario –
contenuto nella legge finanziaria n. 549 del 1995 – prevedeva lo
svolgimento di corsi di riqualificazione, aggiornamento e
specializzazione organizzati dal Dipartimento della funzione pubblica
d’intesa con il Ministero delle finanze, allo stesso modo disponendo
circa la nomina delle commissioni; con la modifica introdotta dal
citato d.-l. n. 669 del 1996 si è soppresso ogni intervento del
Ministro per la funzione pubblica e inoltre i corsi sono stati
articolati su base regionale. L’accesso ai corsi medesimi viene
subordinato allo svolgimento di una prova selettiva diretta a
dimostrare la conoscenza dei servizi e la competenza necessaria per
l’esercizio delle mansioni relative al profilo cui è indirizzato
ciascun corso.
Il comma 207, infine, consente che – dopo il superamento della sola
prova d’ingresso appena descritta – i dipendenti possano essere
utilizzati, in via provvisoria, presso l’ufficio di destinazione con
le funzioni inerenti al profilo superiore e col relativo trattamento
economico.
Ai corsi – “salvo che per l’accesso (proprio, e solo) alla settima
qualifica funzionale” – sono ammessi i dipendenti in servizio al 31
dicembre 1994 appartenenti alle qualifiche funzionali immediatamente
inferiori a quella cui sono indirizzati i corsi medesimi, purché in
servizio da cinque anni ed in possesso del titolo di studio
prescritto per l’accesso alla qualifica alla quale concorrono ovvero
di un titolo di studio inferiore se si tratta di dipendenti in
servizio da almeno dieci anni.
Inizialmente era previsto che i corsi vertessero su materie di
diritto tributario amministrativo e ragioneria; ma, a séguito della
summenzionata modifica, la normativa contempla soltanto “materie
attinenti ai profili professionali cui sono indirizzati i corsi
stessi”; al termine dei quali i candidati vengono sottoposti ad una
prova di carattere teorico-pratico.
2.2.1. – Chiamata più volte a pronunciarsi sulle norme
costituzionali che individuano nel concorso il mezzo ordinario per
accedere agli impieghi pubblici, questa Corte ha ripetutamente
sottolineato la relazione intercorrente tra l’art. 97 e gli artt. 51
e 98 Cost., osservando come in un ordinamento democratico – che
affida all’azione dell’amministrazione, separata nettamente da quella
di governo (politica per definizione), il perseguimento delle
finalità pubbliche obiettivate dall’ordinamento – il concorso
pubblico, quale meccanismo di selezione tecnica e neutrale dei più
capaci, resti il metodo migliore per la provvista di organi chiamati
ad esercitare le proprie funzioni in condizioni d’imparzialità ed al
servizio esclusivo della Nazione. Valore, quest’ultimo, in relazione
al quale il principio posto dall’art. 97 della Costituzione impone
che l’esame del merito sia indipendente da ogni considerazione
connessa alle condizioni personali dei vari concorrenti (cfr.
sentenze n. 333 del 1993 e n. 453 del 1990).
Deroghe alla regola del concorso, da parte del legislatore, sono
ammissibili soltanto nei limiti segnati dall’esigenza di garantire il
buon andamento dell’amministrazione (cfr., per tutte, sentenza n. 477
del 1995) o di attuare altri princìpi di rilievo costituzionale, che
possano assumere importanza per la peculiarità degli uffici di volta
in volta considerati: ad esempio, quando si tratti di uffici
destinati in modo diretto alla collaborazione con gli organi politici
o al supporto dei medesimi.
A codesto regime non si è ritenuto sottratto nemmeno il passaggio
ad una fascia funzionale superiore, nel quadro di un sistema, come
quello oggi in vigore, che non prevede carriere, o le prevede entro
ristretti limiti, nell’a’mbito dell’amministrazione: in tale
passaggio è stata, infatti, ravvisata una forma di reclutamento che
esige anch’essa un selettivo accertamento delle attitudini (cfr.
sentenze n. 320 del 1997, nn. 134 e 528 del 1995, n. 314 del 1994, n.
487 del 1991 e n. 161 del 1990). In particolare nella sentenza n. 314
del 1994, viene osservato come l’abnorme diffusione del concorso
interno per titoli nel passaggio da un livello all’altro produce una
distorsione che, oltre a reintrodurre surrettiziamente il modello
delle carriere in una nuova disciplina che ne presuppone invece il
superamento, si riflette negativamente anche sul buon andamento della
pubblica amministrazione.
L’accesso al concorso può, ovviamente, essere condizionato al
possesso di requisiti fissati in base alla legge, e in tal modo non
è da escludere a priori che possa stabilirsi anche il possesso di
una precedente esperienza nell’a’mbito dell’amministrazione, ove
questo si configuri ragionevolmente quale requisito professionale.
Ma quando ciò non si verifichi, la sostituzione al concorso di
meccanismi selettivi esclusivamente interni ad un dato apparato
amministrativo non si giustifica alla luce degli accennati princìpi
costituzionali.
Trattasi, in verità, di affermazioni rese prevalentemente con
riguardo a leggi regionali; nondimeno esse sono tutte riferibili
anche all’amministrazione dello Stato, attesi i parametri
costituzionali cui attengono.
2.2.2. – Alle esposte considerazioni in tema d’imparzialità ne
vanno aggiunte altre – di decisiva importanza, siccome relative al
parallelo principio dell’efficienza -, che trovano riscontro nel
disegno di riforma sinteticamente qualificato “privatizzazione del
pubblico impiego”.
Ha rilevato la Corte come attraverso tale privatizzazione il
legislatore abbia inteso garantire, senza pregiudizio della
imparzialità, anche il valore dell’efficienza, grazie a “strumenti
gestionali” che consentano di assicurare il contenuto della
prestazione in termini di produttività ovvero una sua più
flessibile utilizzazione (sentenza n. 309 del 1997). Ed ha più volte
richiamato l’esigenza di razionalizzazione amministrativa, che lega
in un rapporto di funzionalità la materia delle assunzioni e della
progressione nelle qualifiche con la definizione delle piante
organiche e la verifica dei carichi di lavoro; parlando in proposito
di “principi fondamentali posti dalla legislazione dello Stato in
materia di pubblico impiego” (sentenza n. 479 del 1995), oltre che di
“norme di riforma economico sociale” (sentenza n. 406 del 1995, cui
fa richiamo anche la già citata sentenza n. 528 del 1995).
2.2.3. – La normativa in esame contraddice totalmente i princìpi
appena sintetizzati: nel quadro di una sorta di globale scivolamento
verso l’alto di quasi tutto il personale dell’amministrazione
finanziaria, essa realizza un’anacronistica forma di generalizzata
cooptazione, che proprio per quanto concerne in particolare l’accesso
alla settima qualifica – oggetto del presente scrutinio di
costituzionalità – pone in evidenza ulteriori elementi di
irragionevolezza. Infatti l’ammissione ai corsi, non solo riguarda
tutti i posti disponibili nella detta qualifica ed è riservata ai
soli dipendenti in servizio ad una certa data, ma è consentita
perfino a quanti, fra questi, non appartengono alla qualifica
immediatamente inferiore: così finendosi col conferire
all’anzianità di servizio una funzione del tutto abnorme. Il
dipendente, anche in mancanza del titolo di studio prescritto – e
prescindendo perfino dal criterio dell’esercizio di fatto delle
mansioni superiori – viene ammesso al corso di riqualificazione
soltanto con il superamento di una prova scritta di contenuto più
che mai generico, con l’ulteriore possibilità di esercitare subito
dopo, sia pure in via provvisoria, le funzioni connesse alla
qualifica superiore. E tale genericità si estende ai contenuti del
corso stesso e dell’esame finale; il che suscita fondati dubbi anche
sull’idoneità di un tale modo di selezione a consentire una seria
verifica della professionalità richiesta per detta qualifica. Ma, a
parte ciò, si tratterebbe comunque di formazione professionale
somministrata proprio attraverso i corsi cui i (soli) dipendenti
vengono abilitati ad accedere, e che dunque prescinde dalle effettive
attitudini antecedentemente poste in luce dai dipendenti medesimi.
2.2.4. – L’insieme delle denunciate previsioni normative realizza,
pertanto, una deviazione dai princìpi ispiratori – segnatamente dopo
la grande riforma di cui sopra si è detto – dell’organizzazione
amministrativa. Deviazione non giustificata da una specifica esigenza
di garantire il buon andamento della pubblica amministrazione. A
quest’ultimo proposito è appena il caso di osservare che le ragioni
enunciate dal legislatore per legittimare l'”esperimento” dei corsi
coincidono integralmente con le stesse finalità istituzionali
dell’amministrazione finanziaria.
Avuto riguardo particolare al principio dell’efficienza, basta
confrontare i profili professionali relativi alla settima qualifica
funzionale quali risultano dall’analitica previsione dei compiti e
delle responsabilità descritti nel d.P.R. 29 dicembre 1984, n.
1219, con le mansioni prevalentemente esecutive inerenti alle
qualifiche inferiori, per comprendere come la denunciata normativa
rappresenti l’esatto contrario di strumenti di gestione del personale
volti ad assicurarne l’impiego migliore.
2.3. – Conclusivamente, allora, la denunciata normativa è da
ritenersi contrastante, nonché con l’art. 97, primo e terzo comma,
Cost., col criterio stesso della ragionevolezza; restando assorbito
ogni altro profilo d’illegittimità costituzionale prospettato dal
rimettente.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 205,
206 e 207, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di
razionalizzazione della finanza pubblica), come modificato dall’art.
6, comma 6-bis del d.-l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito in
legge 28 febbraio 1997, n. 30 (Disposizioni urgenti in materia
tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di
finanza pubblica per l’anno 1997), limitatamente alle procedure di
riqualificazione per l’accesso alla settima qualifica funzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1998.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Ruperto
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 4 gennaio 1999.
Il cancelliere: Fruscella