Sentenza N. 100 del 1993
Corte Costituzionale
Data generale
19/03/1993
Data deposito/pubblicazione
19/03/1993
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/03/1993
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.
Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Legge fallimentare), promosso con
ordinanza emessa il 31 gennaio 1992 dal Tribunale di Cassino nel
procedimento civile vertente tra fallimento di De Blasis Antonio e
Carducci Mariolina, in De Blasis, ed altro, iscritta al n. 682 del
registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 1992;
Visto l’atto di costituzione della curatela del fallimento di De
Blasis Antonio;
Udito nell’udienza pubblica del 26 gennaio 1993 il Giudice
relatore Fernando Santosuosso;
Udito l’avvocato Fulvio Fabrizi per la curatela del fallimento di
De Blasis Antonio;
Corte costituzionale il 12 ottobre 1992, il Tribunale di Cassino
riteneva rilevante e non manifestamente infondata la questione di
illegittimità costituzionale dell’art. 69 della legge fallimentare
(regio decreto 16 marzo 1942, n. 267), in riferimento agli articoli 3
e 24 della Costituzione.
Premetteva il Tribunale che, nel corso della procedura
fallimentare nei confronti di Antonio De Blasis, il curatore,
rilevato che con due rogiti trascritti il 7 gennaio 1981 ed il 17
giugno 1981, il fallito aveva donato alla moglie alcuni immobili,
chiedeva che il Tribunale dichiarasse in via alternativa detti negozi
assolutamente simulati ( ex art. 1416 del codice civile) o revocati
ai sensi dell’art. 69 della legge fallimentare ovvero dell’art. 2901
del codice civile, e comunque privi di effetto nei confronti della
massa dei creditori ammessi al passivo del fallimento, con la
conseguente restituzione degli immobili e dei frutti.
2. – Osservava il Tribunale che, a seguito della sentenza della
Corte costituzionale del 27 giugno 1973, n. 91, con la quale è stata
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 781 del codice
civile, non sussiste più il divieto di donazione fra i coniugi. La
conseguente liceità di siffatte donazioni, ad avviso del remittente,
determina una lacuna nella disciplina fallimentare, dal momento che,
mentre le donazioni fra coniugi compiute nel biennio anteriore al
fallimento possono ritenersi inefficaci ai sensi dell’art. 64 della
legge fallimentare riguardante tutti gli atti a titolo gratuito a
vantaggio di chiunque, per le liberalità tra coniugi compiute in
epoca più remota, come quelle oggetto delle azioni proposte dal
curatore, sorgono problemi di irragionevolezza e disparità di
trattamento nella normativa residuata alla predetta dichiarazione di
illegittimità costituzionale.
3. – Ed invero – osserva il Tribunale – se si applicasse la norma
(art. 2901 del codice civile) relativa alla revocatoria ordinaria, si
avrebbe una sperequazione, sotto il duplice profilo del regime
probatorio e della decorrenza della prescrizione, fra il trattamento
normativo più esigente della sorte degli atti a titolo gratuito
oltre il biennio dal fallimento rispetto a quello più facilitato
della revoca degli atti a titolo oneroso tra coniugi (art. 69 della
legge fallimentare). Né, d’altra parte, appare possibile al
Tribunale, in via di interpretazione estensiva o per analogia,
applicare quest’ultima disposizione anche agli atti a titolo gratuito
oltre il biennio, ostandovi la chiara portata della stessa e il
divieto di applicazione analogica di una norma contenente una
presunzione legale.
Il Tribunale, pertanto, dichiara rilevante e non manifestamente
infondata, in relazione agli articoli 3, 1° comma, e 24, 1° comma,
della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 69 della legge fallimentare, nella parte in cui non
comprende nel proprio ambito di applicazione gli atti a titolo
gratuito compiuti più di due anni prima della dichiarazione di
fallimento, ma nel tempo in cui il fallito esercitava un’impresa
commerciale.
4. – Si è costituita in questa sede la curatela del fallimento
per aderire incondizionatamente alla questione di illegittimità
costituzionale sollevata d’ufficio dal Tribunale e chiedendo che la
stessa venga accolta. Ribadisce in proposito il curatore che
l’abolizione dello storico divieto di donazioni fra coniugi, già
previsto dall’art. 781 del codice civile, fu giustificato dalla Corte
costituzionale con riferimento ai rapporti interni fra coniugi, in
quanto limitava la capacità contrattuale dei cittadini coniugati e
riduceva la loro libertà di iniziativa economica. Ma in quella
occasione non fu considerato che, nei riflessi esterni, ai creditori
concorrenti deriverebbe per gli atti gratuiti una tutela deteriore
rispetto ai negozi a titolo oneroso stipulati dai coniugi nel
medesimo periodo di esercizio dell’impresa commerciale.
della legge fallimentare nella parte in cui non comprende nel proprio
ambito di applicazione gli atti a titolo gratuito compiuti tra i
coniugi più di due anni anteriori alla dichiarazione del fallimento,
ma nel tempo in cui il fallito esercitava l’impresa commerciale.
Il Tribunale rimettente ha ritenuto anzitutto rilevante la
questione ai fini della decisione “dal momento che il curatore del
fallimento ha invocato, sia pure in via alternativa, l’anzidetta
norma, onde ottenere la dichiarazione giudiziale di inefficacia nei
confronti dei creditori concorrenti degli impugnati atti di
donazione, compiuti dal fallito a vantaggio della moglie in epoca
anteriore di oltre due anni alla dichiarazione di fallimento”.
In proposito, è appena il caso di ricordare che spetta al giudice
a quo ritenere quale sia l’ordine logico di esame delle varie domande
introitate a sentenza (art. 277 del codice di procedura civile),
oltre che valutare se la controversia non possa essere decisa senza
affrontare la questione di costituzionalità (si vedano le sentenze
n. 73 del 1991, n. 97 del 1987 e n. 139 del 1980 della Corte
costituzionale).
2. – La questione è fondata.
Giova premettere che il complesso quadro normativo disegnato dal
legislatore del 1942 per tutelare i creditori da atti pregiudizievoli
alle loro ragioni era composto da norme contenute sia nel codice
civile (per le situazioni generali che prescindono dal fallimento),
sia nella legge fallimentare per il particolare ambito applicativo di
detta procedura concorsuale. Sul primo versante il codice prevedeva:
a) l’azione revocatoria cosiddetta ordinaria, esercitabile alle varie
condizioni previste dall’art. 2901, ed applicabile anche in sede
fallimentare per l’esplicito richiamo contenuto nell’art. 66 della
legge fallimentare; b) il divieto di liberalità fra coniugi, salvo
quelle conforme agli usi, sancito dall’art. 781; e ciò per motivi
inerenti a rapporti interni alla coppia e per la tutela dei creditori
del donante.
Sul versante della procedura fallimentare, il legislatore
tracciava un sistema revocatorio molto differenziato, prevedendosi la
disciplina più rigorosa dell’inefficacia automatica ex lege per gli
atti a titolo gratuito e per l’anticipazione di pagamenti compiuti
nel biennio anteriore al fallimento (artt. 64, 65), e quella meno
rigorosa, di revoca a determinate condizioni, per atti a titolo
oneroso o cambiali scadute (artt. 67, 68).
A questa normativa comune se ne aggiungeva una particolare,
riguardante specificamente gli atti fra coniugi, considerati dal
legislatore con maggiore diffidenza presumendosi che il coniuge sia
la persona più in grado di conoscere lo stato di insolvenza
dell’imprenditore e più disposta a colludere con lui. In questo caso
la legge prevedeva (oltre il generale divieto di donazioni
sopracennato) sia la revoca degli atti a titolo oneroso compiuti tra
i coniugi durante tutto il tempo in cui il fallito esercitava
un’impresa commerciale, per una presunzione iuris tantum di
conoscenza dello stato di insolvenza (art. 69), sia la cosiddetta
praesumptio muciana sulla provenienza del danaro per gli acquisti del
coniuge del fallito (art. 70).
3. – Il sistema ora ricordato ha subito qualche successiva
alterazione, oltre che per la menzionata dichiarazione di
incostituzionalità dell’art. 781 del codice civile (sentenza n. 91
del 1971 della Corte costituzionale), anche per il sopravvenire della
riforma del diritto di famiglia (Legge n. 151 del 1975), da cui è
derivata l’inapplicabilità della presunzione muciana al coniuge del
fallito in regime di comunione legale (Cassazione, n. 351, n. 6079,
n. 7338 del 1990).
L’abrogazione del divieto di donazioni fra coniugi, giustificato
dalla citata sentenza per violazione del principio di eguaglianza fra
cittadini e per la riduzione della libertà della iniziativa
economica dei coniugi (ma con un accenno anche al risvolto del
possibile pregiudizio dei diritti di terzi), ha fatto sorgere
notevoli dubbi sulla coerenza della disciplina applicabile agli atti
gratuiti fra coniugi con le altre norme di risulta nel quadro
complessivo della tutela delle ragioni dei creditori; problema che la
dottrina e la giurisprudenza espressamente dichiarano di difficile
soluzione, in sede interpretativa.
4. – Secondo una prima tesi, le donazioni tra coniugi, oltre il
biennio, non più nulle ma ancora pregiudizievoli per i creditori,
potrebbero essere attualmente revocate nell’ambito della procedura
fallimentare soltanto ai sensi dell’azione generale dell’art. 2901
del codice civile, ancorché gli stessi autori lamentino che le
condizioni previste per detta azione siano ora ingiustificatamente
più gravose di quelle relative alla revoca degli atti a titolo
oneroso tra coniugi. Ed invero, mentre per questi ultimi la legge
(art. 69 della legge fallimentare) presume nell’acquirente la
conoscenza dello stato di insolvenza del fallito e la mala fede
dell’alienante, l’art. 2901 pone invece a carico del creditore (e per
esso del curatore) il notevole onere di provare, anche per gli atti a
titolo gratuito, tutte le condizioni previste dal numero 1) della
citata norma (e cioè la conoscenza dell’eventus damni e, in certi
casi, anche il consilium fraudis). Senza contare che la prescrizione
per la revoca degli atti a titolo oneroso ex art. 69 della legge
fallimentare decorre dalla data della dichiarazione di fallimento,
mentre quella per gli atti a titolo gratuito risalirebbe al momento
in cui essi sono compiuti, favorendo così la prescrizione
dell’azione.
5. – Ad evitare queste incongruenze e disparità, altri studiosi –
sia pure con notevoli perplessità – ed una parte della
giurisprudenza di merito ritengono che la soluzione del problema vada
rinvenuta estendendo l’applicabilità di norme contenute nella legge
speciale anche agli atti di liberalità compiuti oltre il biennio dai
coniugi con pregiudizio per i creditori fallimentari. Pur non
escludendosi, cioè, l’eventualità di un possibile ricorso alla
revocatoria ordinaria (richiamata espressamente dall’art. 66 della
legge fallimentare), si è evidenziata l’esigenza di una soluzione
che, da una parte, eviti le incongruenze derivanti dalla sola
applicabilità dell’art. 2901 agli atti di liberalità tra coniugi,
dall’altra, sia più coerente col trattamento che la legge
fallimentare riserva agli atti gratuiti ed a quelli onerosi compiuti
dai coniugi.
Premesso che il caso degli atti gratuiti tra coniugi effettuati
nel biennio rientra ovviamente nell’applicabilità della norma
generale prevista dall’art. 64 della legge fallimentare, ove invece
si tratti di atti a titolo gratuito tra coniugi prima ancora del
biennio si cerca quale sia la norma suscettibile di espansione per la
sua ratio e per le condizioni più prossime a tale secondo caso.
Va in proposito osservato che, a prescindere dai limiti del
petitum dell’ordinanza di rimessione, che appunto individua tale
norma nell’art. 69, effettivamente questa disposizione, anche se
riguardante gli atti a titolo oneroso, contiene due elementi di
prossimità alla predetta seconda ipotesi, essendo essa infatti
riferita specificamente solo agli atti tra coniugi e ad atti posti in
essere nel periodo di esercizio dell’impresa, anche oltre il biennio
anteriore al fallimento.
6. – La dilatazione della portata della citata norma all’ipotesi
degli atti gratuiti tra coniugi oltre il biennio non può essere
affermata mediante interpretazione estensiva, dati i chiari limiti
del contenuto della norma stessa, né per analogia, ove si consideri
che le presunzioni legali, costituite solo in forza di speciali
disposizioni di legge, danno luogo ad jus singulare, come tale non
suscettibile di applicazione analogica.
Non resta che la via di una pronunzia di incostituzionalità
parziale, che meglio assicuri la certezza del diritto, dal momento
che la soluzione adeguatrice consiste nell’estensione logicamente
necessitata ed in certo senso implicita nella potenzialità
interpretativa del contesto normativo in cui è inserita la
disposizione impugnata (Corte costituzionale, sentenza n. 8 del
1987). Ed invero, la irragionevolezza della norma dell’art. 69
sopravvenuta all’abrogazione del divieto di donazioni tra coniugi
(art. 781 del codice civile), può essere superata ampliando la
portata della disposizione originariamente limitata alla revocatoria
degli atti a titolo oneroso compiuti tra coniugi anche oltre il
biennio – limitazione ormai priva di fondamento logico – agli atti di
liberalità tra coniugi nello stesso periodo, altrimenti revocabili
solo alle condizioni più rigorose previste dall’art. 2901 e con una
decorrenza prescrizionale più svantaggiosa.
Può conclusivamente ritenersi che gli aspetti di irragionevolezza
sopra esposti sono in contrasto con i principi dell’art. 3 della
Costituzione, restando assorbita la prospettazione del giudice a quo
in riferimento all’art. 24 della Costituzione. L’estensione
dell’intero testo dell’art. 69 della legge fallimentare agli atti
gratuiti non disperde qualche residuo margine di disarmonia, come
quello della rilevanza della prova contraria del coniuge sulla sua
ignoranza circa lo stato di insolvenza del fallito (mentre ciò è
previsto dall’art. 2901, n. 2, del codice civile solo per l’ipotesi
degli atti a titolo oneroso); ma eliminare tali residui margini è
compito del legislatore.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69 del regio
decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Legge fallimentare), nella parte in
cui non comprende nel proprio ambito di applicazione gli atti a
titolo gratuito compiuti tra coniugi più di due anni prima della
dichiarazione di fallimento, ma nel tempo in cui il fallito
esercitava un’impresa commerciale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 marzo 1993.
Il presidente: CASAVOLA
Il redattore: SANTOSUOSSO
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 19 marzo 1993.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA