Sentenza N. 101 del 1981
Corte Costituzionale
Data generale
19/06/1981
Data deposito/pubblicazione
19/06/1981
Data dell'udienza in cui è stato assunto
29/04/1981
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO
REALE – Prof. LEOPOLDO ELIA – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Prof.
LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA –
Prof. VIRGILIO ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,
d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo
delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria) e 9
della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti
pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale) promosso con
ordinanza emessa il 1 marzo 1978 dal pretore di Reggio Emilia nel
procedimento civile vertente tra Santi Albertina e l’INPS, iscritta al
n. 308 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 264 del 20 settembre 1978.
Visto l’atto di costituzione di Santi Albertina, rappresentata e
difesa dall’avv. Franco Agostini;
udito nell’udienza pubblica del 12 novembre 1980 il Giudice
relatore Antonino De Stefano;
udito l’avv. Franco Agostini per Santi Albertina.
1. – Con ricorso al pretore di Reggio Emilia, come giudice del
lavoro, in data 26 settembre 1977, Albertina Santi, titolare di
pensione a carico della C.P.D.E.L. (Cassa di previdenza dipendenti
enti locali) e in possesso dei requisiti per ottenere, presso
l’assicurazione generale obbligatoria, una pensione supplementare,
premesso che questa le era stata liquidata, in data 3 settembre 1973,
senza gli aumenti, di lire 2.400 mensili, e del 10 per cento,
previsti, rispettivamente, dall’art. 1 del d.P.R. 27 aprile 1968, n.
488, e dall’art. 9 della legge 30 aprile 1969, n. 153, nel rivendicare
il proprio diritto alla corresponsione dei suddetti aumenti,
sosteneva pregiudizialmente che tali disposizioni, con l’accordare gli
aumenti medesimi ai soli titolari di pensioni supplementari con
decorrenza anteriore al 1 maggio 1968 e al 1 gennaio 1969, e con
l’escluderne i titolari delle stesse pensioni liquidate
successivamente, erano in contrasto con gli artt. 3 e 38 della
Costituzione; chiedeva, quindi, che nei confronti di esse, nella parte
relativa a tale esclusione, fosse sollevata questione di legittimità
costituzionale.
La richiesta si basava soprattutto sulla sentenza di questa Corte
n. 37 del 1977. Con questa decisione, emessa su una controversia
concernente la concessione dell’aumento del 10 per cento, previsto dal
citato art. 9 della legge n. 153 del 1969, alle pensioni autonome
liquidate in forma contributiva, limitatamente a quelle con decorrenza
anteriore al 1 gennaio 1969, tale articolo era stato dichiarato
illegittimo, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, nella
parte appunto in cui escludeva dall’aumento del 10 per cento le
pensioni autonome con decorrenza successiva al 31 dicembre 1968
liquidate ancora in forma contributiva, per opzione degli interessati,
secondo le disposizioni vigenti prima del 1 maggio 1968. Secondo la
ricorrente, questa sentenza della Corte, pur essendo stata pronunciata
riguardo alle pensioni autonome dell’assicurazione generale
obbligatoria, si attagliava perfettamente (anche per quel che
riguardava il mancato aumento in misura fissa di lire 2.400) data la
evidente analogia delle rispettive situazioni, alla questione
sollevata, nel caso, riguardo alle pensioni supplementari.
Al ricorso si opponeva l’INPS. Dopo aver concluso, in via
principale, per il rigetto di tutte le istanze della ricorrente,
l’Istituto formulava una domanda subordinata, chiedendo che, nel caso
in cui il pretore avesse ritenuto non manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente,
riguardo alla mancata estensione degli aumenti alle pensioni
supplementari liquidate dopo il 30 aprile e, rispettivamente, dopo il
31 dicembre 1968, fosse dichiarata non manifestamente infondata anche
un’altra questione di legittimità costituzionale – che lo stesso INPS
prospettava, nei confronti delle medesime disposizioni, in riferimento
all’art. 3 della Costituzione – riguardo alla concessione degli
aumenti, da esse prevista, alle pensioni supplementari liquidate in
precedenza. Nessuna ragione, ad avviso dell’INPS, giustificava,
infatti, i benefici concessi, atteso che una norma che disponga un
beneficio per le pensioni supplementari anteriori alla propria
entrata in vigore, quando le pensioni supplementari aventi decorrenza
posteriore non godano di un beneficio corrispondente per effetto del
nuovo sistema di liquidazione, è del tutto illogica. Per questo, e non
per altro, dunque – concludeva l’INPS – le disposizioni dell’art. 1
del d.P.R. n. 488 del 1968 e dell’art. 9 della legge n. 153 del 1969
dovevano riconoscersi incostituzionali.
2. – Iniziata la trattazione della causa, il pretore, in data 1
marzo 1978, pronunciava una ordinanza, con la quale disponeva la
trasmissione degli atti a questa Corte. Il giudice a quo, dopo aver
enunciato nel preambolo del provvedimento di rimessione che oggetto
del giudizio promosso contro l’INPS era la “richiesta di liquidazione
di aumento del 10 per cento sulla pensione supplementare con decorrenza
successiva al 1 gennaio 1969, e di aumento di lire 2.400 sulla
pensione supplementare con decorrenza successiva al 1 maggio 1968”,
afferma che “entrambe le parti” avrebbero chiesto dichiararsi non
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
delle norme di cui agli artt. 1 del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488 e 9
della legge 30 aprile 1969, n. 153, in relazione agli artt. 3, comma
primo, e 38, comma secondo, della Costituzione, in quanto escludono
dagli aumenti da esse rispettivamente previsti le pensioni
supplementari “liquidate anteriormente al 1 maggio 1968” (così si
legge testualmente). Osserva altresì il pretore che “la proposta
questione non appare manifestamente infondata atteso che le norme
richiamate introducono una disparità di trattamento tra cittadini
senza apparente giustificazione in relazione a situazioni
obiettivamente differenziate, e che tale disparità sembra
concretizzare un contrasto con il disposto dell’art. 3, comma primo,
della Costituzione, in quanto coloro che hanno ottenuto la
liquidazione del supplemento di pensione in regime contributivo in
data anteriore o posteriore al 1 maggio 1968 e godono di un
trattamento base identico e, a parità di contribuzione e di
anzianità assicurativa, godono di pensioni di pari ammontare, si
trovano ad ottenere, o a vedersi negare, gli aumenti sopra indicati
soltanto in dipendenza dal fatto che le loro pensioni siano state o
meno liquidate anteriormente alla data del 1 maggio 1968”.
Secondo la ordinanza di rinvio, inoltre, le disposizioni impugnate
collidono con l’art. 38, comma secondo, della Costituzione, in quanto,
a parità di trattamento pensionistico base, il diniego degli aumenti
di cui sopra ai lavoratori “pensionati prima del 1 maggio 1968” (così
si legge testualmente) non contribuisce a garantire la concreta
attuazione del loro diritto ad ottenere mezzi di sussistenza adeguati
alle loro esigenze di vita.
Quanto alla rilevanza della questione, ad avviso del giudice a
quo, essa dipende dal fatto che, ove la Corte costituzionale
dichiarasse la fondatezza della questione medesima, ne deriverebbe
alla ricorrente la possibilità di chiedere l’attribuzione degli
aumenti di pensione denegatile per essere “la sua pensione
supplementare stata liquidata anteriormente al 1 maggio 1968” (così
si legge testualmente).
3. – Adempiute le formalità di rito per la notifica, comunicazione
e pubblicazione della ordinanza, con atto di deduzioni in data 29
giugno 1978 si è costituita innanzi alla Corte la sig.ra Santi. Non
si è costituito l’INPS, né si è avuto intervento da parte del
Presidente del Consiglio dei ministri.
Nel chiedere che la questione sia riconosciuta fondata e le norme
impugnate dichiarate in parte qua illegittime, la difesa della
ricorrente osserva che la questione da essa sollevata nel giudizio a
quo riguarda le pensioni supplementari liquidate dopo il 31 dicembre
1968, e quindi, ovviamente, dopo il 30 aprile dello stesso anno. È
questo, infatti, il caso della Santi, alla quale la pensione
supplementare fu liquidata senza l’aumento del 10 per cento di cui
all’art. 9 della legge n. 153 del 1969, e senza l’aumento in misura
fissa di lire 2.400 mensili di cui all’art. 1 del d.P.R. n. 488 del
1968, in quanto la liquidazione si effettuò dopo le date anzidette.
Tale esclusione, disposta dalle norme impugnate, deve ritenersi
illegittima.
È del tutto irrazionale e ingiustificato che gli aumenti in
questione, una volta riconosciuti per le pensioni supplementari
liquidate rispettivamente prima del 1 maggio 1968 e del 1 gennaio
1969, siano negati, a parità di tutte le altre condizioni, nei casi
in cui le pensioni stesse siano state liquidate in un momento
successivo. La esclusione degli aumenti in tale ipotesi contrasta
perciò con gli artt. 3 e 38 della Costituzione. Come già aveva
sostenuto nel giudizio a quo, la difesa della ricorrente ribadisce che
la questione è del tutto analoga a quella decisa, con parziale
dichiarazione di illegittimità, sotto altro aspetto, dell’art. 9
della legge n. 153 del 1969, con la sentenza di questa Corte n. 37 del
1977. È vero, si ammette, che quella sentenza fu pronunciata riguardo
alle pensioni autonome e non alle pensioni supplementari; ma le norme
impugnate, nel concedere gli aumenti alle pensioni liquidate
rispettivamente prima del 1 maggio 1968 e del 1 gennaio 1969, si
applicano indifferentemente sia alle pensioni autonome che alle
pensioni supplementari. Nessuna differenza sostanziale – si aggiunge
nell’atto di deduzioni – vi è, d’altra parte, fra le pensioni
supplementari e le pensioni autonome dell’assicurazione generale
obbligatoria liquidate in forma contributiva, riguardo alle quali la
sentenza n. 37 del 1977 fu pronunciata. I criteri di determinazione
della pensione sono del tutto analoghi, in quanto, in ambedue le
ipotesi, consentono di valorizzare la contribuzione versata ed
accreditata.
Sulla analogia della questione in oggetto con quella già
riconosciuta fondata dalla Corte con la sentenza n.37 del 1977, la
difesa della parte ha insistito anche in una successiva memoria. Se è
vero – si ribadisce – che il caso in questione riguarda le pensioni
supplementari, mentre in quello allora deciso si trattava di pensioni
autonome, nulla muta nella sostanza del problema. La pensione
supplementare non può, infatti, essere liquidata che secondo il
sistema contributivo, cioè appunto in relazione ai contributi
versati: per sua stessa natura non potrebbe essere liquidata nella
forma e con il sistema retributivi. Né si dica che trattandosi di un
supplemento di pensione, per esso non debbano essere corrisposte le
integrazioni di legge, e che perciò con la esclusione di queste non
si abbia disparità di trattamento. Nel sistema previsto dal
legislatore, quando ancora non era consentita la ricongiunzione di
tutte le posizioni previdenziali come poi attuata, ai sensi della
legge 7 febbraio 1979, n. 29, diversi spezzoni di pensione venivano a
formare un trattamento complessivo, che, più vantaggiosamente
realizzato oggi, con la legge del 1979, necessariamente doveva essere
allora integrato secondo le norme comuni. La mancanza di queste
integrazioni determina quindi, anche per le pensioni supplementari,
una ingiustificata diseguaglianza.
4. – All’udienza pubblica la difesa della parte, richiamati gli
argomenti svolti nell’atto di deduzioni e nella successiva memoria, ha
concluso per la fondatezza della questione.
1. – Le pensioni supplementari a carico dell’assicurazione generale
obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei
lavoratori dipendenti, sono state aumentate, dal 1 maggio 1968, nella
misura di lire 2.400 mensili, per effetto dell’art. 1 del d.P.R. 27
aprile 1968, n. 488; e dal 1 gennaio 1969, nella misura pari al 10 per
cento del loro ammontare, per effetto dell’art. 9 della legge 30
aprile 1969, n. 153.
La Corte è chiamata ad accertare se tali disposizioni contrastino
con gli artt. 3 e 38 della Costituzione nella parte in cui limitano
gli aumenti da esse concessi, alle pensioni supplementari aventi,
rispettivamente, decorrenza anteriore al 1 maggio 1968 ed al 1 gennaio
1969, negandoli a quelle con decorrenza posteriore, per la prima
norma, al 30 aprile 1968, e per la seconda, al 31 dicembre dello stesso
anno.
In siffatti termini va puntualizzata la questione sollevata
innanzi al pretore di Reggio Emilia, e da questo dichiarata rilevante
e non manifestamente infondata, dovendosi, in base alle risultanze
degli atti, attribuire a mero errore materiale il riferimento che in
taluni passi del provvedimento di rimessione, come esposto in
narrativa, viene invece fatto, in contraddizione con il chiaro dettato
normativo, ad una esclusione dagli aumenti per le pensioni aventi
decorrenza anteriore alle su indicate date.
2. – La questione è fondata.
Il d.P.R. n. 488 del 1968, in adempimento della delega conferita
con legge 21 luglio 1965, n. 903, e rinnovata ed integrata con legge
18 marzo 1968, n. 238, ha introdotto – come già messo in evidenza
nelle precedenti sentenze di questa Corte n. 128 del 1973 e n. 37 del
1977 – un nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico
dell’assicurazione generale obbligatoria, aventi decorrenza posteriore
al 30 aprile 1968. Al sistema contributivo (riferito all’ammontare dei
contributi versati), cui erano informate le precedenti leggi, veniva
sostituito il sistema retributivo (riferito alle ultime retribuzioni
percepite dal lavoratore): l’importo della pensione veniva cioè,
determinato applicando alla retribuzione media annua pensionabile,
desumibile dalle ultime 156 settimane coperte da contribuzione, una
percentuale in corrispondenza con l’anzianità di contribuzione,
graduata in modo tale da consentire, con il massimo di servizio
pensionabile, una pensione pari al 65 per cento della retribuzione. La
misura massima della percentuale di commisurazione della pensione alla
retribuzione è stata poi elevata al 74 ed all’80 per cento,
rispettivamente per le pensioni aventi decorrenza dopo il 31 dicembre
1968 e dopo il 31 dicembre 1975 (art. 11 legge n. 153 del 1969).
Dalla nuova disciplina, in linea generale più favorevole
agl’interessati, sono rimasti esclusi – per effetto del criterio di
gradualità, seguito dal legislatore nell’attuazione della riforma, e
che questa Corte, con la citata sentenza n. 128 del 1973, ha
riconosciuto “compatibile con le esigenze e gl’interessi
costituzionalmente garantiti” – i lavoratori, la cui pensione abbia
decorrenza anteriore al 1 maggio 1968. In compenso, lo stesso decreto
n. 488 del 1968 ha disposto (art. 1), in favore di questi ultimi, la
corresponsione di un aumento della loro pensione, liquidata secondo il
sistema contributivo, nella misura di lire 2.400 mensili. Tale
aumento, per effetto dell’art. 14 del citato decreto n. 488 del 1968,
è stato riconosciuto anche alle pensioni autonome con decorrenza
successiva al 30 aprile 1968, qualora esse, in virtù di opzione
esercitata dall’interessato ai sensi del medesimo articolo, vengano
liquidate nella misura risultante dal calcolo effettuato secondo il
sistema contributivo, quale regolato dalle precedenti leggi.
L’aumento anzidetto è stato accordato dall’impugnato art. 1 del
decreto n. 488 del 1968, non soltanto alle pensioni ordinarie, di cui
si è fin qui discorso, ma anche alle pensioni supplementari, quali
disciplinate dall’art. 5 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, come
modificato dall’art. 12 dello stesso decreto n. 488 del 1968.
Trattasi di pensioni corrisposte, a carico dell’assicurazione generale
obbligatoria, in relazione a periodi di contribuzione per lavoro
svolto prima o dopo il periodo che ha dato titolo a pensione diretta,
liquidata da forme di previdenza sostitutive di tale assicurazione, o
che ne comportino l’esclusione o l’esonero; ed il relativo calcolo ha
per base i contributi versati o accreditati nell’assicurazione
generale, sempre che detti contributi non siano sufficienti per il
diritto a pensione autonoma.
Per le pensioni supplementari l’aumento è limitato, dalla
denunciata norma dell’art. 1 del decreto n. 488 del 1968, a quelle
aventi decorrenza anteriore al 1 maggio 1968. Ma la esclusione di
quelle aventi posteriore decorrenza non è suffragata – come per le
pensioni ordinarie – dalla concomitante sostituzione del più
vantaggioso sistema retributivo a quello contributivo. Solo di
recente, infatti, e precisamente con l’art. 7 della legge 23 aprile
1981, n. 155, per le pensioni supplementari da liquidare è stato
adottato il sistema di calcolo in forma retributiva. In precedenza,
pur dopo l’entrata in vigore del decreto n. 488 del 1968, le pensioni
supplementari continuavano ad essere liquidate (per effetto del
combinato disposto degli artt. 4, comma quarto, e 5, comma terzo,
lett. b), della legge n. 1338 del 1962, nei testi rispettivamente
sostituiti dagli artt. 19 e 12 del decreto n. 488 del 1968) assumendo
a base del calcolo i contributi versati od accreditati, mediante un
sistema contributivo che, pur variato nel procedimento in virtù delle
menzionate sostituzioni, conduceva sempre agli stessi risultati che si
sarebbero ottenuti applicando le originarie disposizioni, antecedenti
al decreto n. 488 del 1968. Pertanto, una volta che il legislatore si
era determinato a corrispondere l’aumento di lire 2.400 mensili alle
pensioni supplementari, appare ingiustificata la introdotta
distinzione tra quelle aventi decorrenza anteriore al 1 maggio 1968 e
quelle aventi decorrenza posteriore al 30 aprile 1968, tutte
accomunate dal medesimo regime giuridico. Sì che deve riconoscersi
fondata la dedotta violazione del pricipio di eguaglianza, sancito
dall’art. 3 della Costituzione, avendo la norma impugnata riservato
diverso trattamento, senza plausibile motivo, a soggetti versanti in
identiche condizioni.
Né può al riguardo configurarsi un criterio di gradualità
temporale, preordinato ad una progressiva attuazione del concesso
beneficio, giacché, come la Corte ha affermato con la ricordata
sentenza n. 37 del 1977, “se può ammettersi che un trattamento
migliorativo possa non essere esteso a soggetti che hanno
anteriormente già definito la propria posizione di quiescenza, non
può certamente ammettersi che soggetti i quali maturano il diritto
relativo in data posteriore, possano ricevere un trattamento deteriore
rispetto a quelli che quel diritto hanno anteriormente maturato”.
3. – Alle stesse conclusioni deve pervenirsi per l’art. 9 della
legge n. 153 del 1969, egualmente denunciato dal pretore di Reggio
Emilia. Tale norma ha disposto, con effetto dal 1 gennaio 1969, che le
pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per
l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti,
aventi decorrenza anteriore a tale data, siano aumentate in misura
pari al 10 per cento del loro ammontare.
Per quanto concerne le pensioni ordinarie, questa Corte, con la
citata sentenza n. 37 del 1977, ha già dichiarato la illegittimità
costituzionale, per violazione del principio di eguaglianza, di detto
articolo, nella parte in cui esclude dall’aumento del 10 per cento le
pensioni aventi decorrenza posteriore al 31 dicembre 1968 e che sono
state liquidate, a seguito di opzione dell’interessato, secondo le
disposizioni vigenti anteriormente al 1 maggio 1968, e cioè con
l’applicazione del sistema contributivo in luogo di quello retributivo
introdotto a far tempo da tale data.
Ma le pensioni supplementari, alle quali l’impugnata norma è
stata dall’ente erogatore ritenuta applicabile attesa la sua generica
dizione, dovevano essere tutte liquidate, per effetto di essa, come
già innanzi detto, con il sistema contributivo: tanto quelle aventi
decorrenza anteriore al 1 gennaio 1969, alle quali è stato concesso
l’aumento del 10 per cento, quanto quelle aventi decorrenza successiva
al 31 dicembre 1968, che dall’aumento medesimo sono rimaste escluse.
Sussiste perciò anche in questo caso la dedotta violazione del
principio di eguaglianza per il diverso trattamento
ingiustificatamente riservato a soggetti che si trovano nelle
identiche condizioni; va dunque dichiarata, per le medesime ragioni
dianzi esposte a proposito dell’art. 1 del decreto n. 488 del 1968, la
illegittimità costituzionale dell’art. 9 della legge n. 153 del 1969,
nella parte in cui, prevedendo per le pensioni supplementari l’aumento
in misura pari al 10 per cento del loro ammontare, lo limita a quelle
aventi decorrenza anteriore al 1 gennaio 1969, e non lo estende a
quelle, egualmente liquidate con il sistema contributivo, aventi
decorrenza posteriore al 31 dicembre 1968.
Resta in conseguenza assorbita la questione relativa alla
violazione dell’art. 38 della Costituzione, anch’essa dedotta per
entrambe le norme dal provvedimento di rimessione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 1 del d.P.R.
27 aprile 1968, n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo delle
pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria), nella
parte in cui, prevedendo per le pensioni supplementari l’aumento nella
misura di lire 2.400 mensili, lo limita a quelle aventi decorrenza
anteriore al 1 maggio 1968 e non lo estende a quelle, egualmente
liquidate con il sistema contributivo, aventi decorrenza posteriore al
30 aprile 1968;
b) dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 9 della
legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti
pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), nella parte in
cui, prevedendo per le pensioni supplementari lo aumento in misura pari
al 10 per cento del loro ammontare, lo limita a quelle aventi
decorrenza anteriore al 1 gennaio 1969, e non lo estende a quelle,
egualmente liquidate con il sistema contributivo, aventi decorrenza
posteriore al 31 dicembre 1968.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 29 aprile 1981.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA –
MICHELE ROSSANO – ANTONINO DE
STEFANO – LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO
ROEHRSSEN – ORONZO REALE – BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – LIVIO PALADIN
ARNALDO MACCARONE – ANTONIO LA
PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI –
GIUSEPPE FERRARI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere