Sentenza N. 101 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
30/03/1999
Data deposito/pubblicazione
30/03/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/03/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
comma, del codice penale, in relazione all’art. 378 dello stesso
codice, promosso con ordinanza emessa il 6 febbraio 1998 dalla Corte
d’appello di Torino nel procedimento penale a carico di Rita
Vergnano, iscritta al n. 436 del registro ordinanze 1998 e pubblicata
nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale,
dell’anno 1998.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 25 novembre 1998 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.
febbraio 1998, in riferimento all’art. 3, primo comma, della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 376,
primo comma, cod. pen. (Ritrattazione), nella parte in cui non
stabilisce che la speciale causa di non punibilità ivi prevista
valga anche in relazione al reato di favoreggiamento personale (art.
378 cod. pen.) che sia integrato da false o reticenti dichiarazioni
rese in sede di sommarie informazioni assunte dalla polizia
giudiziaria, allorché questa proceda al compimento dell’atto su
delega del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 370, comma 1,
secondo periodo, cod. proc. pen..
Ad avviso del giudice a quo l’impossibilità di applicare la norma
sulla ritrattazione al reato di favoreggiamento personale, commesso
mediante false informazioni alla polizia giudiziaria delegata dal
pubblico ministero, determina una irragionevole disparità di
trattamento di casi analoghi e assimilabili.
Il rimettente muove dalla consolidata giurisprudenza di
legittimità, che da un lato individua appunto nella fattispecie del
favoreggiamento personale quella cui riferire la condotta del falso
dichiarativo alla polizia giudiziaria, e che dall’altro esclude, per
il principio di stretta legalità, che la stessa condotta possa
essere inquadrata nel titolo di reato di cui all’art. 371-bis cod.
pen. (False informazioni al pubblico ministero), anche quando la
polizia giudiziaria operi su specifica delega del pubblico ministero.
Poste tali premesse, ed essendo consentita in un caso (art.
371-bis) e nell’altro invece esclusa (art. 378) la possibilità per
il falso dichiarante di giovarsi degli effetti sostanziali della
ritrattazione, la differenziazione di disciplina che ne risulta
appare al rimettente irrazionale, alla luce sia dell’identità dei
beni giuridici coinvolti nei due casi, sia della stessa collocazione
“cronologica” delle dichiarazioni poi ritrattate, in entrambi i casi
inserite nella fase, procedimentale e non processuale, delle indagini
preliminari.
La Corte d’appello ricorda che nel passaggio dal testo del d.-l. 8
giugno 1992, n. 306, alla legge di conversione 7 agosto 1992, n.
356, il legislatore ha eliminato, dalla fattispecie dell’art. 371-bis
cod. pen. quale introdotta appunto dal decreto-legge, il riferimento
alle false dichiarazioni alla “polizia giudiziaria”. Ma, se ciò è
indice della volontà legislativa di estromettere dall’area di
applicazione della nuova fattispecie penale le informazioni false o
reticenti rese alla polizia giudiziaria, allorché questa agisca di
propria iniziativa, non altrettanto sicura – secondo il rimettente –
è la finalità di distinguere, rispetto alla nuova fattispecie, il
caso in cui la polizia giudiziaria agisca su delega del pubblico
ministero, giacché in tale ipotesi essa esercita un potere-dovere
derivato dall’organo di accusa, contrassegnato dai caratteri della
subordinazione e dell’esecutività, e dunque suscettibile logicamente
della medesima tutela che sul piano sostanziale è apprestata
relativamente alla falsa dichiarazione resa direttamente dinanzi al
pubblico ministero.
A rafforzare questa prospettiva – prosegue la Corte d’appello
rimettente – vale il rilievo della complessiva equiparazione
processuale, quanto a regole di svolgimento dell’atto, quanto a
prescrizioni di contenuto, e quanto a utilizzazione nel processo, tra
le informazioni rese al pubblico ministero e le dichiarazioni rese
alla polizia giudiziaria dal primo delegata.
Benché “livellate” sul piano del processo, dunque, in particolare
sotto il profilo della sostanziale identità di valenza probatoria
qualora “recuperate” al dibattimento, le due categorie di
dichiarazioni in argomento sono diversificate solo sotto il profilo
denunciato di incostituzionalità: con il paradosso, rileva il
giudice a quo di annettere efficacia a una ritrattazione di
dichiarazioni rese al magistrato, e di negarla per quelle rese alla
polizia giudiziaria delegata dal magistrato.
Il dubbio di costituzionalità è altresì prospettato alla luce
della sentenza n. 416 del 1996 della Corte costituzionale: in questa
decisione, riguardante altra speciale causa di non punibilità (art.
384, secondo comma, cod. pen.), la Corte costituzionale,
nell’estendere detta causa anche alle false o reticenti informazioni
rese alla polizia giudiziaria e costituenti favoreggiamento
personale, ha posto in risalto la medesima rilevanza, nel processo,
delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria e al pubblico
ministero, e ha anche sottolineato la “paritaria gravità dei fatti”,
desumibile dalle determinazioni del legislatore circa la misura della
pena, essendo oggi identica la reclusione comminata rispettivamente
nell’art. 371-bis e nell’art. 378 cod. pen..
Appare conclusivamente al giudice a quo irragionevole la lacuna
normativa denunciata, poiché non applicare la ritrattazione alle
dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria delegata dal pubblico
ministero frustra l’interesse a incentivare le condotte idonee a
neutralizzare, fin dove è possibile, la negativa incidenza delle
originarie false dichiarazioni sul corretto svolgimento del processo.
2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, che – richiamando e allegando altro atto di intervento,
depositato in precedente giudizio di costituzionalità – ha concluso
per l’infondatezza della questione.
Secondo l’Avvocatura, la nuova fattispecie incriminatrice dell’art.
371-bis cod. pen. – originariamente comprensiva anche delle
dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria, previsione questa poi
soppressa in sede di conversione del d.-l. n. 306 del 1992 – è
rivolta a garantire l’osservanza dell’obbligo di dichiarare quanto
sia personalmente conosciuto, obbligo stabilito a carico delle
persone esaminate dal pubblico ministero a norma dell’art. 362 cod.
proc. pen; tali persone, pur non rivestendo la qualità di testimoni,
tuttavia ne ripetono i doveri e le facoltà, stabiliti negli artt.
197-203 dello stesso codice.
Si tratta dunque di una tutela penale apprestata in relazione a
dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria, rappresentata dal
magistrato del pubblico ministero, che possono avere rilievo
investigativo e che possono, nel prosieguo del giudizio, anche
assumere il valore di prova.
Inoltre l’Avvocatura dello Stato ricorda che, anche alla luce della
sopra ricordata modifica del testo del decreto in sede di
conversione, è dato acquisito, in giurisprudenza, che il reato
previsto dall’art. 371-bis cod. pen. non sia configurabile allorché
le dichiarazioni false o reticenti vengano rese non al pubblico
ministero ma alla polizia giudiziaria, sia che questa assuma le
informazioni di propria iniziativa sia che ciò faccia su delega del
pubblico ministero.
Il legislatore, in tal modo, ha ritenuto di diversificare le false
dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da soggetti
diversi dall’indagato, a seconda dell’autorità che ne è
destinataria, assimilando solo l’ipotesi delle dichiarazioni rese al
pubblico ministero allo schema del reato di falsa testimonianza, con
una scelta incensurabile sul piano della ragionevolezza. Ed è
conforme a tale scelta – aggiunge l’Avvocatura – che solo per il
nuovo reato di cui all’art. 371-bis sia stata prevista la
possibilità di ritrattazione, appunto secondo il modello della
testimonianza falsa o reticente, di cui la fattispecie più recente
riprende l’obiettività giuridica. Per le dichiarazioni false o
reticenti rese alla polizia giudiziaria continua invece ad
applicarsi, sussistendone i presupposti, l’art. 378 cod. pen., che ha
diversa obiettività.
In tale quadro complessivo, l’inclusione nell’art. 376 del richiamo
all’art. 371-bis e la mancata inclusione dell’art. 378 risultano, ad
avviso dell’interveniente, ragionevoli e coerenti con le scelte
anzidette; ne deriva la conclusione per l’infondatezza della
questione di costituzionalità.
costituzionale dell’art. 376, primo comma, cod. pen., nella parte in
cui non stabilisce che la ritrattazione, quale speciale causa di non
punibilità dei reati di cui agli artt. 371-bis (False informazioni
al pubblico ministero), 372 (Falsa testimonianza) e 373 (Falsa
perizia o interpretazione) dello stesso codice, valga anche in
riferimento al reato di favoreggiamento personale (art. 378)
realizzato attraverso false o reticenti dichiarazioni rese in sede di
informazioni assunte dalla polizia giudiziaria allorché questa operi
su delega del pubblico ministero (art. 370 cod. proc. pen.). Ad
avviso del giudice rimettente, la mancata previsione della
ritrattazione quale causa di non punibilità anche del caso testé
indicato violerebbe l’art. 3, primo comma, della Costituzione, per la
diversa rilevanza che assume la ritrattazione medesima, a seconda
ch’essa concerna false dichiarazioni rese al pubblico ministero
ovvero alla polizia giudiziaria che agisce su delega del pubblico
ministero stesso, operando come causa di non punibilità nel primo
caso ma non nel secondo, senza che sia data la possibilità di
individuare, in relazione alla struttura delle condotte, alla loro
valenza nel processo e ai beni giuridici tutelati, elementi
distintivi idonei a giustificare la diversità di disciplina.
2. – La questione è fondata.
2.1. – All’esame della censura di incostituzionalità mossa
all’art. 376, primo comma, cod. pen., deve premettersi che, secondo
l’orientamento della giurisprudenza, le false dichiarazioni rese alla
polizia giudiziaria che opera su delega del pubblico ministero,
ancorché penalmente illecite, cadono, in ragione del principio di
stretta legalità, fuori dell’ambito di applicazione dell’art.
371-bis cod. pen.. Da questa interpretazione sorge la questione di
costituzionalità che questa Corte è chiamata a decidere, questione
che viceversa non avrebbe ragione di porsi ove la fattispecie in
argomento fosse riconducibile a quella in astratto prevista dall’art.
371-bis espressamente richiamato dall’impugnata disposizione in tema
di non punibilità per ritrattazione.
Ritiene invece la giurisprudenza comune che il silenzio, la
reticenza e le dichiarazioni false alla polizia giudiziaria possano
integrare – quando ne ricorrano gli elementi della fattispecie – il
reato di favoreggiamento personale previsto dall’art. 378 cod. pen. e
punito ora, dopo la modifica apportata dall’art. 20, comma 1, della
legge 8 agosto 1995, n. 332, all’art. 371-bis cod. pen., con la
medesima pena edittale comminata da quest’ultimo. E, una volta
esclusa la riconducibilità all’art. 371-bis delle false
dichiarazioni alla polizia giudiziaria delegata dal pubblico
ministero, anche queste ultime possono assumere rilievo ai fini
dell’integrazione del medesimo reato di favoreggiamento.
Tuttavia, ai fini della risoluzione della presente questione di
legittimità costituzionale, non è necessario procedere a un
raffronto tra i reati previsti negli articoli anzidetti, per trovarvi
elementi comuni o elementi differenziali che inducano a prendere
posizione circa la razionalità della disposizione impugnata che
prevede la ritrattazione come causa di non punibilità solo in un
caso e non nell’altro.
In breve: il rapporto tra le false dichiarazioni al pubblico
ministero e il favoreggiamento personale resta sullo sfondo e
l’applicabilità dell’art. 378 cod. pen. alle false dichiarazioni
alla polizia giudiziaria vale come semplice premessa
giurisprudenziale della questione posta all’attenzione della Corte.
Tale questione consiste nella domanda se sia conforme al principio di
uguaglianza, come espressione dell’esigenza di razionalità delle
scelte legislative, l’esclusione della causa di non punibilità della
ritrattazione nel caso delle false dichiarazioni alla polizia
giudiziaria specificamente delegata dal pubblico ministero
(integranti la fattispecie dell’art. 378 cod. pen.), mentre tale
causa di non punibilità vale nel caso delle false dichiarazioni rese
al pubblico ministero stesso.
2.2. – Per cogliere l’irrazionalità insita nella disciplina
denunciata, è sufficiente osservare che l’assunzione diretta e
personale da parte del pubblico ministero (art. 370, comma 1, primo
periodo, cod. proc. pen.) di informazioni dalle persone che possono
riferire circostanze utili ai fini delle indagini (art. 362 cod.
proc. pen.) e l’assunzione delle medesime informazioni avvalendosi
della polizia giudiziaria a ciò delegata (art. 370, comma 1, secondo
periodo, cod. proc. pen.) costituiscono esclusivamente forme diverse
della medesima attività, facente sostanzialmente capo comunque al
pubblico ministero nell’esercizio dei poteri che a esso spettano
quale organo che dirige le indagini preliminari all’esercizio
dell’azione penale (artt. 326 e 327 cod. proc. pen.). È così che
da un lato, in generale, si giustifica l’art. 370, comma 2, cod.
proc. pen., il quale, per lo svolgimento dell’attività e il
compimento degli atti delegati alla polizia giudiziaria, rinvia alle
forme di garanzia procedurale e alle regole di documentazione
previste per le indagini svolte direttamente dal pubblico ministero;
e, dall’altro, si spiega la necessaria equivalenza, quanto a
utilizzabilità nel seguito del processo, degli atti diretti e di
quelli delegati (oltre all’art. 503, comma 5, cod. proc. pen., in
tema di acquisizione di atti al fascicolo per il dibattimento, v.
sentenza n. 60 del 1995, nonché sentenza n. 381 del 1995).
Di fronte a tale convergenza di disciplina, corrispondente a
un’unitarietà di ratio che sorregge le norme relative alle attività
d’indagine e alla loro valenza processuale, quale che sia l’autorità
che procede ad assumere le informazioni – il pubblico ministero o la
polizia giudiziaria su delega di questo -, la diversità di
trattamento che la norma impugnata introduce, circa gli effetti della
ritrattazione nell’un caso e nell’altro, appare priva di ogni
ragionevole giustificazione e quindi sicuramente arbitraria.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 376, primo
comma, del codice penale nella parte in cui non prevede la
ritrattazione come causa di non punibilità per chi, richiesto dalla
polizia giudiziaria, delegata dal pubblico ministero a norma
dell’art. 370 del codice di procedura penale, di fornire informazioni
ai fini delle indagini, abbia reso dichiarazioni false ovvero in
tutto o in parte reticenti.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 marzo 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Zagrebelsky
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 30 marzo 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola