Sentenza N. 105 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
26/06/1969
Data deposito/pubblicazione
26/06/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/06/1969
MICHELE FRAGALI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GTOVANNI BATTTSTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOEO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE, Giudici,
commi primo e secondo, del Codice civile, promossi con due ordinanze
emesse il 20 novembre 1967 dal pretore di Napoli nei procedimenti
civili vertenti rispettivamente tra Callegher Sergio e la Compagnia
esercizio trasporti automobilistici e tra D’Amore Umberto e la predetta
Compagnia, iscritte ai nn. 27 e 28 del Registro ordinanze 1968 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 84 del 30 marzo
1968.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 7 maggio 1969 la relazione del
Giudice Nicola Reale;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
In due giudizi civili promossi separatamente davanti al pretore di
Napoli, Sergio Callegher e Umberto D’Amore chiedevano che la Compagnia
Esercizio Trasporti Automobilistici (C.E.T.A.) a.r.l., alle cui
dipendenze assumevano di aver prestato la propria attività lavorativa
per la costruzione di una autorimessa, fosse condannata, in base alle
disposizioni del contratto collettivo 24 luglio 1959 per gli addetti
all’industria edilizia (reso efficace erga omnes con decreto del
Presidente della Repubblica 14 luglio 1960, n. 1032), al pagamento di
compensi per ferie non godute, festività gratifiche natalizie e lavoro
straordinario, nonché di indennità conseguenti alla cessazione del
rapporto di lavoro.
La società convenuta contestava le pretese degli attori, adducendo
che non fosse applicabile ai rapporti in questione il citato contratto
collettivo, stipulato dalle associazioni sindacali del settore
edilizio, alle quali non aveva mai aderito per la diversa natura della
propria attività imprenditoriale concernente i trasporti
automobilistici.
Il pretore, con ordinanze di identico contenuto pronunziate in
entrambi i giudizi il 20 novembre 1967, affermava che, nelle
controversie portate alla sua cognizione, appariva incerta
l’applicabilità del contratto collettivo di lavoro per gli addetti
all’industria edilizia invece di quello, in data 24 luglio 1959, reso
parimenti efficace erga omnes con decreto del Presidente della
Repubblica 28 agosto 1960, n. 1271 e riguardante le imprese di
trasporti automobilistici in concessione; che, per escludere il primo,
non avesse rilievo risolutivo la circostanza che la società convenuta
non avesse aderito alle associazioni sindacali partecipanti alla
conclusione dell’accordo collettivo richiamato dagli attori, e che si
dovesse quindi fare ricorso alle norme dei primi due commi dell’art.
2070 del Codice civile, per cui l’appartenenza alla categoria
professionale, ai fini dell’applicazione dei contratti collettivi, si
determina secondo l’attività effettivamente esercitata
dall’imprenditore, mentre se l’imprenditore esercita distinte attività
aventi carattere autonomo si applicano, ai rispettivi rapporti di
lavoro, le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole
attività.
Il pretore dubitando però della compatibilità di tali norme, che
assumeva ispirate alla ideologia corporativa dominante al tempo della
loro emanazione, con il principio della libertà sindacale espresso nel
primo comma dell’art. 39 della Costituzione, ne prospettava la
incostituzionalità disponendo la trasmissione degli atti processuali a
questa Corte.
Ricordati i diversi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali
circa l’interpretazione di dette norme, il pretore ha posto in risalto
come il concetto di categoria professionale, che di
quell’interpretazione costituisce il fulcro, ha assunto nell’attuale
regime di autonomia sindacale, garantito dalla Costituzione,
significato politico e giuridico diverso da quello precedentemente
accolta nei motivi del Codice civile.
La nozione autoritativa corporativistica, stabilita secondo
astratti criteri ontologici di classificazione delle attività
produttive e professionali, si è mutata in quella risultante dalla
spontanea adesione dei lavoratori alle libere istituzioni sindacali e
dalla autonomia collettiva nella quale è compresa la potestà di
determinare l’ambito professionale e le categorie di lavoratori per le
quali il contratto collettivo ha forza di legge, secondo i princìpi
enunciati anche da questa Corte, con le sentenze n. 106 del 1962 e nn.
70 e 106 del 1963, con particolare riguardo alla sfera di applicazione
dela legge 14 luglio 1959, n. 741.
Ma pur interpretando evolutivamente il termine “categoria”,
ricorrente nel primo comma dell’art. 2070 del Codice civile, in
correlazione con la legge testé menzionata del 1959, tuttavia non si
perverrebbe, a giudizio del pretore, “a dar conto delle ragioni per le
quali possa o debba prescegliersi quel determinato contratto collettivo
rispetto ad altro fornito di pari titolo di considerazione”
nell’ipotesi, quale in concreto è configurata nel giudizio di merito,
di impresa con attività plurima. In questa ipotesi, infatti, il
criterio stabilito nella norma denunziata (secondo comma dell’art.
2070) non conferisce alcuna rilevanza alle mansioni svolte dal
prestatore di lavoro, ai fini della individuazione della disciplina
collettiva applicabile, mentre risolve il conflitto, che verrebbe, in
tal caso, a profilarsi fra diverse disposizioni di contratti
collettivi, sulla base soltanto della attività “finale” dell’impresa,
che caratterizza e qualifica la categoria professionale
dell’imprenditore.
Da ciò la conseguenza, più volte ammessa dalla giurisprudenza,
che la medesima prestazione di lavoro potrebbe essere sottoposta a
diverso trattamento normativo a seconda della natura dell’impresa a cui
favore è svolta, o del settore produttivo in cui di volta in volta
risulti accessoriamente inserita, senza peraltro alcuna considerazione
della tutela contrattuale stabilita dalle organizzazioni sindacali
proprie dei prestatori di lavoro.
Eseguite ritualmente le notificazioni alle parti ed al Presidente
del Consiglio dei Ministri e le comunicazioni ai Presidenti dei due
rami del Parlamento, le ordinanze sono state pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale n. 84 del 30 marzo 1968 ed iscritte ai nn. 27 e 28 del
Registro delle ordinanze dell’anno 1968.
Nel giudizio promosso con la prima di dette ordinanze è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato
dall’Avvocatura generale dello Stato la quale, con atto di deduzioni
depositato il 19 aprile 1968, ha concluso per la non fondatezza della
questione.
L’Avvocatura ha ricordato i motivi politico-legislativi della
introduzione, nel sistema della disciplina dei contratti collettivi,
delle disposizioni impugnate ed ha precisato il diverso valore che
queste hanno assunto, nella giurisprudenza e nella dottrina, in
relazione alla natura giuridica e all’efficacia dei contratti
collettivi nel regime corporativo, nel sistema instaurato in virtù del
decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369, nella
successiva disciplina di diritto comune e in quella stabilita con la
legge 14 luglio 1959, n. 741.
Ha affermato, quindi, che al fine di determinare l’ambito di
applicazione dei contratti collettivi che quest’ultima legge ha
dichiarato obiettivamente efficaci nei confronti di tutti gli
appartenenti ad una medesima categoria, si rende necessario fare
ricorso ai criteri stabiliti nei primi due commi dell’art.2070 del
Codice civile, i soli che nel diritto positivo consentono di
individuare concretamente i destinatari delle norme stabilite a tutela
dei lavoratori, secondo le stesse predeterminazioni dei contratti
collettivi e della legge.
Conferita, invero, rilevanza giuridica, non già a categorie
identificabili secondo astratti criteri di classificazione delle
attività produttive e professionali, bensì alle categorie quali
risultano dalla spontanea organizzazione sindacale e dalla stipulazione
collettiva, quella che era determinazione autonoma e contrattuale
assurge a dignità di determinazione legislativa della categoria, alla
quale le norme del contratto stesso sono obbligatoriamente applicabili.
Osserva d’altra parte l’Avvocatura che lo stesso primo comma
dell’art. 39 della Costituzione, prevedendo che i contratti collettivi
possano essere applicati ad imprenditori e a lavoratori che non siano
iscritti affatto ai sindacati o non siano associati a quelle
particolari organizzazioni che hanno partecipato alla stipulazione dei
detti contratti, presuppone quale necessario complemento della
disciplina costituzionale, l’esistenza di criteri oggettivi per
accertare l’appartenenza o meno del singolo alla categoria indicata nel
contratto collettivo.
Il legislatore ordinario potrà invero dettare al riguardo criteri
diversi da quelli posti con i primi due commi dell’art. 2070, sulla
base di una scelta politico-legislativa a lui esclusivamente rimessa.
Nella pubblica udienza del 7 maggio 1969 l’Avvocatura dello Stato
ha oralmente illustrato le accennate conclusioni.
1. – I due giudizi, avendo ad oggetto la stessa questione di
legittimità costituzionale, devono essere riuniti e decisi con unica
sentenza.
2. -Le ordinanze del pretore di Napoli denunziano, in riferimento
all’art. 39, primo comma, della Costituzione, la illegittimità dei
primi due commi dell’art. 2070 del Codice civile. La disposizione
secondo la quale, ai fini della individuazione della normativa
collettiva applicabile ai rapporti di lavoro, debbasi tener conto della
categoria professionale dell’imprenditore, determinata secondo
l’attività da lui effettivamente esercitata (primo comma), e l’altra,
desunta dal secondo comma, che impone lo stesso criterio di riferimento
anche per la disciplina delle prestazioni di lavoro aventi carattere di
complementarità ed accessorietà, rispetto all’attività principale
dell’impresa, sarebbero in contrasto col principio della libertà
sindacale. Per esso, a giudizio del pretore, è necessariamente
garantito anche il diritto all’attuazione, nei rapporti individuali,
del regime normativo e retributivo determinato dalla autonomia
collettiva, con la partecipazione delle organizzazioni dei lavoratori,
costituite con la volontaria adesione dei componenti di ciascun settore
di produzione e lavoro.
In riferimento a tali principi la questione è sollevata dal
giudice a quo, sia sotto l’aspetto della incompatibilità con l’attuale
ordinamento della nozione di categoria professionale accolta nella
norma impugnata, in quanto, nell’intento del legislatore, essa
rispecchierebbe la tematica del corporativismo autoritativo e statuale,
e non sarebbe sicuramente suscettibile di accezioni evolutive ispirate
all’ideologia della libertà democratica e sindacale; sia sotto
l’ulteriore aspetto del contrasto, con le accennate finalità delle
associazioni sindacali, dei criteri legali di applicabilità della
normativa collettiva ai rapporti di lavoro inerenti ad imprese ad
attività plurima, con particolare riguardo alle attività
complementari ed accessorie. La questione non è fondata.
3. – Devesi anzitutto precisare che il giudice a quo, nel sollevare
la questione medesima, ne ha ritenuta la rilevanza in riferimento a
fattispecie riguardanti contratti collettivi postcorporativi, aventi
efficacia erga omnes in virtù di decreti legislativi delegati, ai
sensi della legge 14 luglio 1959, n. 741. Fattispecie nelle quali,
come sopra accennato, gli attori hanno chiesto che, in luogo della
disciplina collettiva in vigore per i lavoratori dipendenti da imprese
esercenti gli autotrasporti in concessione, fra le quali è da
annoverare la convenuta Società C.E.T.A., sia applicato il contratto
collettivo stipulato il 24 luglio 1959 dai sindacati degli addetti
all’industria edilizia, sostenendo doversi avere preminente
considerazione per la effettiva natura delle prestazioni di lavoro, per
le quali essi erano stati assunti allo scopo della costruzione di una
autorimessa.
All’esame della questione resta pertanto estranea, in questa sede,
la disciplina sia dei contratti collettivi di lavoro stipulati durante
il regime corporativo e tuttora in vigore in base all’art. 43 del
decreto luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369 (vedi sent. n. 1 del
1963 di questa Corte), sia di quelli, così detti di diritto comune, la
cui efficacia, non obiettivamente estesa alla generalità dei soggetti,
è limitata (secondo ben noti principi di diritto) a quanti, con
iscrizione alle associazioni sindacali, hanno a queste conferito la
rappresentanza dei propri interessi nella stipulazione dei contratti
collettivi diretti a prestabilire il trattamento, cui debbono adeguarsi
i singoli contratti individuali di lavoro.
4. – Come questa Corte ha ritenuto con la sentenza n. 70 dell’8
maggio 1963, nell’ordinamento attuale, che garantisce la libertà e
l’autonomia sindacale, le categorie professionali hanno rilevanza
giuridica non già in base ad astratti concetti di classificazione
settoriali dei lavoratori autoritativamente prestabilite secondo il
sistema corporativo, ma in quanto costituiscono entità
economico-sociali risultanti dalla spontanea organizzazione sindacale e
dalla autonomia collettiva.
A questo nuovo significato delle dette categorie, rispondente al
principio costituzionale della libertà sindacale, ha sicuro
riferimento la ricordata legge del 14 luglio 1959, n. 741, e non è
dubbio che la nozione di categoria, così intesa, costituisce, come
criterio per determinare la sfera di applicazione del contratto
collettivo, una componente normativa del sistema, dalla quale non si
possa prescindere.
Con i principi sopra enunciati non risulta incompatibile l’art.
2070 del Codice civile.
L’applicabilità dei contratti collettivi dichiarati obbligatori
erga omnes, secondo lo spirito e le finalità della legge sopra
menzionata, importa che di tali contratti (come questa Corte ha
affermato con le sentenze nn. 106 del 1962 e 70 del 1963) si è inteso
sostanzialmente stendere la efficacia a quanti, imprese e lavoratori,
in difetto di iscrizione alle rispettive organizzazioni sindacali e pur
rientrando per l’attività espletata nella medesima categoria
professionale indicata dal contratto collettivo, non avrebbero potuto
invocarne l’attuazione in base alle norme di diritto comune.
E, come ha osservato l’Avvocatura, con la estensione dell’efficacia
del contratto collettivo ad opera della legge predetta la delimitazione
dei destinatari del contratto collettivo, che in origine ha costituito
libera espressione della volontà sindacale, acquista vigore di
determinazione legislativa anche circa la categoria professionale, alla
quale le norme del contratto sono obbligatoriamente applicabili.
Nell’ambito dei summenzionati principi, certamente non
contrastanti, per le suddette ragioni, con la libertà sindacale
garantita dalla Costituzione, le disposizioni impugnate dell’art. 2070
rimangono dirette a dirimere gli eventuali conflitti tra difformi
normative collettive, di cui sia invocata l’applicazione, ad un
rapporto individuale di lavoro.
Non è da escludere, ovviamente, che il futuro legislatore, in
attuazione dell’art. 39, ultimo comma, della Costituzione, possa
provvedere a dirimere tali conflitti anche secondo criteri diversi.
Ma, allo stato, le disposizioni di cui sopra adempiono ad una
funzione necessaria e non appaiono prive di razionalità.
Né manca di rilievo la circostanza che le disposizioni stesse
furono tenute presenti nel corso della elaborazione della ricordata
legge n. 741 del 1959.
È posta, anzitutto, nel primo comma, la regola che “l’appartenenza
alla categoria professionale ai fini dell’applicazione del contratto
collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata
dall’imprenditore”, e che, cioè, nell’effettiva qualificazione
economica dell’impresa deve essere ricercato il criterio per
determinare il contratto collettivo applicabile.
Il secondo comma, nel caso che l’imprenditore eserciti distinte
attività aventi carattere autonomo, dichiara applicabili “ai
rispettivi rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi
corrispondenti alle singole attività”. E consente implicitamente
all’interprete di adottare diversa soluzione quando si tratti di
attività connesse dirette al raggiungimento di una stessa finalità
produttiva.
In una visione completa dei problemi attinenti all’applicazione dei
Contratti collettivi non va poi trascurata (ancorché non sia oggetto
espresso della questione proposta) la disposizione del terzo comma
dell’art. 2070.
In essa è stabilito che quando il datore di lavoro esercita non
professionalmente una attività organizzata, sono applicabili al
rapporto le norme collegate alla effettiva natura della attività
espletata: ipotesi il cui accertamento nella specie è, ovviamente,
demandato al giudice di merito.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2070, commi primo e secondo, del codice civile (criteri di
applicazione del contratto collettivo), proposta, in riferimento
all’art. 39, primo comma, della Costituzione, con le due ordinanze 20
novembre 1967 del pretore di Napoli.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1969.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.