Sentenza N. 105 del 1981
Corte Costituzionale
Data generale
19/06/1981
Data deposito/pubblicazione
19/06/1981
Data dell'udienza in cui è stato assunto
04/06/1981
EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO
– Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE
– Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof.
LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA –
Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,
primo, della legge della Regione Sicilia 23 febbraio 1962, n. 2 (Norme
per il trattamento di quiescenza, previdenza ed assistenza del
personale della Regione), promosso con ordinanza emessa il 15 luglio
1978 dalla Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione
siciliana, sui ricorsi proposti da Avila Lidia contro l’Assessore alla
P.I. della Regione siciliana ed altro, iscritta al n. 84 del registro
ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n.87 del 1979.
Visti l’atto di costituzione di Avila Lidia e l’atto di intervento
della Regione siciliana;
udito nell’udienza pubblica del 29 aprile 1981 il Giudice relatore
Livio Paladin;
uditi l’avv. M. Giovanna Vittorelli per Avila Lidia e l’avv.
Guido Aula, per la Regione siciliana.
1. – Mediante un’ordinanza emessa il 15 luglio 1978, nel corso di
un giudizio avente per tema la spettanza di pensione privilegiata alla
vedova ed alle figlie di un dipendente regionale non di ruolo, la
sezione giurisdizionale per la Regione siciliana della Corte dei conti
ha impugnato – in riferimento all’art. 3 Cost. – l’art. 1, primo
comma, della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, “nella parte in
cui non prevede in favore degli impiegati non di ruolo della Regione
medesima il diritto al trattamento di quiescenza a carico del Fondo di
quiescenza, previdenza e assistenza per il personale di tale Regione”.
Premesso che l’art. 36 della legge regionale siciliana n. 2 del
1962 rimanda alle norme relative al personale civile
dell’Amministrazione dello Stato, in quanto compatibili con le norme
dettate dalla legge stessa, l’ordinanza assume che il richiamo non
potrebbe “ritenersi operante nella specie in ragione di una evidente
incompatibilità del sistema normativo regionale con quello statale,
per cui i ricorsi dovrebbero ritenersi infondati”. Mentre nella
legislazione statale si sarebbe manifestata (dall’art. 8 della legge 28
luglio 1961, n. 831, fino all’art. 1, ultimo comma, del d.P.R. 29
dicembre 1973, n. 1092) “la tendenza alla equiparazione, ai fini del
trattamento di quiescenza, degli impiegati non di ruolo agli impiegati
civili di ruolo”, la legislazione siciliana esprimerebbe invece “una
tendenza diversa e per certi versi opposta”. Infatti, fino a quando le
leggi nazionali diversificavano fra servizio di ruolo e servizio non
di ruolo, richiedendo un contributo di riscatto per equiparare il
secondo in sede di quiescenza ed anche subordinando la riscattabilità
al previo inquadramento nei ruoli organici, il legislatore regionale
avrebbe evitato di emanare apposite norme; mentre avrebbe cominciato a
legiferare, con il chiaro intendimento di “mantenere la precedente
distinzione”, non appena mutato l’orientamento del legislatore
statale.
In questi termini, dal combinato disposto del primo e del secondo
comma dell’art. 1 della legge regionale n. 2 del 1962 si desumerebbe
il principio che i soli impiegati di ruolo abbiano diritto al
trattamento di quiescenza a carico del “Fondo” di cui all’art. 16
della legge regionale n. 65 del 1950; laddove gli impiegati non di
ruolo resterebbero assoggettati all’assicurazione obbligatoria presso
l’INPS, di cui al r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827. E tale indirizzo
sarebbe confermato da successive norme regionali (dall’art. 83, terzo
comma, della legge n. 7 del 1971, agli artt. 21 della legge n. 7 del
1974 ed 8 della legge n. 38 del 1975, fino all’art. 4, quarto comma,
della legge n. 87 del 1977): con particolare evidenza nel caso della
legge 1 agosto 1974, n. 34, che confermerebbe ancora una volta –
proprio nei riguardi del personale delle scuole professionali
regionali – “la necessità del riscatto per la valutabilità ai fini
di quiescenza dell’eventuale precedente servizio non di ruolo,
subordinandone come sempre la possibilità al previo inquadramento nei
ruoli organici”.
Precisamente in tal senso, però, il giudice a quo considera
rilevante e non manifestamente infondata la censura proposta dalla
difesa delle ricorrenti, nella parte riguardante la dedotta violazione
del principio di eguaglianza. I trattamenti pensionistici INPS
sarebbero infatti inferiori a quelli erogati dalla Regione siciliana,
tanto in materia di pensioni ordinarie, quanto e soprattutto in
materia di pensioni privilegiate. E ciò introdurrebbe una
discriminazione fra dipendenti che “svolgevano esattamente la stessa
attività”, con trattamenti economici identici o comunque correlati
fra loro.
2. – “A sostegno della questione di legittimità costituzionale
sollevata dalla Corte dei conti”, è intervenuta nel giudizio la
ricorrente Lidia Avila. Dopo aver assunto che la questione sarebbe
“con certezza rilevante”, in quanto l’accoglimento di essa
comporterebbe – altresì – che venga accolto il ricorso in esame nel
giudizio a quo, l’atto di intervento ne argomenta la fondatezza,
richiamando non solo l’art. 3, ma anche gli artt. 51 e 97 Cost.: che
congiuntamente imporrebbero allo Stato (come pure alla Regione
siciliana) “di regolare in modo uniforme ed imparziale i rapporti con
i propri dipendenti, evitando fra gli stessi qualunque disparità di
trattamento che non abbia una logica giustificazione in una obiettiva
differenza tra le varie prestazioni lavorative”; e così mirando, in
particolar modo, “ad una sostanziale equiparazione tra dipendenti di
ruolo e dipendenti non di ruolo”. Ora – si afferma – mancherebbe una
specifica ragione che giustifichi la mancata attribuzione della
pensione, intesa quale “parte differita della retribuzione” al
personale impiegatizio non di ruolo. E ne risulterebbe tanto più
ingiusta ed illegittima la discriminazione introdotta dall’art. 1
della legge regionale siciliana n. 2 del 1962, nel limitare al
personale di ruolo il diritto alla pensione privilegiata, che pure
presuppone “la considerazione del danno permanente subito dal pubblico
dipendente in vista di esigenze del servizio”.
Con questo fondamento, inoltre, l’atto di intervento chiede che
sia la Corte stessa, qualora l’impugnativa in esame venisse ritenuta
non fondata, a sollevare questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1 della predetta legge regionale, “per irrazionale
disparità di trattamento tra gli impiegati non di ruolo ed i
salariati non di ruolo” (il cui servizio è invece equiparato a quello
dei salariati di ruolo); e ciò, in riferimento agli artt. 3 e 36
Cost., nonché all’art. 14, lettera q), dello Statuto siciliano, che
“impone al legislatore regionale di attribuire ai funzionari ed
impiegati della Regione uno stato giuridico ed economico non inferiore
a quello del personale statale”.
3. – È anche intervenuto il Presidente della Regione siciliana,
per chiedere invece che la Corte “dichiari non rilevante ed
inammissibile la questione proposta”, o che, in ogni caso, ne accerti
la non fondatezza.
In prima linea, la difesa della Regione osserva che la questione
sarebbe inammissibile perché la norma da applicare nel giudizio a quo
non consisterebbe nell’art. 1, bensì nell’art. 36 della legge
regionale n. 2 del 1962: là dove si richiamano, in quanto compatibili,
le norme relative al personale civile dell’Amministrazione dello Stato.
In effetti – si osserva – sul disposto dell’art. 36 si erano basati il
ricorso della parte privata e le conclusioni della Procura generale
della Corte dei conti, favorevoli all’accoglimento del ricorso stesso.
Si aggiunge, comunque, che la norma impugnata non si presterebbe
all’interpretazione datane dal giudice a quo. La espressa menzione dei
“salariati di ruolo e non di ruolo”, contenuta nel secondo comma
dell’art. 1, si spiegherebbe perché, all’atto dell’entrata in vigore
della legge regionale n. 2 del 1962, alcuni salariati non di ruolo
risultavano tuttora in servizio; mentre gli impiegati non di ruolo
erano stati “inquadrati in ruoli regionali transitori”.
Quanto al caso specifico del personale di ruolo delle scuole
professionali, già in base all’art. 21, sesto comma, della legge
regionale n. 63 del 1950 (come sostituito dall’art. 1 della legge
regionale n. 13 del 1959) si sarebbero dovute ritenere applicabili le
disposizioni concernenti la quiescenza del corrispondente personale
dello Stato. Conseguentemente, dovrebbe ora applicarsi il trattamento
di quiescenza previsto dall’art. 8 della legge statale 28 luglio 1961,
n. 831 (la cui disciplina è stata mantenuta ferma dall’art. 2, ultimo
comma, della legge n. 1077 del 1966).
Di qui la conclusione che la normativa regionale impugnata ben
potrebbe interpretarsi in un senso “conforme ai dettami
costituzionali”; e che pertanto ne deriverebbe l’infondatezza della
questione in esame.
4. – Sia il Presidente della Regione siciliana, sia la parte
privata, hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive tesi. Le
argomentazioni addotte sono analoghe a quelle già esposte.
In particolare, la Regione siciliana ribadisce i dubbi sulla
rilevanza della questione sollevata; e ciò, in quanto agli impiegati
non di ruolo non sarebbe precluso l’accesso al trattamento di
quiescenza a carico del Fondo regionale. La diversa interpretazione
data dal giudice a quo si porrebbe in contrasto con tutta l’evoluzione
della legislazione in materia; in ogni caso, essa non sarebbe
giustificata né dalla lettera né dallo spirito della legge in esame.
A sua volta, la parte privata premette di non aver ovviamente
alcun interesse a contrastare la tesi della Regione. Ritiene, per
altro, di dover fare qualche precisazione: in primo luogo, il mancato
riferimento della norma impugnata agli impiegati non di ruolo non
potrebbe farsi discendere dall’inesistenza – all’epoca – di
appartenenti a tale categoria, dal momento che nelle scuole
professionali regionali vi erano insegnanti non di ruolo. In secondo
luogo, sarebbe più esatto dichiarare non fondata piuttosto che
considerare inammissibile la proposta questione, dal momento che il
giudice a quo avrebbe pur sempre effettuato il necessario giudizio di
rilevanza.
Nel merito si ribadisce che, ove la Corte accogliesse
l’interpretazione del giudice a quo, non vi dovrebbero essere dubbi
sulla violazione dell’art. 3, come pure dell’art. 36 Cost. e dell’art.
14 lett. q) dello Statuto siciliano. L’estensione del sindacato di
legittimità a questi ulteriori profili, sebbene trascurati
dall’ordinanza di rimessione, soddisferebbe del resto l’esigenza
dell’economia dei giudizi, evitando “la reiterata sottoposizione alla
Corte stessa di questioni inerenti alla medesima norma ordinaria”.
5. – Nella pubblica udienza, tuttavia, la difesa della parte
privata ha fatto propria la conclusione dell’infondatezza, sulla base
di una analitica esposizione dei motivi che indurrebbero a respingere
l’interpretazione della norma impugnata e della complessiva
legislazione regionale vigente in materia, posta a base dell’ordinanza
di rimessione.
1. – La Corte è chiamata a decidere se in base al combinato
disposto del primo e secondo comma dell’art. 1 della legge regionale
siciliana 23 febbraio 1962, n. 2, debba tuttora escludersi che agli
impiegati non di ruolo della Regione spetti il diritto a pensione, a
carico dell’apposito fondo istituito dall’art. 16 della legge
regionale 29 luglio 1950, n. 65; e se, di conseguenza, la previsione
dell’art. 1, primo comma (in quanto riferita ai soli “impiegati di
ruolo dell’Amministrazione della Regione”), contrasti con il principio
costituzionale di eguaglianza, per la deteriore condizione attribuita
agli impiegati non di ruolo, i quali verrebbero in tal modo posti a
carico dell’INPS, godendo perciò di un trattamento di quiescenza
inferiore a quello erogato dalla Regione medesima.
La difesa della Regione eccepisce preliminarmente – come già si
è ricordato in narrativa – che la questione sarebbe inammissibile per
difetto di rilevanza. Se correttamente interpretata, la norma in esame
non porrebbe ostacolo all’accoglimento dei ricorsi della parte
privata, tanto più che essi non si fonderebbero sul primo comma
dell’art. 1, bensì sul richiamo operato dall’art. 36 della legge
regionale n. 2 del 1962: in virtù del quale – per tutto quanto non
sia stato previsto dalla legge stessa – dovrebbero applicarsi “le
norme relative al personale civile dell’Amministrazione dello Stato”,
ivi compreso il sopravvenuto principio di equiparazione fra il
personale di ruolo e quello non di ruolo, ai fini del trattamento di
quiescenza.
Ma la tesi non può esser condivisa. L’art. 36 della legge in
questione rimanda alle predette norme statali per imporre la loro
applicazione, “in quanto compatibili” con le corrispondenti norme
regionali. E l’ordinanza di rimessione deduce appunto che “tale
applicabilità non può ritenersi operante nella specie in ragione di
una evidente incompatibilità del sistema normativo regionale con
quello statale”; sicché le obiezioni avanzate dalla difesa della
Regione rilevano – se mai – sul piano del merito della proposta
impugnativa, ma non valgono a dimostrarne l’inammissibilità.
2. – Vero è, tuttavia, che il fulcro del problema – opportunamente
messo in evidenza dallo stesso giudice a quo – consiste nel rapporto
fra norme legislative regionali e norme legislative statali in tema di
trattamento di quiescenza del personale non di ruolo della Regione
siciliana.
Di massima, per le Regioni differenziate qual è la Sicilia,
dotate di una potestà legislativa primaria od “esclusiva” in materia
di ordinamento dei propri uffici e di trattamento del proprio
personale, il principio costituzionale di eguaglianza non esclude che
tale trattamento possa essere diverso da quello spettante al personale
statale. Ma, quanto alla Sicilia, l’esigenza che il personale regionale
non venga comunque assoggettato ad arbitrarie discriminazioni risulta
rafforzata dalla specifica previsione dell’art. 14 lett. q) dello
Statuto speciale, per cui lo “stato giuridico ed economico degli
impiegati e funzionari della Regione” dev’essere “in ogni caso non
inferiore a quello del personale dello Stato”. Nel giudicare d’una
impugnativa promossa per il deteriore trattamento pensionistico che
sarebbe stato attribuito agli impiegati non di ruolo
dell’Amministrazione regionale rispetto ai corrispondenti impiegati
dell’Amministrazione dello Stato, questa previsione non può essere
ignorata o trascurata dalla Corte, malgrado il giudice a quo non vi
abbia fatto un esplicito riferimento, limitandosi a denunciare la
violazione dell’art. 3 Cost.: le questioni di eguaglianza delle leggi
vanno infatti affrontate anche in vista di ogni altra disposizione di
rango costituzionale, che nella specie concorra a garantire
l’eguaglianza stessa.
Ora, il richiamo di tutte “le norme relative al personale civile
dell’Amministrazione dello Stato” – presenti ed avvenire nel momento
dell’entrata in vigore della legge regionale n. 2 del 1962 – non è
dunque il frutto di una libera scelta del legislatore siciliano; ma
rappresenta lo strumento più idoneo ad assicurare una continua ed
immediata osservanza del precetto stabilito dall’art. 14, lett. q)
dello Statuto. Sotto questo aspetto, l’art. 36 della legge predetta
assume perciò la portata di un principio generale, che non soffre
interpretazioni restrittive.
D’altro canto, in ordine al caso in esame può considerarsi
pacifico – tanto più che sul punto concordano il giudice a quo, la
parte privata, il procuratore generale presso la sezione
giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana e la
difesa della Regione medesima – che a favore degli impiegati civili
non di ruolo dello Stato l’attribuzione del trattamento di quiescenza
spettante al personale civile di ruolo, salvo il riscatto del servizio
prestato anteriormente, è stata disposta a partire dagli artt. 1 e 2
della legge 6 dicembre 1966, n. 1077 (che ha generalizzato quanto già
statuito dall’art. 8 della legge 28 luglio 1961, n. 831, limitatamente
agli “insegnanti incaricati forniti di abilitazione all’insegnamento,
nonché ai loro familiari in caso di morte”). Né può dubitarsi che
anche sull’applicazione di una tale disciplina, a favore del personale
non di ruolo della Regione Sicilia, incida la disposizione dell’art.
14 lett. q) dello Statuto: poiché in tal campo non si ravvisano
caratteristiche distintive del pubblico impiego regionale, che
impongano o giustifichino (come nel caso considerato dalla sentenza n.
12 del 1980) determinate peculiarità dello “stato giuridico ed
economico degli impiegati e funzionari della Regione”, non consentendo
che li si metta a raffronto con il corrispondente personale dello
Stato.
3. – Per tutte queste ragioni, la sola ricostruzione della norma
impugnata che sia “conforme ai dettami costituzionali” (come
espressamente osserva la difesa della Regione) è quella per cui la
norma stessa non preclude l’operatività – nella specie – dei criteri
desumibili dalla legge statale n. 1077 del 1966, ma lascia anche in
tal senso fermo il richiamo effettuato dall’art. 36 della legge
regionale n. 2 del 1962. Ed è l’interpretazione adeguatrice che, nel
dubbio, va preferita rispetto a quella adottata dall’ordinanza di
rinvio, per contestare la legittimità costituzionale del trattamento
di quiescenza che sarebbe stato riservato agli impiegati regionali
non di ruolo.
In verità, la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la
Regione siciliana sostiene che l’art. 1, primo comma, della legge
regionale n. 2 del 1962 non lascerebbe margine ad incertezze
interpretative di sorta, bensì comporterebbe una evidente
discriminazione degli impiegati non di ruolo. Ma l’assunto non si
dimostra fondato.
In primo luogo, non è certo decisivo l’argomento testuale, per
cui l’art. 1, primo comma, della legge in esame non riguarda se non
gli “impiegati di ruolo dell’Amministrazione della Regione” (in
contrapposizione, anzi, ai “salariati” della Regione medesima, che il
secondo comma considera complessivamente, tanto “di ruolo” quanto “non
di ruolo”). Senza che occorra verificare se al momento dell’entrata
in vigore di quella legge esistessero impiegati regionali non di ruolo
(ciò che la difesa della Regione ha negato), sta di fatto che allora
non vigeva, per lo stesso personale civile dell’Amministrazione dello
Stato, l’equiparazione del trattamento di quiescenza senza
distinzione fra dipendenti di ruolo e non di ruolo. Il che, tuttavia,
non vale ad escludere che il criterio introdotto dall’art. 1 della
legge statale n. 1077 del 1966 dovesse trovare immediata applicazione
circa il personale della Regione Sicilia, dato il carattere mobile o
formale – anziché recettizio – del rinvio configurato dalla
disposizione finale dell’art. 36.
In secondo luogo, non si possono trarre indicazioni univoche e
risolutive nemmeno dalla serie delle leggi regionali posteriori a
quella in esame (n. 7 del 1971, n. 7 e n. 34 del 1974, n. 38 del 1975,
n. 87 del 1977), dalle quali il giudice a quo desume l’intendimento di
mantenere – in sede di quiescenza – la distinzione già in atto fra
gli impiegati regionali di ruolo e non di ruolo. Trattasi, infatti, di
leggi largamente successive nel tempo (ed anzi conseguenti, nella
maggior parte delle ipotesi, alla stessa cessazione del rapporto di
cui si controverte dinanzi alla sezione giurisdizionale della Corte
dei conti per la Regione siciliana): nessuna delle quali ha comunque
abrogato o modificato gli artt. 1 e 36 della legge regionale n. 2 del
1962. In altre parole, le leggi indicate dall’ordinanza di rinvio si
pongono tutte su piani diversi da quella che attualmente è in
discussione; ed anche quando dettano norme di portata generale
anziché settoriale, esse richiedono – a loro volta – di venire
interpretate ed eventualmente sindacate (come questa Corte ha già
fatto – mediante la sentenza n. 21 del 1978 – quanto all’art. 4 della
legge regionale approvata il 7 luglio 1977 e poi promulgata con il n.
87 del 17 ottobre 1977).
Conclusivamente, né dal testo della disposizione impugnata né
dall’insieme delle norme vigenti in materia di trattamento di
quiescenza dei dipendenti statali e regionali non di ruolo si ricavano
dunque argomenti che impongano di pervenire alla ricostruzione
sostenuta dal giudice a quo, anziché alla predetta interpretazione
adeguatrice. Ed in questi termini va pronunciato il rigetto della
proposta impugnativa.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 1, primo comma, della legge
23 febbraio 1962, n. 2, della Regione Sicilia – in riferimento
all’art. 3 della Costituzione – sollevata con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1981.
F.to: GIULIO GIONFRIDA – EDOARDO
VOLTERRA – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
GIUSEPPE FERRARI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere