Sentenza N. 107 del 1970
Corte Costituzionale
Data generale
26/06/1970
Data deposito/pubblicazione
26/06/1970
Data dell'udienza in cui è stato assunto
17/06/1970
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
– Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE –
Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
sarda 17 dicembre 1968, riapprovata il 6 novembre 1969, recante
“Autorizzazione al trasporto all’esercizio successivo degli ordini di
accreditamento emessi dall’Amministrazione regionale per spese in
conto capitale”, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei
ministri, notificato il 22 novembre 1969, depositato in cancelleria il
1 dicembre successivo ed iscritto al n. 13 del registro ricorsi 1969.
Visto l’atto di costituzione del Presidente della Regione autonoma
della Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 22 aprile 1970 il Giudice relatore
Giovanni Battista Benedetti;
uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese,
per il Presidente del Consiglio dei ministri, e l’avv. Pietro Gasparri,
per la Regione sarda.
Con ricorso notificato al Presidente della Giunta regionale sarda
il 22 novembre 1969 e depositato nella cancelleria di questa Corte il
successivo 1 dicembre, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
impugnato la legge regionale sarda 17 dicembre 1968, riapprovata nella
seduta del 6 novembre 1969 con la quale si dispone che “gli ordini di
accreditamento emessi dall’Amministrazione regionale per spese in conto
capitale, rimasti in tutto o in parte inestinti alla fine
dell’esercizio, possono essere trasportati integralmente, o per la
parte inestinta, all’esercizio successivo”.
Secondo l’Avvocatura la legge regionale sarebbe in contrasto con
l’art. 81 della Costituzione, nelle parti in cui enuncia il principio
dell’annualità del bilancio e quello della copertura delle spese,
nonché con gli artt. 41 e 26 delle norme di attuazione dello statuto
sardo approvato con D.P.R. 19 maggio 1949, n. 250, in relazione alla
normativa statale sulla contabilità generale dello Stato.
La legge sulla contabilità generale approvata con R.D. 18
novembre 1923, n. 2440 (art. 61) e le relative norme di attuazione di
cui al D.M. 3 giugno 1929 (art. 5) escludono tassativamente dal così
detto trasporto all’esercizio successivo gli “ordini di accreditamento”
a favore dei funzionari delegati.
Le rare deroghe al divieto in parola sono state eccezionalmente
possibili solo facendo ricorso a leggi speciali, quale il D.L. 20 marzo
1948, n. 700, che autorizzò il trasporto di ordini di accreditamento
emessi dal Ministro dei lavori pubblici per “spese di funzionamento o
mantenimento (art. 1) e per spese per opere pubbliche di bonifica (art.
2); nonché la legge 16 marzo 1951, n. 232 a favore dell’ANAS, che
consentl’ il trasporto di ordini di accreditamento relativi a spese
ordinarie e non in conto capitale.
La rigidità della normativa si ricollega alla natura del bilancio
statale quale è desumibile dall’art. 81 della Costituzione, e cioè ad
un bilancio che, essendo di competenza, deve evidenziare fedelmente le
previsioni delle entrate e delle spese evitando ogni possibilità di
commistione fra le poste di un esercizio finanziario e quelle di un
altro. L’indiscriminata possibilità di trasporto di spese
dall’esercizio precedente al successivo non consentirebbe inoltre al
Parlamento di accertare la vera entità delle spese per l’esercizio in
corso. Il legislatore perciò potrebbe essere indotto a programmare
spese per le quali non sussistono corrispettive entrate con la
conseguente violazione del precetto costituzionale di copertura posto
dall’art. 81.
Soggiunge l’Avvocatura che la legge impugnata viola inoltre sia
l’art. 41 delle norme di attuazione approvate con D.P.R. n. 250 del
1949, in forza del quale la Regione è tenuta ad osservare, in quanto
applicabili, le disposizioni vigenti della contabilità generale dello
Stato, sia l’art. 26 delle citate norme poiché il trasporto degli
ordini di accreditamento all’esercizio successivo comporterebbe un
allargamento del tempo di durata dei rendiconti con ampliamento della
portata del controllo successivo della Corte dei Conti, e riduzione
proporzionale dell’area del controllo preventivo. Nel presente
giudizio si è costituito il Presidente della Regione sarda,
rappresentato e difeso dall’avv. Pietro Gasparri, mediante deposito di
deduzioni in cancelleria in data 12 dicembre 1969.
La difesa della Regione osserva in primo luogo che la materia del
bilancio, intesa come disciplina normativa degli adempimenti degli
uffici regionali, rientra nell’art. 3, lettera a) dello statuto, che
attribuisce alla Regione potestà legislativa primaria per quanto
concerne l’ordinamento degli uffici. In relazione a questa norma va
rettamente interpretato l’art. 41 delle disposizioni di attuazione
approvate con D.P.R. n. 250 del 1949 che dispone il rinvio alle vigenti
norme della contabilità generale dello Stato per la compilazione,
variazioni e gestione del bilancio di previsione e del rendiconto della
Regione.
Se tale articolo venisse inteso nel senso che tutte le norme della
contabilità dello Stato sono obbligatorie per la Regione, la potestà
legislativa primaria di quest’ultima in materia di contabilità
verrebbe ad essere esclusa o a ridursi ad una mera competenza
integrativa.
La realtà, invece, è che l’art. 41, per come è dato desumere
dalla sua collocazione, ha carattere di norma transitoria di prima
attuazione che rese possibile nel 1949 l’inizio del funzionamento
della Regione consentendo di utilizzare nell’ordinamento regionale la
legislazione contabile dello Stato come sostitutiva di quella che
poteva essere una legge regionale sul proprio ordinamento contabile.
Il suo inciso “in quanto applicabili” deve essere pertanto inteso non
soltanto nel senso “in quanto non incompatibili con lo Statuto”, ma
anche nel senso di “in quanto non incompatibili con le norme
dell’ordinamento regionale”.
È pertanto da ritenere che la Regione, nel rispetto delle norme
costituzionali e dei principi generali dell’ordinamento, può adottare
norme nella materia in esame ed il problema che la legge impugnata
pone è quello di stabilire se il divieto di trasporto degli ordini di
accreditamento possa essere configurato come principio generale della
legge di contabilità dello Stato. La soluzione di tale problema è
data dalla stessa Avvocatura con l’indicazione delle deroghe
legislative (D.L. 20 marzo 1948, n. 700 e la legge 16 marzo 1951, n.
232) al divieto in parola, dal momento che non può certo qualificarsi
principio generale una regola che può essere derogata da leggi
statali.
Nega inoltre la difesa che la legge impugnata violi l’art. 81
della Costituzione osservando che il principio dell’annualità del
bilancio, che da tale precetto discende, non esclude affatto il
trasporto di accreditamenti non utilizzati all’esercizio successivo.
In una memoria depositata l’8 aprile 1970 la difesa della Regione
ha ulteriormente sviluppato le considerazioni svolte precisando che:
– il sistema del trasporto degli ordini di accreditamento
all’esercizio successivo, adottato come regola con la legge impugnata
in luogo della normativa statale che dispone invece l’annullamento del
vecchio ordine non utilizzato e la sua sostituzione con una nuova
apertura di credito, oltre ad essere giustificato dalla particolare
natura degli interventi regionali, ha il pregio di far risparmiare il
tempo e la trafila burocratica necessari per l’emissione di un nuovo
accreditamento, evitando così ogni ritardo nei pagamenti con tutte le
spiacevoli conseguenze che dal ritardo di solito derivano e cioè
sospensione dei lavori, delle forniture e in genere delle attività in
considerazione delle quali l’apertura di credito era stata disposta;
– tale sistema non è in contrasto con i principi dell’annualità
del bilancio e della copertura delle spese, che discendono dall’art. 81
della Costituzione, perché il residuo di spese dell’esercizio
precedente non deve essere soddisfatto con le entrate previste in conto
competenza del nuovo bilancio, ma viene iscritto a fronte delle residue
attività del vecchio esercizio;
– la legge regionale non contrasta con l’art. 41 delle norme di
attuazione dello statuto poiché con questa disposizione non si è
voluto integrare lo statuto e trasfondere in esso tutto il corpo di
leggi concernenti la contabilità generale dello Stato. Ove, per
contro, ciò dovesse ritenersi, sarebbe inevitabile giungere alla
conclusione che detto articolo è viziato da illegittimità
costituzionale in riferimento all’art. 3 lett. a) dello statuto – che
riconosce una potestà legislativa in materia alla Regione – nonché
all’art. 3 della Costituzione, poiché non si vede in base a quale
razionale giustificazione alla Regione sarda dovrebbe essere riservato
un trattamento così negativamente discriminatorio;
– neppure ravvisabile è la violazione dell’art. 26 delle norme di
attuazione poiché il controllo da parte della Corte dei conti sui
rendiconti dei funzionari delegati continua ad aver luogo, senza
varianti di sorta, sia che l’Amministrazione ritiri o riproduca l’atto
di accreditamento, sia che ne operi il trasporto. Comunque, anche
questa norma, ove fosse interpretata in modo incompatibile con
l’autonomia della Regione in materia di organizzazione dei propri
uffici contabili, sarebbe costituzionalmente illegittima in relazione
ai precetti costituzionali sopraindicati.
L’Avvocatura dello Stato, dal suo canto, nella memoria depositata
l’8 aprile 1970 insiste nel ricorso osservando che:
– con l’espediente del trasporto la Regione viene in pratica ad
allungare indefinitivamente il proprio bilancio, oltre l’anno di
competenza, falsandone l’equilibrio ordinario e violando così l’art.
81 della Costituzione;
– è fuor di luogo il riferimento all’art. 3 lett. a) dello
statuto poiché la compilazione del bilancio non è materia che possa
essere inquadrata nell’ordinamento degli uffici;
– l’art. 41 delle norme di attuazione, col suo inciso “in quanto
applicabili”, non sta ad indicare una indiscriminata possibilità di
deroga all’ordinamento contabile statale, ma solo il necessario
adattamento, tenuto conto delle diversità dei due soggetti, di
quell’ordinamento all’organizzazione regionale;
– lo Stato ha fatto uso pochissime volte e per materie e
situazioni ben determinate dello strumento tecnico del trasporto; la
legge regionale, viceversa, oltre a non offrire una plausibile causa
giustificatrice alla sua emanazione, ha effetti duraturi e illimitati
trasferendo in blocco da un bilancio di competenza ad un altro delle
poste che hanno esaurito ogni loro funzione nel bilancio di
provenienza, il che, in definitiva, significa sostituire al bilancio
annuale e rigido un bilancio elastico che non esiste nel nostro
ordinamento.
1. – Col ricorso indicato in epigrafe la legge regionale sarda 17
dicembre 1968 riapprovata il 6 novembre 1969 – recante autorizzazione
al trasporto all’esercizio successivo degli ordini di accreditamento
emessi dall’amministrazione regionale per spese in conto capitale –
viene denunciata come costituzionalmente illegittima, in riferimento
all’art. 81 della Costituzione, ed agli artt. 41 e 26 delle norme di
attuazione dello statuto sardo, approvate con D.P.R. 15 maggio 1949, n.
250, in relazione alla normativa statale sulla contabilità generale
dello Stato.
Problema preliminare alla questione proposta è quello attinente
all’esistenza di una potestà della Regione ad emanare norme in materia
di bilancio e contabilità regionale, nonché alla individuazione della
fonte statutaria dalla quale tale potestà trarrebbe origine.
Ad avviso della Corte l’esigenza di riconoscere alla Regione sarda
la potestà normativa di cui trattasi trova anzitutto fondamento ed è
anzi necessaria conseguenza dell’autonomia legislativa ad essa
attribuita nelle numerose materie indicate negli artt. 3 e 4 dello
statuto. II bilancio e la contabilità non possono infatti essere
intesi come materia a sé stante, ma rappresentano mezzi e strumenti
giuridici indispensabili perché l’ente Regione possa concretamente
operare per il perseguimento dei vari fini assegnatigli.
A parte ciò è poi da rilevare che la potestà regionale a dettare
le norme in questione rientra nel precetto statutario contenuto
nell’art. 3 lett. a) relativo all'”ordinamento degli uffici”, poiché
è fuor di dubbio che in questa espressione va ricompreso il potere di
regolare tanto la composizione, quanto anche le competenze degli organi
regionali e fra queste ultime sono certamente da includere la gestione
del bilancio e l’erogazione delle spese in esso stanziate.
Disposizioni sostanzialmente identiche a quella testé indicata, in
forza delle quali è stato esercitato un potere normativo in materia di
bilancio e contabilità, si rinvengono del resto nello statuto
siciliano (art. 14 lett. p), in quello della Valle d’Aosta (art. 23
lett. a), in quello del Friuli (art. 4 n. 1) ed, infine, in quello
della Regione del Trentino – Alto Adige (art. 4 n. 1). Quest’ultima,
anzi, come è dato desumere dalla legge regionale 24 settembre 1951, n.
17, recante “norme sulla contabilità generale della Regione”, è stata
la prima, tra le Regioni a statuto speciale, a darsi una propria legge
organica di contabilità completamente autonoma e distinta da quella
dello Stato.
Non può pertanto disconoscersi che anche alla Regione sarda spetti
una potestà primaria ad emanare norme di contabilità purché
l’esercizio di essa avvenga nel rispetto dei precetti della
Costituzione e dello statuto e con l’osservanza dei principi
dell’ordinamento giuridico dello Stato.
2. – Occorre ora verificare se con la legge in esame detta
potestà sia stata esercitata entro i limiti sopra indicati.
Col primo motivo di incostituzionalità si denuncia la violazione
dell’art. 81 della Costituzione. Assume in particolare il ricorrente
che la legge regionale, autorizzando il trasporto all’esercizio
successivo degli ordini di accreditamento rimasti in tutto o in parte
inestinti alla chiusura dell’esercizio, vulneri sia il principio della
annualità del bilancio, sia quello della copertura delle spese.
Ambedue i rilievi sono privi di fondamento.
Giova premettere che in base alla legislazione statale vigente gli
ordini di accreditamento, disposti presso le tesorerie provinciali a
favore dei funzionari delegati, costituiscono una forma di pagamento di
alcune spese, indicate dalla legge di contabilità, la cui rapida
effettuazione è obbiettivamente giustificata da particolari e non
eliminabili esigenze di talune amministrazioni, quali ad esempio quelle
militari, autonome e dei lavori pubblici.
Può però accadere che alla fine dell’esercizio l’ordine di
accreditamento non sia stato utilizzato o lo sia stato solo in parte.
In tali casi l’ordine viene annullato o ridotto. Se permane la
necessità della spesa, occorrerà emettere nel nuovo esercizio un
altro ordine di accreditamento la cui contabilizzazione figurerà nel
conto residui dell’esercizio scaduto.
Poiché sia i decreti di annullamento o riduzione sia le nuove
aperture di credito seguono lo stesso iter (uffici amministrativi,
ragioneria, Corte dei conti) degli originari ordini di accreditamento
è evidente che nel frattempo le operazioni di pagamento subiscono un
fermo che avrà innegabili negative ripercussioni sulla realizzazione
di quegli scopi in relazione ai quali gli accreditamenti erano stati
autorizzati.
Orbene, con la legge approvata dalla Regione tutto ciò non accade
perché con essa si dispone l’automatico trasporto dell’originario
ordine di accreditamento, rimasto totalmente o in parte inestinto
nell’esercizio conclusosi, al successivo esercizio finanziario.
Esempi di siffatto trasporto non mancano nella legislazione
statale. A norma della disposizione contenuta nell’art. 5, ultimo
comma, del D.M. 3 giugno 1929, emesso in base alla delega di cui
all’art. 8 della legge 9 dicembre 1928, n. 2783, il trasporto è
infatti normalmente usato dall’amministrazione dei lavori pubblici su
richiesta dei funzionari delegati per le spese in conto capitale e
cioè proprio per quelle spese per le quali il trasporto è stato
disposto in via generale dalla legge impugnata.
Ad avviso della Corte il sistema del trasporto non è lesivo della
regola dell’annualità del bilancio prevista dall’art. 81, comma primo,
della Costituzione. L’utilizzazione dell’originaria apertura di credito
mediante il suo trasferimento ope legis all’esercizio successivo non
implica l’imputazione di spese non effettuate nell’esercizio scaduto ai
fondi di competenza del nuovo bilancio. Il trasferimento riguarda
infatti spese residue del bilancio anteriore per le quali era già
prevista la relativa copertura e l’annotazione contabile di esse non
può essere fatta nella previsione di competenza del nuovo bilancio, ma
figurerà in un documento distinto quale è appunto il conto dei
residui del trascorso esercizio.
Questa netta separazione tra conto di competenza e conto dei
residui, dalla quale necessariamente consegue l’impossibilità che una
spesa relativa ad un esercizio scaduto venga soddisfatta con entrate
della nuova competenza e viceversa, vale anche a dimostrare
l’infondatezza del secondo rilievo, espresso dall’Avvocatura,
concernente il pericolo per il legislatore di programmare spese per le
quali non sussistono in realtà corrispondenti fondi di copertura.
3. – Resta da esaminare se la legge impugnata sia in contrasto con
gli artt. 41 e 26 delle norme di attuazione dello statuto di cui al
D.P.R. 19 maggio 1949, n. 250.
In ordine alla prima disposizione, che enuncia la validità per la
Regione sarda delle norme della contabilità generale dello Stato per
quanto concerne la compilazione, le variazioni e la gestione del
bilancio di previsione e del rendiconto consuntivo, è agevole rilevare
che non può ritenersi che in virtù di tale precetto tutta la
normativa contabile dello Stato sia stata definitivamente recepita
nell’ordinamento regionale.
Una simile interpretazione sarebbe inconciliabile con quanto
innanzi è stato detto circa il riconoscimento alla Regione di una
potestà legislativa primaria in materia di bilancio e di contabilità.
La norma di attuazione va pertanto rettamente intesa nel senso che
l’applicabilità delle leggi di contabilità dello Stato nell’ambito
della Regione resta subordinata al mancato esercizio della potestà
legislativa regionale in materia.
Del pari privo di fondamento è l’asserito contrasto con l’art. 26
del D.P.R. n. 250 del 1949 secondo il quale i rendiconti delle aperture
di credito a favore dei funzionari delegati devono essere sottoposti al
controllo della Delegazione della Corte dei conti ogni tre mesi e, in
ogni caso, entro trenta giorni da quello in cui è stata ultimata
l’utilizzazione dell’ordine di accreditamento.
Il sistema di controllo adottato da questa norma, in quanto esige
una dichiarazione di regolarità, importa il riscontro effettivo di
tutti i rendiconti dei funzionari delegati, e non riconosce all’organo
di controllo – così come avviene per l’Amministrazione dello Stato ai
sensi dell’art. 60, comma quarto, della legge generale di contabilità
– la possibilità di un semplice controllo saltuario limitato a
determinati rendiconti. Ora il sistema del controllo regionale, sia
nella fase preventiva che in quella successiva, non viene affatto
intaccato dalla legge impugnata. Tanto nel caso in cui l’ordine
originario sia annullato o ridotto e venga emesso un nuovo ordine di
accreditamento, quanto nel caso in cui, in luogo di tali operazioni, si
disponga più semplicemente il trasporto al nuovo esercizio della
originaria apertura di credito, il controllo continua a svolgersi con
la medesima regolarità e completezza.
La legge regionale, disciplinando in modo particolare la attività
dei funzionari delegati al pagamento delle spese, non ha quindi violato
né i precetti contenuti nell’art. 81 della Costituzione, né i
principi dell’ordinamento ai quali si informa la contabilità dello
Stato, essendo da escludere che con essa siasi arrecato pregiudizio
alle fondamentali garanzie della veridicità, della chiarezza e della
correttezza nella gestione del pubblico denaro.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’articolo unico della legge regionale sarda 17 dicembre 1968,
riapprovata dal Consiglio regionale nella seduta del 6 novembre 1969
(recante “Autorizzazione al trasporto all’esercizio successivo degli
ordini di accreditamento emessi dall’Amministrazione regionale per le
spese in conto capitale”), proposta dal Presidente del Consiglio dei
ministri, col ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all’art. 81
della Costituzione, nonché agli artt. 41 e 26 delle norme di
attuazione per lo statuto speciale per la Sardegna approvato con D.P.R.
19 maggio 1949, n. 250, in relazione alla normativa statale sulla
contabilità generale dello Stato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1970.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.