Sentenza N. 108 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
26/06/1969
Data deposito/pubblicazione
26/06/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/06/1969
MICHELE FRAGALI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIEACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAEULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
dall’Assemblea regionale siciliana il 30 aprile 1969, recante
“Modifiche alle cause di ineleggibilità previste per l’elezione a
consigliere comunale e a consigliere provinciale”, promosse con ricorso
del Commissario dello Stato per la Regione siciliana notificato l’8
maggio 1969, depositato in cancelleria il 13 successivo ed iscritto al
n. 1 del Registro ricorsi 1969.
Visto l’atto di costituzione della Regione siciliana;
udita nell’udienza pubblica del 18 giugno 1969 la relazione del
Giudice Vincenzo Michele Trimarchi;
uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese,
per il ricorrente, e l’avv. Salvatore Villari, per la Regione
siciliana.
1. – Con ricorso dell’8 maggio 1969 il Commissario dello Stato per
la Regione siciliana ha impugnato davanti a questa Corte la legge
approvata dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta del 30 aprile
1969, recante “Modifiche alle cause di ineleggibilità previste per
l’elezione a consigliere comunale ed a consigliere provinciale”, per
violazione dell’art. 51 della Costituzione.
Rilevato che detta legge prevede all’art. 1 (a modifica dell’art.
5 del testo unico delle leggi per l’elezione dei consiglieri comunali
nella Regione siciliana, approvato con decreto del Presidente della
Regione 20 agosto 1960, n. 3) l’ineleggibilità a consiglieri comunali
dei dipendenti dell’amministrazione provinciale nella cui
circoscrizione si trova il comune, e all’art. 2 l’ineleggibilità a
consiglieri provinciali degli impiegati dei comuni rientranti
nell’ambito della circoscrizione provinciale, il Commissario dello
Stato ha osservato che con tali norme vengono apportate limitazioni al
godimento del diritto politico dell’elettorato passivo (e precisamente
a quelle per l’accesso alla carica pubblica elettiva di consiglieri
comunale e di consigliere provinciale) nei confronti di soggetti che si
trovino in determinate situazioni impiegatizie personali (siano cioè
rispettivamente dipendenti dell’amministrazione provinciale nella cui
circoscrizione rientra il comune interessato o impiegati dei comuni
compresi in quella circoscrizione); che le anzidette limitazioni non
hanno alcuna precisa corrispondenza nella legislazione elettorale
statale (e precisamente nel testo unico 16 maggio 1960, n. 570, e nella
legge 10 settembre 1960, n. 962); che questa legislazione non preclude
l’eleggibilità degli impiegati comunali a consiglieri provinciali e
dei dipendenti provinciali a consiglieri comunali ed il relativo
indirizzo trova conferma nella legge 12 dicembre 1966, n. 1078 che
regola lo stato giuridico ed il trattamento eco nomico nei confronti
dei dipendenti degli enti pubblici chiamati a funzioni pubbliche
elettive; e che le anzidette situazioni impiegatizie non presentano in
Sicilia caratteristiche intrinseche differenziali nei confronti di
quelle che esistono nel restante territorio nazionale.
Ciò premesso, il Commissario dello Stato ha ricordato che, siccome
è solo lo Stato a presiedere all’equilibrio generale degli interessi
dei cittadini a partecipare al reggimento della cosa pubblica, i
princìpi di eguaglianza di trattamento, in ordine ai diritti politici,
dettati dalla Costituzione all’art. 51 (e in diretta connessione con la
fondamentale condizione di eguaglianza stabilita all’art. 3), devono
risultare da leggi dello Stato ed hanno sempre permeato tutta la
normativa statale. Per tanto, secondo l’impugnativa, la competenza
legislativa esclusiva della Regione siciliana in materia elettorale
incontra dei limiti invalicabili nei precetti costituzionali ed in
quelli statuiti dalle leggi statali attuative della Costituzione;
d’altra parte le nuove norme regionali non esprimono un logico e
razionale fondamento talmente valido da giustificare la
differenziazione della disciplina, e, oltre tutto, comprimono i
principi di attuazione della democrazia.
Conseguentemente, il Commissario dello Stato ha chiesto che fosse
dichiarata l’illegittimità costituzionale della legge impugnata.
2. – Il ricorso è stato notificato l’8 maggio 1969 al Presidente
della Regione siciliana e depositato nella cancelleria di questa Corte
il 13 successivo. Nello stesso giorno è stato disposto, a sensi
dell’art. 24 delle Norme integrative del 16 marzo 1956, che si desse
notizia del deposito del ricorso nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica ed in quella della Regione siciliana.
3. -Davanti a questa Corte si è costituito, il 19 maggio 1969, il
Commissario dello Stato per la Regione siciliana, a mezzo
dell’Avvocatura generale dello Stato. Si è pure costituito, il 21
stesso mese, il Presidente della Regione siciliana, depositando
deduzioni e chiedendo che sia dichiarata infondata la questione come
sopra sollevata e di conseguenza venga respinto il ricorso.
A sostegno della richiesta, la Regione ha rilevato che ad essa
spetta in modo esclusivo, in base agli artt. 14, lett. o e 15 dello
Statuto, l’ordinamento degli enti locali nel senso più ampio
dell’espressione; che nella disciplina dell’elettorato attivo e
passivo, essa deve rispettare unicamente la Costituzione e le leggi
costituzionali; che le leggi statali in materia di elettorato sono
leggi ordinarie e ad esse non può essere conferito un grado di
resistenza diverso da quello che hanno tutte le altre leggi ordinarie,
e che in sede di legislazione esclusiva, la riserva di legge non
significa “riserva di Stato”, bensì “obbligo di osservare la procedura
prescritta per la “forma” corrispondente al “nomen” di spettanza
regionale”. Ed ha eccepito che la legge regionale impugnata non viola
né l’art. 3, né l’art. 51 della Costituzione.
Sotto il profilo dell’art. 3, in particolare, la difesa della
Regione ha osservato che la legge de qua non crea “una disuguaglianza
tra situazioni uguali”, perché le situazioni dei dipendenti comunali o
degli impiegati provinciali nell’ambito del singolo comune o della
singola provincia sono diverse e non sono del pari eguali a quelle dei
dipendenti di altri comuni o degli impiegati di altre provincie. Stante
ciò, poiché non si viola l’art. 3 della Costituzione, se cause di
ineleggibilità siano previste da leggi statali, deve dirsi parimenti
ammissibile che cause di ineleggibilità riguardanti situazioni diverse
e riconducibili alla particolare natura delle provincie siciliane siano
previste da leggi regionali. Nella specie, poi, il legislatore
regionale ha cercato di assimilare situazioni analoghe, nello stesso
trattamento. Senza innovare in ordine all’ineleggibilità a consiglieri
provinciali degli impiegati di comuni esistenti nell’ambito della
provincia, prevista dall’art. 6, n. 4, della legge regionale 7 febbraio
1957, n. 16, la legge impugnata, per la necessità di stabilire una
specie di reciprocità degli effetti dell’esistenza del rapporto
d’impiego sul soggetto titolare del diritto elettorale passivo
nell’ambito di una provincia, a quella causa di ineleggibilità fa
corrispondere l’ineleggibilità a consiglieri comunali dei dipendenti
dell’amministrazione provinciale nella cui circoscrizione il comune si
trova.
In riferimento all’art. 51 della Costituzione, secondo la difesa
della Regione, la censura non è fondata per i motivi già specificati.
Inoltre, nessun argomento in favore della contraria tesi potrebbe
trarsi dalla legge 12 dicembre 1966, n. 1078, perché questa
presupporrebbe l’elezione del dipendente o dell’impiegato e quindi
l’assenza nello stesso di una causa di ineleggibilità.
4.- Il Commissario dello Stato, sotto la data del 4 giugno 1969, ha
depositato una memoria, con nuove considerazioni per dimostrare
l’illegittimità costituzionale della legge.
Secondo l’Avvocatura generale la particolare autonomia attribuita
alla Regione siciliana dagli artt. 15 e 16 dello Statuto in tema di
ordinamento degli enti locali, anche se estesa, non è tale da
travalicare i limiti dei principi fondamentali posti dalla Costituzione
e in particolare di quello di eguaglianza previsto, per l’elettorato
passivo, dall’art. 51, per il quale l’eleggibilità è la regola, e
l’ineleggibilità l’eccezione. E comunque il principio costituzionale
di eguaglianza, per tutti i cittadini che si trovino in condizioni
analoghe, non può essere superato (con la previsione di diverse cause
di ineleggibilità) “senza una ragione derogatoria non arbitraria né
irrazionale”.
La legge impugnata, invece, comprime il diritto elettorale passivo
di due categorie di cittadini, ancorché pubblici impiegati, senza
alcuna plausibile giustificazione. Non si ha qui infatti nessuna delle
ragioni che ricorrono a sostegno della ineleggibilità dei dipendenti
dello stesso ente all’elezione dei cui organi si partecipa; e si ha
addirittura una ineleggibilità “‘ad effetto incrociato’ cioè fuori da
ogni collegamento fra rapporto di dipendenza e candidatura elettorale,
e senza un addentellato logico e giuridico che ne legittimi
l’esistenza”. “L’ordinamento non prevede alcuna interferenza, né
immediata, né mediata, tra Provincie e Comuni” nell’ambito della
Regione siciliana – aggiunge l’Avvocatura dello Stato – e la
circostanza che siano i consiglieri dei comuni che costituiscono la
provincia ad eleggere i consiglieri della singola provincia regionale
“tocca l’aspetto dell’elettorato passivo, ma non è sufficiente a
limitare in maniera gravissima il diritto pubblico soggettivo
dell’eleggibilità presso gli Enti locali”.
Con la stessa memoria, si contesta inoltre la validità del
contrario rilievo che la legge impugnata, prevedendo l’ineleggibilità
degli impiegati dei comuni esistenti nell’ambito della provincia, non
innoverebbe sul punto, osservandosi che “la legge impugnata ha una sua
propria ” autonomia “” e che “tale autonomia importa comunque una
carica d’innovazione legislativa” (a meno di voler considerare la legge
come inutiliter data) che ne rende ammissibile la denuncia in
incostituzionalità”.
La difesa del Commissario dello Stato, infine, conclude mettendo in
evidenza che le norme impugnate non trovano corrispodenza nell analoga
normativa posta dalle leggi dello Stato e rilevando che poco
conterebbe, in ipotesi, una diversa struttura delle province siciliane
perché l’art. 51 garantisce i diritti elettorali di tutti i cittadini
della Repubblica ed il relativo precetto “non potrebbe essere regolato
dalla legge – secondo la riserva che ne fa l’ultima parte del primo
comma – con suddivisioni verticali, cioè territoriali, variabili da
Regione a Regione”.
5. – All’udienza le parti costituite si sono rimesse agli atti
scritti.
1. – Il Commissario dello Stato impugna, per violazione dell’art.
51 della Costituzione, la legge approvata dall’Assemblea regionale
siciliana il 30 aprile 1969, recante “modifiche alle cause di
ineleggibilità previste per la elezione a consigliere comunale e a
consigliere provinciale”.
Il ricorso nel merito è fondato.
La riserva di legge posta dall’art. 51 della Costituzione non
esclude che la Regione siciliana, giusta gli artt. 14, lett. o, e 15
dello Statuto, abbia, in materia di elettorato passivo, potestà
legislativa primaria. Risponde ad una sicura esigenza di carattere
generale che la disciplina dei diritti elettorali, in quanto attinenti
alle strutture essenziali di uno Stato a base democratica, sia dettata
con norme destinate tendenzialmente ad operare su tutto il territorio
della Repubblica. Ma è del pari giustificato che, coerentemente al
riconoscimento di potestà legislativa primaria alla Regione siciliana,
sia ad essa consentito di dettare norme nelle relative materie. Va da
sé, però, che, attraverso l’esercizio di quella potestà legislativa,
specie in una materia (come quella dell’elettorato passivo) in cui è
particolarmente avvertito il bisogno di una uniforme disciplina per
tutti i cittadini e per tutto il territorio nazionale, la Regione non
può dar vita a norme che comportino deroghe, non giustificate e non
razionali, alla legislazione elettorale statale che sia conforme al
dettato della Costituzione e delle leggi costituzionali.
2.-Non v’è dubbio che le norme impugnate introducono delle
limitazioni non consentite al godimento del diritto politico
dell’elettorato passivo.
Entro i confini segnati dal presente controllo di legittimità
costituzionale è evidente come non possa rilevare l’eventuale
fondatezza delle esigenze presumibilmente poste a base delle norme
impugnate e quindi l’opportunità della loro emanazione, anche se con
quelle ragioni potrebbe essere messo in evidenza un interesse di
portata generale.
Nella specie, si ha la violazione dell’art. 51 della Costituzione,
sotto il profilo della mancata osservanza del principio di eguaglianza
sul terreno e nella materia dell’elettorato passivo.
La Regione siciliana, nell’esercizio della sua potestà legislativa
primaria, non può non rispettare quel principio, nel senso che non è
in condizione di prevedere nuove o diverse cause di ineleggibilità a
consigliere comunale e a consigliere provinciale, se non in presenza di
situazioni concernenti categorie di soggetti, le quali siano esclusive
per la Sicilia ovvero si presentino diverse, messe a raffronto con
quelle proprie delle stesse categorie di soggetti nel restante
territorio nazionale, ed in ogni caso per motivi adeguati e
ragionevoli, e finalizzati alla tutela di un interesse generale.
A proposito delle norme di cui si tratta è appena il caso di
notare come non sia essenziale il riferimento ad eventuali limiti
discendenti dalle leggi statali di attuazione della Costituzione;
risulta, in modo certo, infatti, la mancata osservanza di limiti
segnati direttamente dalla Costituzione.
3. – Per valutare le norme regionali che si riportano a determinate
situazioni personali, per ragione di impiego o di lavoro, come a
condizioni e fondamento della previsione di nuove cause di
ineleggibilità a cariche pubbliche, appare indispensabile cogliere la
relazione che intercorre tra quelle situazioni ed il godimento
dell’elettorato passivo.
Può quindi non interessare la pura constatazione della mancanza in
concreto di un unico stato giuridico per tutti gli impiegati comunali e
per tutti i dipendenti provinciali, e della eventuale diversità di
situazioni giuridiche personali anche nell’ambito dello stesso comune o
della stessa provincia; od invece gioverebbe rilevare se ed in che modo
le situazioni di quelle categorie di soggetti si atteggino
autonomamente o diversamente nell’ambito delle strutture organizzatorie
della Regione siciliana.
Sotto codesto profilo non sono riscontrabili nella legislazione a
riferimento, sicuri dati o indici che valgano a dare fondamento alle
norme impugnate.
Il rapporto, risultante dall’ordinamento amministrativo degli enti
locali nella Regione siciliana (decreto legislativo Pres. reg. 29
ottobre 1955, n. 6 e legge reg. 15 marzo 1963, n. 16) tra il libero
consorzio e il comune che ne faccia parte, non mette in evidenza,
d’altronde, nuove o differenti posizioni rispettive e soprattutto non
pone l’impiegato del comune che faccia parte del consorzio e nei
confronti di questo, in una posizione esclusiva o differente da quella
in cui si trova l’impiegato comunale nei confronti della provincia nel
restante territorio nazionale.
Il risultato, non dubbio, trova definitivo riscontro solo che si
ponga mente alla circostanza che, sia pure con l’attuale regime di
amministrazione straordinaria, la provincia in Sicilia sopravvive fino
a quando saranno creati i liberi consorzi (art. 266 del citato
ordinamento) (sentenza n. 96 del 1968).
La notata relazione intercorrente tra il comune e il libero
consorzio di comuni (o la ancora operante provincia, con
amministrazione straordinaria), d’altra parte, serve anche ai fini
della valutazione del rapporto tra i dipendenti dell’Amministrazione
provinciale ed il comune rientrante nella relativa circoscrizione.
4. – Si perverrebbe sostanzialmente ad un non conducente mutamento
della angolazione circa l’esame del problema, qualora si ritenesse di
dover valutare la normativa in oggetto, sotto il profilo della asserita
assimilazione nello stesso trattamento, di categorie analoghe.
Non sembra per ciò accettabile la sia pure acuta argomentazione
avanzata dalla Regione, secondo cui il quid novi sarebbe dato dal
disposto dell’art. 1 e la relativa norma sarebbe dettata per porre
sullo stesso piano la situazione del dipendente provinciale nei
confronti del comune rientrante nella relativa circoscrizione
provinciale e quella dell’impiegato comunale verso l’Amministrazione
provinciale nella cui circoscrizione rientri il relativo comune.
E ciò almeno per due ragioni. Anzitutto, perché dovrebbe essere
dimostrata la attuale vigenza dell’art. 6, n. 4, della legge 7 febbraio
1957, n. 16 (e al riguardo, invece, rileva la legge 9 maggio 1969, n.
14, che, dettando nuove norme, esclude che la prevista causa di
ineleggibilità sussista anche per l’elezione dei consigli delle
amministrazioni straordinarie); ed in secondo luogo, e soprattutto,
perché, per le considerazioni sopra svolte non può negarsi che la
ripetuta norma, autonomamente considerata, sia incostituzionale.
5. – Con l’art. 3 della legge impugnata si dispone che le norme di
cui agli articoli precedenti non si applicano ai consigli comunali ed
ai consigli provinciali in carica e sostanzialmente quindi che le cause
di ineleggibilità in essi previste non operano per detti consigli come
cause di incompatibilità.
Al riguardo, il Commissario dello Stato non prospetta alcuna
specifica ragione di illegittimità costituzionale.
Ma non vi è dubbio, dato il rapporto di accessorietà che lega
l’art. 3 agli articoli che lo precedono, che l’accertata illegittimità
si comunichi ad esso ed all’intera legge.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale della legge approvata
dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta del 30 aprile 1969,
recante “Modifiche alle cause di ineleggibilità previste per la
elezione a consigliere comunale ed a consigliere provinciale”.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1969.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.