Sentenza N. 109 del 1970
Corte Costituzionale
Data generale
26/06/1970
Data deposito/pubblicazione
26/06/1970
Data dell'udienza in cui è stato assunto
17/06/1970
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
legge sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47, promosso con ordinanza
emessa il 20 dicembre 1968 dal tribunale di Como nel procedimento
penale a carico di Caronti Desiderio, iscritta al n. 38 del registro
ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 78 del 26 marzo 1969.
Visto l’atto di costituzione di Caronti Desiderio;
udito nell’udienza pubblica del 5 maggio 1970 il Giudice relatore
Francesco Paolo Bonifacio;
udito l’avv. Stefano Benzoni, per il Caronti.
1. – Nel corso di un procedimento penale a carico del signor
Desiderio Caronti, tratto a giudizio direttissimo per il reato di
diffamazione a mezzo della stampa, il tribunale di Como, accogliendo
un’eccezione sollevata dalla difesa dell’imputato, ha proposto una
questione di legittimità costituzionale concernente l’art. 21 della
legge sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47, in riferimento all’art. 24
della Costituzione.
Nell’ordinanza, emessa il 20 dicembre 1968, il tribunale, rilevato
che la disposizione de qua non impone la necessità dell’interrogatorio
dell’imputato “prima della richiesta per citazione direttissima”,
ritiene non manifestamente infondata la questione sulla base della
considerazione che dall’omissione dell’interrogatorio – nel sistema
processuale richiesto a garanzia dei diritti fondamentali della difesa,
tutelati dall’articolo 185, n. 3 del codice di procedura penale in
relazione all’art. 24 della Costituzione – può derivare grave
pregiudizio all’interessato.
2. – La difesa del Caronti – costituitasi innanzi a questa Corte
con atto di deduzioni del 12 aprile 1969 – mette anzitutto in evidenza
le caratteristiche peculiari del giudizio direttissimo previsto dalla
legge sulla stampa rispetto alle norme generali contenute, a proposito
dello stesso rito, nel codice di procedura penale: l’art. 502 di tale
codice, in quanto presuppone l’arresto in flagranza ed impone il previo
interrogatorio, detta una disciplina di favore per l’imputato, giacché
persegue la finalità di evitargli una lunga carcerazione preventiva e
di consentirgli di essere subito giudicato, di essere subito assolto se
innocente, di ottenere la libertà provvisoria o la sospensione
condizionale della pena; la legge sulla stampa, invece, non prevede
l’interrogatorio, rende obbligatorio il rito direttissimo, prescinde
dalla flagranza, istituisce, insomma, un regime di rigore che comporta
evidente violazione dei diritti della difesa.
Dopo aver sostenuto che la disposizione impugnata ha per effetto
anche una diminuzione dei poteri spettanti al pubblico ministero in
ordine all’esercizio dell’azione penale, la difesa del Caronti richiama
una recente sentenza della Corte, che a suo avviso imporrebbe
“l’istruzione formale, non essendo sufficiente quella sommaria”: a
maggior ragione dovrebbe essere ritenuta illegittima l’esclusione
dell’interrogatorio, nel corso del quale l’imputato avrebbe potuto
spiegare le ragioni che lo indussero a scrivere l’opuscolo incriminato,
con importanti conseguenze ai fini dell’applicazione dell’art. 133 o,
addirittura, dell’art. 42 del codice penale.
3. – Nell’udienza pubblica la difesa del Caronti si è
ulteriormente soffermata sulle profonde differenze fra il rito
direttissimo disciplinato dal codice processuale e quello imposto dalla
legge impugnata, differenze che devono indurre a ritenere che il
secondo violi i diritti di difesa dell’imputato. La difesa ha concluso
chiedendo che l’art. 21 della legge sulla stampa venga dichiarato
costituzionalmente illegittimo.
1. – L’esame dell’art. 21 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 –
contenente “disposizioni sulla stampa” – deve essere mantenuto nei
limiti precisati dall’ordinanza di rimessione. Questa non denuncia
l’intero terzo comma, in forza del quale al giudizio per i reati
commessi col mezzo della stampa si procede col rito direttissimo, ma
solo quella parte di esso che, non prevedendo “la necessità
dell’interrogatorio dell’imputato prima della richiesta di citazione”,
ad avviso del giudice a quo, proprio a causa di tale esclusione,
contrasterebbe col diritto inviolabile di difesa garantito dall’art.
24, secondo comma, della Costituzione. La Corte, pertanto, non può
esaminare altri e diversi aspetti della disciplina contenuta nella
disposizione denunciata, sui quali si è soffermata la difesa del
Caronti implicitamente sollecitando un controllo di costituzionalità
ben più ampio di quello richiesto dall’ordinanza del tribunale di
Como.
2. – Nell’interpretare la disposizione che forma oggetto della
presente questione occorre muovere dalla premessa, già enunciata da
questa Corte nella sentenza n. 56 del 1961, che la legge sulla stampa,
nel disporre il rito direttissimo, si riferisce “ad un giudizio
direttissimo già esistente nell’ordinamento, vale a dire al giudizio
direttissimo quale è disciplinato dal codice di procedura penale”.
Tale principio, giustificato dalla considerazione che altrimenti non si
saprebbe ove reperire quelle regole del procedimento sulle quali la
legge speciale tace del tutto, non implica tuttavia che tutte le norme
dettate dagli artt. 502 e seguenti del codice di procedura penale
debbano essere applicate al procedimento in esame. Ed invero occorre di
volta in volta accertare, come nella precedente ricordata occasione la
Corte fece a proposito del c.d. termine a difesa, se si tratti di norme
strettamente inerenti alle ipotesi ed alla disciplina contemplate nel
codice processuale ovvero di norme riferibili a qualunque caso di
giudizio direttissimo.
Per quanto riguarda l’attuale questione deve essere anzitutto
precisato che, nel caso in cui l’imputato di reato commesso a mezzo
della stampa sia stato assoggettato ad una misura di detenzione
preventiva, la doverosità della immediata assunzione
dell’interrogatorio discende dalle norme del codice processuale, che la
impongono, in via assolutamente generale e quale che sia il tipo del
procedimento in corso o da promuovere, a tutela della libertà
personale ed in vista dei provvedimenti in proposito demandati
all’autorità giudiziaria (cfr., ad es., per le ipotesi di arresto in
flagranza gli artt. 245 e 246 cod. proc. pen.). Il problema di
interpretazione della disposizione impugnata si restringe, perciò,
alla sola ipotesi nella quale si proceda contro un imputato libero.
Esso va risolto tenendo conto della circostanza che, mentre nei casi
previsti dall’art. 502 del codice di procedura penale (arresto in
flagranza o reato commesso da persona arrestata, detenuta o internata
per misura di sicurezza) al rito direttissimo, che è facoltativo, si
può procedere solo “se non sono necessarie speciali indagini”, la
legge sulla stampa, imponendo quel rito come obbligatorio, prescinde da
siffatto presupposto. Si può, pertanto, affermare che nel sistema
previsto dal codice l’interrogatorio dell’imputato – a parte la sua
funzione in relazione all’arresto, della quale innanzi si è discorso –
risponde all’esigenza che il procuratore della Repubblica disponga di
tutti gli elementi, anche di quelli offerti dall’imputato a propria
difesa, idonei ad orientarlo in ordine alla valutazione della
necessità di speciali indagini: risponde, cioè, ad una esigenza che
è del tutto estranea al rito direttissimo per i reati commessi col
mezzo della stampa, rispetto al quale non esiste l’alternativa del
normale procedimento istruttorio.
In base alle esposte considerazioni si può concludere,
conformemente alla premessa dalla quale muove l’ordinanza di rimessione
ed alla costante giurisprudenza della Corte di cassazione, che l’art.
21, terzo comma, della legge in esame non impone che si proceda
all’interrogatorio dell’imputato prima che sia promosso il giudizio
direttissimo.
3. – Passando all’esame della legittimità costituzionale della
disposizione interpretata nei sensi anzidetti, è di rilievo decisivo
la circostanza che, poiché per i reati commessi col mezzo della stampa
il legislatore ha imposto in ogni caso il giudizio direttissimo (con
una scelta sulla quale la Corte non è stata chiamata a pronunciarsi),
manca ogni interesse dell’imputato ad offrire subito, a mezzo del
previo interrogatorio, quegli elementi di discolpa che, comunque, non
potrebbero essere valutati se non dal giudice del dibattimento.
Vero è che nel processo penale l’interrogatorio – col quale si
realizza una precisa contestazione del fatto, si rendono noti
all’imputato gli elementi di prova a carico e gli si offre la
possibilità di discolparsi e di indicare le prove a suo favore –
costituisce importante strumento di esercizio del diritto di difesa.
Tuttavia ai fini che interessano l’art. 24 della Costituzione la
necessità della sua previsione normativa deve essere valutata in
riferimento alle particolarità del tipo di procedimento che di volta
in volta viene in considerazione e dei provvedimenti che l’autorità
giudiziaria può adottare. Con ciò si vuol dire che, nel rispetto
della norma costituzionale, l’interrogatorio è doveroso tutte le volte
in cui la mancata sua assunzione possa risolversi in effettivo e
concreto pregiudizio del diritto di difesa: non lo è, invece, quando
la struttura stessa del processo consenta di identificare un momento
processuale prima del quale quel pregiudizio non può verificarsi. Ed
è in applicazione di questo principio che la Corte da un lato ha
dichiarato illegittima l’esclusione dell’interrogatorio quando il
pretore proceda ad atti istruttori (sent. n. 33 del 1966) o qualora si
debba pervenire al proscioglimento istruttorio con formula diversa da
quella che il fatto non sussista o non sia stato commesso dall’imputato
(sent. n. 151 del 1967), dall’altro ha dichiarato non fondata la
questione nel caso della procedura per decreto di condanna (sent. n. 27
del 1966) e della mancanza di interrogatorio prima del decreto
pretorile di citazione a giudizio (sent. n. 46 del 1967). In questo
secondo gruppo di ipotesi è stato ritenuto, infatti, che razionalmente
la legge ha escluso la necessità di preventive esplicazioni di quel
diritto di difesa che in un successivo momento processuale potrà
essere spiegato in tutta la sua ampiezza e senza ricevere pregiudizio
dagli atti precedenti. Nel caso in esame è evidente che, mancando del
tutto un’attività istruttoria, è nel dibattimento e solo nel
dibattimento (cfr. sent. n. 11 del 1965 e n. 16 del 1970) che sorge un
concreto ed effettivo interesse alla difesa e, quindi,
all’interrogatorio. L’omissione di quest’ultimo prima della citazione a
giudizio direttissimo non reca perciò svantaggio alcuno all’imputato e
in nessun modo menoma il diritto garantitogli dall’art. 24 della
Costituzione. La questione deve essere perciò dichiarata non fondata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 21, comma terzo, della legge 8 febbraio 1948, n. 47
(contenente “disposizioni sulla stampa”), nella parte in cui non
prevede l’interrogatorio dell’imputato prima della citazione a giudizio
direttissimo, proposta dall’ordinanza indicata in epigrafe in
riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1970.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VEZIO
CRISAFULLI – NICOLA REALE – PAOLO
ROSSI.