Sentenza N. 109 del 1977
Corte Costituzionale
Data generale
09/06/1977
Data deposito/pubblicazione
09/06/1977
Data dell'udienza in cui è stato assunto
24/05/1977
OGGIONI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Avv. LEONETTO
AMADEI – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Prof. ANTONINO
DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv.
ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO
MALAGUGINI, Giudici,
della legge 4 novembre 1965, n. 1213 (Nuovo ordinamento dei
provvedimenti a favore della cinematografia), promosso con ordinanza
emessa il 16 novembre 1973 dalla Corte di appello di Torino, nel
procedimento civile vertente tra la s.p.a. Clodio Cinematografica e
l’Ente provinciale per il turismo di Torino, iscritta al n. 481 del
registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 7 dell’8 gennaio 1975.
Visto l’atto di costituzione della s.p.a. Clodio Cinematografica,
nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 1 febbraio 1977 il Giudice relatore
Leopoldo Elia;
uditi l’avv. Antonio Sorrentino, per la s.p.a. Clodio
Cinematografica, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio
Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – La s.p.a. Clodio Cinematografica conveniva innanzi al tribunale di
Torino l’Ente provinciale per il turismo di Torino e, premesso che una
sua proposta di produrre documentari a carattere turistico era stata da
questo respinta con giustificazione tratta dall’art. 12, comma quarto,
della legge 4 novembre 1965, n. 1213, secondo cui le Amministrazioni
dello Stato, gli enti pubblici e le società a prevalente
partecipazione statale debbono affidare all’Istituto Luce la produzione
e la distribuzione dei cortometraggi da essi finanziati, chiedeva si
dichiarasse il suo diritto a produrre tali documentari, eccependo, al
tempo stesso, illegittimità costituzionale della norma invocata
dall’Ente turismo.
Nella contumacia del convenuto il tribunale respingeva la domanda
per difetto di interesse, ritenendo non sussistesse incertezza o
contestazione circa il diritto della s.p.a. Clodio Cinematografica di
produrre cortometraggi a contenuto turistico; l’unica controversia
verteva – ad avviso del tribunale – sul diritto al finanziamento ma
questa avrebbe dovuto essere portata, dopo un rifiuto dell’Ente
turismo, innanzi al giudice amministrativo nei modi e nelle forme di
legge.
La Corte d’appello, invece, accogliendo l’eccezione sostanzialmente
conforme della società attrice appellante, sollevava con ordinanza
emessa il 16 novembre 1973 (peraltro gli atti di causa sono pervenuti a
questa Corte solo in data 15 novembre 1974), questione di legittimità
costituzionale riguardo al detto art. 12, comma quarto, della legge 4
novembre 1965, n. 1213 recante “Nuovo ordinamento dei provvedimenti a
favore della cinematografia” per contrasto con gli artt. 41, 43 e 33,
comma primo, della Costituzione.
Riteneva la Corte d’appello di Torino, infatti, problematica la
conciliabilità con il principio della libera iniziativa economica
privata del limite imposto dalla norma di cui si tratta all’autonomia
contrattuale, non ricorrendo i motivi di tutela della libertà,
dignità, sicurezza e di utilità sociale e neppure l’ipotesi di
programma e controllo volti ad indirizzare a fini sociali l’attività
economica, i quali soli, alla stregua dell’art. 41 Cost., potrebbero
giustificarlo.
L’art. 12, comma quarto, della legge menzionata inoltre
stabilirebbe una riserva di impresa economica, pur non ricorrendo i
presupposti oggettivi e soggettivi previsti dall’art. 43 Cost.:
l’Istituto Luce non è infatti un ente pubblico né espressione di una
comunità di lavoratori o di utenti, ma è una società per azioni; e
neppure si sarebbe in presenza di una situazione di mopolio, di
servizio pubblico essenziale o di fonte di energia; né, infine,
ricorrerebbe – nell’attività economica di cui si tratta – il pur
necessario carattere di preminente interesse generale.
La norma legislativa impugnata violerebbe, ancora, il principio di
libera manifestazione e diffusione di opere aventi carattere artistico:
precludendo l’attività privata in un certo settore potrebbe anche
infatti impedire la divulgazione di prodotti i quali assurgessero a
dignità e pregio d’arte.
2. – Si costituiva nel giudizio innanzi a questa Corte la s.p.a.
Clodio Cinematografica. Sviluppava ed approfondiva i motivi di dubbio
evidenziati nell’ordinanza di rimessione; chiedeva quindi si
pronunziasse sentenza di accoglimento.
Interveniva il Presidente del Consiglio dei ministri attraverso
l’Avvocatura dello Stato, sollecitando al contrario decisione di
rigetto. La norma di cui si discute, infatti, non porrebbe limiti alla
iniziativa economica e contrattuale dei privati ma solo all’agire della
P.A., degli enti pubblici, delle società a prevalente partecipazione
statale; conseguentemente inoltre non verrebbe a fondare una riserva di
iniziativa a favore di un certo soggetto giuridico. Per gli stessi
motivi non sarebbe, d’altra parte, idonea a restringere od ostacolare
la possibilità di creare e diffondere opere aventi pregio artistico.
3. – Con successiva memoria la società Clodio Cinematografica
replicava all’Avvocatura dello Stato osservando che le limitazioni
imposte alla libertà contrattuale degli enti pubblici si traducono in
limiti alla corrispondente autonomia negoziale dei privati e dunque
alla loro libertà di iniziativa. Rilevava inoltre che il divieto
legislativo toccava direttamente anche le società per azioni a
prevalente partecipazione statale le quali sono soggetti di diritto
privato e godono dunque della garanzia di cui all’art. 41 Cost.; ne
deriverebbe un Ulteriore profilo di incostituzionalità.
Nella discussione la società Clodio Cinematografica sviluppava e
ribadiva le tesi già svolte. L’Avvocatura dello Stato, ricollegandosi
alla storia dell’Istituto Luce per lungo tempo ente di diritto
pubblico, sosteneva che non illegittimamente poteva essere destinatario
di una riserva di attività economica; ribadiva dunque le conclusioni
già prese nell’atto di intervento pur mutando gli argomenti addotti a
sostegno di esse.
La società Clodio Cinematografica replicava brevemente negando,
fra l’altro, che potessero trarsi argomenti decisivi da vicende di
storia legislativa ormai superate e ribadendo gli ulteriori rilievi
già svolti.
Sia l’ordinanza della Corte d’appello di Torino che la difesa della
s.p.a. Clodio Cinematografica sviluppano le censure di illegittimità
costituzionale nei confronti dell’art. 12, quarto comma, della legge 4
novembre 1965, n. 1213, partendo dal presupposto, dato per pacifico e
comunque non contestabile, che la norma comporti una riserva di
attività economica a favore dell’Istituto Luce e, dunque, una
“esclusiva” a favore di un soggetto di diritto privato.
Ma è proprio questa configurazione di base della normativa
impugnata che non può essere accolta. In realtà la fattispecie ivi
prevista non concerne affatto la creazione di un nuovo monopolio
pubblico, sia pure limitatamente ad una parte del mercato dei
cortometraggi, o nello sbarramento di un settore produttivo a danno di
soggetti diversi dall’Istituto Luce: si tratta piuttosto di una
situazione nella quale l’amministrazione pubblica, a mezzo di una
società che fa capo ad un ente di gestione del sistema delle
partecipazioni statali, si pone come autoproduttrice (o produttrice in
proprio) rispetto ai cortometraggi realizzati da altri soggetti.
Non a caso, infatti, l’art. 25, secondo comma, della legge n. 1213
del 1965, si riferisce ai “film prodotti dalle Amministrazioni dello
Stato e dagli enti pubblici”. Questa formulazione esprime in termini
propri di risultato finale quanto altre formulazioni equipollenti,
contenute nella stessa legge, presentano come descrizione di fasi che
precedono il punto di arrivo della realizzazione: così nell’art. 13,
secondo comma, si parla di “cortometraggi prodotti dall’Istituto Luce
per conto delle Amministrazioni dello Stato, degli enti pubblici e
delle società a prevalente partecipazione statale”; mentre, nel più
noto quarto comma dell’art. 12, si prevede che questi soggetti debbano
“affidare all’Istituto Luce la produzione e la distribuzione in
pubblico in Italia dei film da essi comunque finanziati”. Quanto
all’art. 3 della legge 14 agosto 1971, n. 814 (Aumento del fondo di
dotazione, finanziamento ed altre disposizioni concernenti l’Ente
autonomo di gestione per il cinema – Sistemazione della situazione
debitoria dell’Ente cinema nei confronti dell’IRI e aumento del fondo
di dotazione dell’Istituto per la ricostruzione industriale), esso
prescrive tra l’altro che l’Istituto Luce dovrà “realizzare i
documentari commissionati dalle Amministrazioni dello Stato” nonché
dagli altri soggetti appartenenti alle categorie definite dalle
disposizioni già citate. Anche in dottrina e nel linguaggio comune non
mancano espressioni che indicano come lo Stato si serva dell’Istituto
Luce per realizzare “i propri documentari”.
Ma – ed è ciò che più conta – il fenomeno dell’autoproduzione di
cortometraggi non si esaurisce nella normativa dell’impugnato quarto
comma dell’art. 12 legge n. 1213 del 1965 ma dà luogo ad una
disciplina particolare per ciò che riguarda la presenza o, per meglio
dire, l’assenza dal comune mercato, dei cortometraggi prodotti dalle
amministrazioni statali e dagli enti pubblici: giacché essi non sono
ammessi (art. 25, secondo comma) ai contributi ed ai premi previsti
dalla stessa legge.
Come è chiaro, il legislatore vuole evitare che, quando i films
sono prodotti dalla amministrazione pubblica, l’intervento di
quest’ultima nella produzione cinematografica possa essere dettato da
finalità di lucro. Inoltre, solo una quota annuale di tali
cortometraggi, giudicati di interesse culturale o spettacolare, può
essere proiettata dagli esercenti di sale cinematografiche “in
sostituzione” dei comuni cortometraggi (art. 13, secondo comma, legge
n. 1213 del 1965). Ben diversa è la situazione dei documentari
prodotti in proprio dall’Istituto Luce i quali, invece, come tutti gli
altri, sono ammessi ai contributi ed ai premi previsti dalla legge n.
1213 del 1965: e ciò è riconosciuto sia dalla giurisprudenza che
dalla dottrina.
Deve dunque ammettersi che il sistema normativo non tanto comporta
una posizione di privilegio dell’Istituto Luce (come potrebbe apparire
da una prima lettura delle disposizioni relative ai cortometraggi
prodotti per le amministrazioni statali e gli enti pubblici sottoposti
al controllo di queste) quanto una sua duplice situazione che
corrisponde assai bene alla storia dell’Istituto, nato come ente
pubblico nel 1925 e rinato come società a partecipazione statale,
facente capo all’Ente gestione cinema, nel 1962. L’Istituto era stato
concepito come “organo tecnico cinematografico dei singoli ministeri,
ai lini della ripresa e della diffusione di pellicole cinematografiche
aventi scopo didattico, culturale, scientifico e di interesse e di
propaganda nazionale” (r.d.l. 5 novembre 1925, n. 1985, conv. in legge
18 marzo 1926, n. 562; nonché r.d.l. 24 gennaio 1929, n. 122, conv.
in legge 24 giugno 1929, n. 1048).
Successivamente, quando si costituì il 10 agosto 1962 la S.p.a.
Istituto Luce, essa trovò già in vigore la seguente disposizione,
contenuta nel secondo comma dell’articolo 1 legge 2 dicembre 1961, n.
1330 (Attività e disciplina dell’Ente autonomo di gestione per il
cinema): “La stessa società eserciterà, a favore delle pubbliche
amministrazioni e degli enti sottoposti al controllo dello Stato, i
medesimi compiti già esercitati dall’Istituto Nazionale Luce”. I
“compiti” della società sono stati confermati esplicitamente dalla
già citata legge 14 agosto 1971, n. 814, ed hanno preciso riscontro
nell’art. 12, lettera b dello Statuto speciale.
Da una parte, dunque, la S.p.a. Istituto Luce può agire sul
mercato con una attività contraddistinta da particolari fini, ma pur
sempre inquadrabile nei criteri di economicità comuni all’intero
sistema delle partecipazioni statali (art. 3, primo comma, legge 22
dicembre 1956, n. 1589); dall’altra essa si presenta come mero
strumento produttivo delle amministrazioni statali e degli enti
pubblici. Perciò, a carico di questi soggetti restano soltanto, nei
limiti del costo sostenuto, le spese di produzione, di distribuzione e
di stampa delle copie: inoltre le amministrazioni e gli enti possono
designare il personale artistico necessario per la realizzazione del
film (art. 12, quarto comma, legge n. 1213 del 1965).
Come si vede, la formula dell’autoproduzione adottata da questa
normativa, mentre allontana ogni analogia con la figura dell’appalto,
richiama il “sistema della economia (o dei servizi in economia)” nella
sua più limitata accezione della amministrazione diretta (contrapposta
a quella del cottimo fiduciario): istituti che la dottrina suole
prendere in esame unitamente ai contratti veri e propri della pubblica
amministrazione. Il sistema dell’economia, usato più frequentemente
nel settore dei lavori pubblici, consente di far coincidere il costo
dell’opera o del servizio con le spese effettivamente sostenute,
eliminando il guadagno dell’imprenditore. In realtà, il quarto comma
dell’art. 12 legge n. 1213 del 1965 non considera nemmeno, a favore
dell’Istituto Luce, quella “quota di utile” che pure l’art. 14, primo
comma, del d.l. C.P.S. 22 settembre 1947, n. 1105, prevede a favore
dell’Istituto Poligrafico dello Stato: l’apposita Commissione delle
tariffe, incaricata di determinare il prezzo dei lavori che il
Provveditorato generale dello Stato affida all’Istituto Poligrafico,
deve tener conto infatti, oltreché delle prestazioni di mano d’opera,
dei materiali occorrenti, dei relativi costi e della quota di spese
generali, anche della quota di utile.
Questa particolare disciplina disposta per la produzione dei
cortometraggi nell’interesse della amministrazione pubblica dimostra
almeno due cose: che ben diversa è la situazione dell’Istituto Luce
quando realizza cortometraggi per i veri terzi, cioè per soggetti che
non siano ricompresi a questo fine nella amministrazione pubblica,
rispetto all’altra che si verifica allorché l’Istituto si pone al
servizio della mano pubblica. In secondo luogo, la posizione
dell’Istituto Luce, nello svolgimento di quest’ultimo compito, non può
affatto essere assimilata a quella dei soggetti che esercitano, con
autentica autonomia contrattuale, la libertà di iniziativa economica
in questo settore.
Come si è già accennato, il rapporto tra Provveditorato generale
dello Stato e Istituto Poligrafico è quello che più si avvicina al
rapporto tra amministrazione pubblica e Istituto Luce: non rilevando,
ai fini qui considerati, le notevoli differenze che pur corrono tra un
ente pubblico economico ed una società a partecipazione statale.
Certamente, la scienza dell’amministrazione non ignora gli abusi a
cui può dar luogo l’esperienza del sistema “in economia” e la gestione
diretta dei servizi: da un ricorso troppo ampio a questi istituti
(mentre esso è rigorosamente delimitato dalla normativa vigente),
potrebbero risultare indirettamente e indebitamente alterati gli
equilibri propri del nostro sistema a economia mista, quale si delinea
negli articoli 41, 42 e 43 della Costituzione. Ma non è questo il
caso dell’Istituto Luce, non tanto per il suo carattere marginale, non
solo perché esso interessa le amministrazioni statali e (si deve
intendere) gli enti pubblici che fanno capo allo Stato- persona, ma
soprattutto perché, in questo settore, solamente l’iniziativa privata
può accedere al complesso di provvidenze ed incentivi previsti dalla
legislazione sulla cinematografia.
Quanto all’art. 12, quarto comma, della legge 4 novembre 1965, n.
1213, si può dunque concludere che si tratta di una norma a carattere
prevalentemente organizzativo, che opera con efficacia immediatamente
vincolante soltanto nell’ambito della amministrazione pubblica nel
senso ora indicato: in ordine alle società a prevalente partecipazione
statale esso contiene disposizioni per lo svolgimento di un’attività
amministrativa che, nel caso, gli organi competenti dello Stato
avrebbero potuto svolgere anche senza il precetto della legge, data la
situazione in cui lo Stato si trova rispetto alle società nelle quali
abbia una prevalente partecipazione, essendogli praticamente consentito
di determinare la volontà degli organi sociali (sent. n. 1/1960). Si
resta dunque, trattandosi di norma organizzativa, nella prospettiva
dell’art. 97 Cost.: mentre non si toccano le situazioni tutelate negli
artt. 41 e 43 Cost. Di conseguenza rimane assorbita anche l’eccezione
di incostituzionalità sollevata in relazione all’art. 33, primo comma,
della Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 12, comma quarto, della legge 4 novembre 1965, n. 1213,
recante “Nuovo ordinamento dei provvedimenti a favore della
cinematografia”, proposta con l’ordinanza in epigrafe della Corte
d’appello di Torino, in riferimento agli artt. 41, 43 e 33, primo
comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 maggio 1977.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGTONI –
VEZIO CRISAFULLI – NICOLA REALE –
LEONETTO AMADEI – GIULIO GIONFRIDA –
EDOARDO VOLTERRA – GUIDO ASTUTI –
MICHELE ROSSANO – ANTONINO DE STEFANO
– LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO ROEHRSSEN
– ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere