Sentenza N. 11 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
19/02/1965
Data deposito/pubblicazione
19/02/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
04/02/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO
MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE
FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott.
GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO, Giudici,
comma, del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il
7 aprile 1964 dal Tribunale di Varese nel procedimento penale a carico
di De Aloè Guido, Pittino Roberto, Borin Giovanni ed altri, iscritta
al n. 87 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, n. 157 del 27 giugno 1964.
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Pittino Roberto e Borin
Giovanni;
udita nell’udienza pubblica del 20 gennaio 1965 la relazione del
Giudice Biagio Petrocelli;
uditi gli avvocati Giovanni Conso e Giacomo Delitala, per Pittino e
Borin.
Nel corso del procedimento penale a carico di De Aloè Guido ed
altri davanti al Tribunale di Varese, alla udienza del 7 aprile 1964
l’Avvocato distrettuale dello Stato, nell’interesse degli imputati
Pittino Roberto e Borin Giovanni, avanzava una istanza nei termini
seguenti: “chiede rimettersi gli atti alla Corte costituzionale
affinché si pronunci sulla costituzionalità o meno delle norme che
regolano la istruzione sommaria”.
Il Tribunale, con ordinanza in pari data, sospese il giudizio e
rimise gli atti alla Corte costituzionale.
L’ordinanza si riferisce alla disposizione dell’art. 392, primo
comma, del Codice di procedura penale, secondo la quale nella
istruzione sommaria si osservano le norme stabilite per l’istruzione
formale “in quanto sono applicabili”. Si rileva quindi che, secondo
l’indirizzo largamente seguito dalla prevalente giurisprudenza,
affermatasi con decisioni del supremo Collegio anche a Sezioni unite,
gli artt. 304 bis, 304 ter e 304 quater del Codice di procedura penale,
introdotti nel titolo della istruzione formale con la legge 18 giugno
1955, n. 517, e concernenti il primo gli atti istruttori ai quali
possono assistere i difensori delle parti e gli altri due le relative
modalità di avviso e di deposito, non sono ritenuti applicabili alla
istruzione sommaria “in considerazione della diversità dell’organo che
compie l’istruzione e delle caratteristiche delle due contrapposte
istruttorie”.
Ciò premesso, il Tribunale, dopo aver osservato che “il giudizio
relativo alla legittimità costituzionale di una norma di legge
presuppone che se ne dia l’interpretazione più esatta”, esprime
l’avviso che tale debba ritenersi la suddetta interpretazione delle
citate norme; e rileva che, però, così fissata la portata di queste
ultime, verrebbe a conseguire un diverso trattamento del diritto alla
difesa, tutelato dall’art. 24, secondo comma, della Costituzione, a
seconda del rito istruttorio di volta in volta prescelto. Onde – ad
avviso del Tribunale – la non manifesta infondatezza della questione di
legittimità del primo comma dell’art. 392, in relazione agli artt.
304 bis, 304 ter e 304 quater, in riferimento alla citata norma
costituzionale.
L’ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 157 del 27 giugno 1964. Si sono
costituiti in giudizio il Pittino e il Borin, assistiti dagli avvocati
Giacomo Delitala ed Ettore Gallo, con atto depositato nella cancelleria
della Corte il 17 luglio 1964.
Nelle sue deduzioni la difesa rileva che la novella del 1955,
introducendo nel titolo del Codice relativo alla istruzione formale le
disposizioni degli artt. 304 bis, 304 ter e 304 quater, ha inteso
adeguare l’ordinamento processuale al principio della inviolabilità
del diritto di difesa sancito dal secondo comma dell’art. 24 della
Costituzione: principio che, per la sua stessa formulazione
generalissima e perentoria, appare insuscettibile di limitazioni a
seconda del tipo o della forma del procedimento. Sicché, in
particolare, non sarebbe possibile configurare diritti minori a favore
della difesa nella istruzione sommaria, “la cui funzione processuale –
si osserva – è perfettamente simmetrica a quella della istruzione
formale”.
Viceversa – prosegue la difesa – l’art. 392, primo comma, con lo
stabilire che nella istruzione sommaria si osservano le norme previste
per quella formale, in quanto applicabili, renderebbe possibile una
discriminazione fra le due forme di istruzione: proprio in virtù di
ciò, infatti, la giurisprudenza costante della Corte di cassazione
ritiene che le citate disposizioni non siano applicabili alla
istruzione sommaria, in quanto non compatibili con la rapidità e
snellezza di forme che di questa dovrebbero essere le caratteristiche.
E di qui la violazione del precetto dell’art. 24, secondo comma, della
Costituzione, ad opera dell’art. 392.
Occorre tener presente che, dopo la riforma del Codice di procedura
penale del 1955, si formarono in seno alla giurisprudenza, prima di
merito e poi anche della Corte di cassazione, opinioni contrastanti
circa l’applicabilità degli artt. 304 bis, 304 ter e 304 quater alla
istruzione sommaria. Con tre sentenze del 17 maggio 1958 la Corte di
cassazione a Sezioni unite si pronunciò nel senso della
inapplicabilità, e questa opinione è stata costantemente accolta
dalle pronunce successive.
In data 8 gennaio 1965 la difesa del Pittino e del Borin ha
presentato, fuori termine, una memoria illustrativa.
1. – L’ordinanza di rimessione rileva che, secondo l’indirizzo
della prevalente giurisprudenza confortato da sentenze della Corte di
cassazione a Sezioni unite, le disposizioni degli artt. 304 bis, ter e
quater, inseriti nel Codice di procedura penale con la legge 18 giugno
1955, n. 517, non sono estensibili alla istruzione sommaria. Rimette
pertanto gli atti a questa Corte “per la decisione sulla legittimità
costituzionale delle norme di cui all’art. 392 in relazione agli artt.
304 bis, ter e quater del Codice di procedura penale, rispetto all’art.
24 della Costituzione”. La difesa, nell’atto di costituzione, ha
concluso in termini sostanzialmente identici, precisando in pubblica
udienza la sua richiesta nel senso che la Corte dovrebbe dichiarare la
illegittimità parziale delle norme impugnate in quanto gli artt. 304
bis, ter e quater non sono applicabili alla istruzione sommaria.
L’ordinanza, inoltre, tiene a ricordare che il giudizio relativo alla
legittimità costituzionale di una norma di legge presuppone che se ne
dia la interpretazione più esatta; e questa, nel caso attuale, sarebbe
quella fornita da ultimo dalla Corte di cassazione.
La Corte osserva preliminarmente essere ovvio principio quello
enunciato nell’ordinanza del Tribunale di Varese. È evidente che della
legittimità costituzionale di una norma non si può giudicare senza
prima avere stabilito quali della norma siano il contenuto e la
portata. A questo fine non è escluso che la Corte costituzionale possa
anche avvalersi di una precedente interpretazione, sempre però che, a
seguito di una piena adesione, questa sia divenuta anche la
interpretazione propria. Stabilire infatti quale sia il contenuto della
norma impugnata è inderogabile presupposto del giudizio di
legittimità costituzionale; ma esso appartiene al giudizio della Corte
non meno della comparazione, che ne consegue, fra la norma interpretata
e la norma costituzionale, l’uno e l’altro essendo parti inscindibili
del giudizio che è propriamente suo. Che poi frequentemente la parte
del giudizio della Corte relativa alla interpretazione della norma
ordinaria non assuma un particolare rilievo, per la evidenza del
contenuto della norma stessa, o per effetto, appunto, di una precedente
interpretazione sicuramente consolidata, non è cosa che valga a mutare
la posizione logica dei due momenti, né l’appartenenza di entrambi
all’unitario giudizio della Corte. D’altra parte, una precedente
interpretazione della norma impugnata sarebbe idonea ad assumere
l’efficacia in un certo senso impegnativa che l’ordinanza e la difesa
sostengono solo allorché, per generale costante adesione e della
dottrina e della pratica, essa si sia sicuramente e lungamente
consolidata attraverso il tempo.
Il che, ad avviso della Corte, non può dirsi dell’indirizzo che
mira ad escludere per la istruzione sommaria l’applicabilità delle
garanzie della difesa stabilite nelle disposizioni degli artt. 304 bis,
ter e quater.
2. – La difesa ha sostenuto che, ai fini dell’applicabilità delle
norme predette, una discriminazione fra i due tipi di istruzione,
proprio sul punto dei diritti della difesa, è resa possibile dall’art.
392, primo comma, con lo stabilire che nell’istruzione sommaria si
osservano le norme della istruzione formale, “in quanto sono
applicabili”. Ad avviso della Corte, l’art. 392, e in esso la
proposizione particolarmente richiamata, non sembra che possa assumere
la funzione che gli si vuole attribuire. La espressione “in quanto sono
applicabili” è dal legislatore usata frequentemente (vedi ad es. artt.
519, 536 del Codice di procedura penale, art. 13 della legge 20 luglio
1934, n. 1104, ecc.), ogni volta che la disciplina disposta da una data
norma viene estesa ad altra fattispecie; e vuole significare niente
altro che la usuale avvertenza di tener presenti i casi in cui la
estensione non è possibile. Avvertenza in certo modo superflua, in
quanto la non estensibilità deve derivare logicamente dalla natura
stessa degli istituti, come appunto avviene per la istruzione sommaria,
in rapporto alla quale, ad esempio, si manifesta inapplicabile prima
facie ogni norma che sia stata dettata per la istruzione formale
relativamente all’istruttore in quanto giudice; mentre nulla lascia
ritenere che la proposizione “in quanto sono applicabili” valga a
conferire all’interprete un certo potere di valutazione, con risultato
opinabile, come sarebbe quello di ammettere o negare l’applicabilità
delle norme in questione in base a un giudizio sulla diversa natura dei
due tipi di istruzione.
Ad ogni modo, ammessa la impostazione dell’ordinanza accolta dalla
difesa, l’oggetto della questione di legittimità costituzionale rimane
così determinato: illegittimità parziale dell’art. 392, primo comma,
del Codice di procedura penale in relazione agli artt. 304 bis, ter e
quater in quanto non applicabili alla istruzione sommaria.
3. – Ciò premesso, punto centrale della indagine è lo stabilire
se veramente si possa ritenere esatta la interpretazione restrittiva
che è stata data ai tre articoli ripetutamente citati. A questo
proposito occorre innanzi tutto domandarsi se sussistano elementi
idonei a far ritenere che siano stati gli autori della riforma del 1955
a voler limitare, nel senso poi dichiarato dalla Corte di cassazione,
l’efficacia delle norme in questione.
Indagine tanto più necessaria in quanto, a voler ammettere che la
portata restrittiva delle norme sia stata voluta, duplice ne
risulterebbe l’addebito a carico del legislatore: di aver dato alle
norme una efficacia limitata che poteva manifestarsi in contrasto con
la Costituzione, e di non averne fatto cenno né data giustificazione
alcuna.
Ora, né dal testo della legge né dai lavori preparatori emergono
elementi o indizi di sorta in quel senso. Assai significativi, invece,
sono gli elementi opposti, nel senso cioè di una efficacia di quelle
garanzie concepita implicitamente come unitaria, e quindi riferibile
all’uno e all’altro tipo di istruzione. Nella relazione ministeriale
con cui il disegno di legge fu presentato alla Camera e al Senato,
rispettivamente nell’agosto 1954 e nel giugno 1955, tre punti, ad
avviso della Corte, si presentano di decisiva importanza; primo: tenuta
presente la impossibilità di avviare in breve tempo i lavori per la
riforma totale del Codice di procedura penale, si afferma
preliminarmente “la necessità di coordinare il Codice di rito con la
Costituzione”; secondo: si dichiara che il testo presentato al
Parlamento “è inteso principalmente a offrire ulteriori garanzie alla
difesa e alle parti”; terzo: immediatamente dopo, sempre all’inizio
della relazione, si mette in rilievo che “si è ammessa una più larga
partecipazione del difensore alla istruzione”. Sono questi i principi
informatori della riforma, e non si prestano invero a costituire
argomento favorevole per una soluzione restrittiva. Essi sono, d’altra
parte, così chiaramente ed energicamente espressi da indurre
senz’altro alla certezza che se la partecipazione della difesa agli
atti indicati nell’art. 304 bis si fosse voluta limitare alla
istruzione formale, di una così netta deviazione dall’indirizzo
generale della riforma non avrebbero potuto mancare nei lavori
preparatori i motivi di giustificazione.
Né potrebbe una finalità di discriminazione da parte del
legislatore desumersi dalla collocazione delle norme in esame nel
titolo della istruzione formale. E ciò perché tutte le norme che
regolano gli atti della istruzione hanno organicamente la loro sede in
quel titolo, mentre quello successivo, riguardante la istruzione
sommaria, contiene la norma generale per cui il Procuratore della
Repubblica può compiere tutti gli atti che nella istruzione formale
sono di competenza del giudice istruttore (art. 391), con l’aggiunta di
disposizioni che riguardano in modo particolare la istruzione sommaria
(art. 389 e segg.).
Ad escludere la volontà del legislatore di limitare
l’applicabilità degli artt. 304 bis, ter e quater alla istruzione
formale può anche essere invocato l’art. 4 delle norme di attuazione e
di coordinamento, pubblicate con D.P.R. 25 ottobre 1955, n. 392, il
quale contiene evidente, se pure implicito, il riferimento anche alla
istruzione sommaria. Nel regolare, infatti, la notificazione degli
avvisi indicati negli artt. 304 ter e quater si parla in genere di
“ufficio giudiziario” e di “istruzione penale” e, ancor più, di
notificazione mediante deposito “nella cancelleria e segreteria”, con
evidente riferimento, con quest’ultimo termine, ad un ufficio che
appartiene alla magistratura requirente. Dal che si è fondatamente
dedotto, dalla giurisprudenza che da principio fu favorevole ad una
larga interpretazione delle norme, altro argomento per ritenere che gli
autori della riforma del 1955 la vollero estesa anche alla istruzione
sommaria.
4. – Escluso che una discriminazione fra i due tipi di istruzione
sia stata voluta dagli autori della riforma, occorre ora prendere in
esame le principali argomentazioni addotte per dimostrare che comunque
tale discriminazione effettivamente esiste nella legge. Esse possono
ridursi sostanzialmente nei termini seguenti: la istruzione sommaria ha
carattere eccezionale rispetto alla istruzione formale; la sua diversa
natura e finalità non consente che le siano estese le disposizioni di
cui agli artt. 304 bis, ter e quater.
L’argomentazione che tende ad attribuire alla istruzione sommaria
carattere eccezionale mira in fondo a presentare come quantitativamente
trascurabile la zona nella quale, con la interpretazione restrittiva,
verrebbero a mancare le note garanzie difensive. L’affermazione appare
non conforme alla realtà, sia che si guardi alla latitudine conferita
alla istruzione sommaria dalla legge, sia che si guardi alle dimensioni
che essa, di fatto, ha poi assunto nella pratica. Sotto il primo
aspetto va considerato innanzi tutto che (a parte i casi di giudizio
direttissimo e di giudizio per decreto) si deve procedere con
istruzione sommaria per tutti i reati di competenza del pretore e per
tutti i reati di competenza del tribunale dei minorenni: (artt. 389,
ultimo comma, del Cod. di procedura penale e 13, primo comma, del R.D.
legge 20 luglio 1934, n. 1404): due categorie numerosissime di
procedimenti penali, a parte la importanza qualitativa, in non pochi
casi tutt’altro che trascurabile. A queste due categorie sono da
aggiungere le altre indicate dall’art. 389: reati di competenza della
corte d’assise e del tribunale quando l’imputato sia stato sorpreso in
flagranza; reati commessi da chi si trova in stato di arresto ovvero
detenuto o internato per misura di sicurezza; reati per i quali sia
intervenuta la confessione dell’imputato, anche se è stata iniziata la
istruzione formale; reati di competenza della corte d’assise o del
tribunale punibili con pena detentiva temporanea o con pena meno grave,
in ogni caso in cui la prova appare evidente. Un complesso, dunque, di
numerosi e spesso gravi procedimenti, che valgono, nel loro insieme, ad
escludere che abbia sufficiente fondamento il carattere di
eccezionalità che si vorrebbe attribuire alla istruzione sommaria.
Sotto il secondo aspetto bisogna considerare che nella prassi il
rito sommario ha finito in effetti con l’essere adottato negli uffici
giudiziari per tutti i casi in cui il rito formale non sia
obbligatorio. Potrebbero farsi su tal punto considerazioni ed
obbiezioni di varia natura, che però non attengono alla presente
questione, si può a ogni modo rilevare che una così larga
applicazione del rito sommario, fu, nella normalità dei casi, ispirata
a un criterio di economia processuale, in relazione alla possibilità
di concludere la istruzione (esclusi i casi di non doversi procedere)
col rapido metodo della richiesta di citazione diretta al giudizio,
continuando con ciò, in sostanza, il sistema del Codice del 1913, che
il rito sommario rendeva di regola obbligatorio per i procedimenti di
competenza del tribunale (art. 279, terzo comma). In definitiva,
l’affermazione relativa a un carattere eccezionale della istruzione
sommaria non appare convincente, ché, anzi, dal considerare le
numerose categorie per le quali la legge dispone questo tipo di
istruzione e gli sviluppi che esso ha effettivamente assunto nella
pratica, si desume che con tale rito si svolge una parte più che
rilevante dei procedimenti penali, alla quale, con la interpretazione
restrittiva, verrebbero meno le garanzie disposte dagli artt. 304 bis,
ter e quater.
5. – Se una discriminazione fra i due tipi di istruzione non è
possibile in base a un carattere eccezionale della istruzione sommaria,
nemmeno, a giudizio di questa Corte, essa può trovare fondamento in
una diversa natura e finalità della stessa, sì da attribuirle come
carattere essenziale la evidenza della prova, e quindi la rapidità e
semplicità della indagine.
È innegabile che nelle sue normali prospettive la istruzione
sommaria debba assumere un andamento piuttosto rapido e semplice, come
del resto può desumersi dalla sua stessa denominazione. Ciò che non
può ammettersi è che tale rapidità e speditezza sia davvero una sua
nota inderogabile e costante, sì da risultarne una vera e propria
antitesi con la istruzione formale. La verità è che questa antitesi
non sussiste, e che un taglio netto fra l’andamento facile e breve
dell’una e lungo e complesso dell’altra non è possibile segnare nella
realtà.
L’affermazione che la istruzione sommaria trovi sua principale
caratteristica nella evidenza della prova (e che pertanto vera sua
finalità sia in sostanza il controllo di una prova già acquisita) non
risponde sempre alla realtà. Nella elencazione dell’art. 389 del
Codice di procedura penale un accenno alla prova evidente è soltanto
nel terzo comma, il quale stabilisce che deve procedersi con istruzione
sommaria per i reati di competenza della corte d’assise o del
tribunale, punibili con pena detentiva temporanea o con pena meno
grave, in ogni caso in cui la prova appare evidente. Si può
considerare anche un caso di prova evidente quello preveduto dal
secondo comma, il caso cioè in cui l’imputato sia confesso e non
appaiano necessari ulteriori atti di istruzione. L’uno e l’altro sono
però estremamente rari a verificarsi, ed è raro altresì che il
magistrato si assuma la responsabilità di tradurli in pratica,
soprattutto con una dichiarazione di prova evidente.
Non possono invece propriamente includersi fra i casi di prova
evidente quelli preveduti nel primo comma dell’art. 389, cioè i
procedimenti per i reati di competenza della corte d’assise o del
tribunale in cui l’imputato sia stato sorpreso in flagranza, e quelli
in cui l’imputato abbia commesso il reato mentre era arrestato,
detenuto o internato per misura di sicurezza. Né la sorpresa in
flagranza, infatti, né l’essere stato il reato commesso mentre
l’autore era in stato di detenzione sono elementi tali da rendere
sempre evidente la prova.
Le esigenze di questa non possono ritenersi esaurite con la
identificazione del reo, mentre, in ispecie per i reati più gravi, di
competenza della corte di assise, la istruttoria non può prescindere
dal fornire anche elementi relativi alle modalità e alle cause del
delitto, e in genere a tutto ciò che è necessario fondamento per
quella parte del giudizio che riguarda la responsabilità del reo nei
suoi limiti e nei suoi aspetti particolari.
Ma le categorie per le quali, pur essendo stabilita dalla legge la
istruzione sommaria, ancor meno possono ricollegarsi al criterio della
prova evidente sono indubbiamente quelle, amplissime, dei reati di
competenza del pretore o del tribunale dei minorenni, già ricordate,
per le quali l’alternativa fra i due tipi di istruzione non esiste, e
l’unica possibile è quella sommaria. Ora, se deve ammettersi che per
moltissimi fra i reati di competenza del pretore l’istruzione può
seguire un ritmo assai rapido e semplice, non si può negare che, data
l’estensione della competenza e la gravità degli interessi lesi da
taluni dei reati che vi sono compresi, non siano infrequenti i casi nei
quali è richiesta una indagine piuttosto delicata e complessa. Il che
a maggior ragione deve dirsi dei reati di competenza del tribunale dei
minorenni, vale a dire di tutti i reati commessi dai minori degli anni
diciotto che secondo le leggi vigenti sono di competenza dell’autorità
giudiziaria. In questi il criterio di una istruzione facile e spedita
si scontra assai spesso con la necessità di accurate indagini, sia in
ordine alla qualità delle imputazioni, essendovi comprese anche le
più gravi, sia in ordine alla personalità del reo e all’ambiente in
cui essa opera, in considerazione dei particolari scopi che il
magistero penale assume per la categoria dei minori.
Si è detto anche che una sostanziale diversità fra i due tipi di
istruzione deriva dalla loro diversa finalità e dal diverso modo con
cui rispettivamente si concludono.
Per ciò che riguarda il primo punto si è già rilevato che la
istruzione sommaria assume spesso un andamento tutt’altro che facile e
breve, e non può ripetere la sua fisionomia da una mera finalità di
controllo di una prova già precostituita. A ogni modo non è dubbio
che i due tipi di istruzione abbiano comune la finalità della ricerca
del vero al fine di una adeguata preparazione del giudizio, finalità
per cui non è concepibile una attenuazione delle garanzie sol perché
diverso è il tipo della istruzione. Per ciò che riguarda il diverso
modo di conclusione della istruzione sommaria e della istruzione
formale, può dirsi che proprio la rapidità e l’immediatezza della
richiesta di citazione diretta con cui la prima, fuori dei casi di
proscioglimento, si conclude, lungi dal giustificarne la mancanza,
rende per lo meno egualmente necessaria la presenza di certe
sostanziali garanzie per la difesa.
Altre argomentazioni, riguardanti l’organo che procede alla
istruzione, sono tali da ritrovarsi, in fondo, comprese ed assorbite
nelle precedenti. La differenza che indubbiamente corre fra i due tipi
di istruzione a causa della diversità degli organi (pubblico ministero
e giudice) non è tale, anch’essa, da avere influenza sulle garanzie
per la difesa, le quali anzi possono essere maggiormente richieste là
dove manca la presenza del giudice; e a tal proposito giova ricordare
che gli atti istruttori ai quali, secondo l’art. 304 bis, è chiamata
ad assistere la difesa, erano compresi fra quelli per i quali, secondo
l’art. 279 del Codice del 1913, il pubblico ministero, nel corso della
istruzione sommaria, aveva l’obbligo di richiedere il giudice
istruttore.
6. – Un’ultima considerazione va dedicata a una certa assimilazione
che si è creduto di poter stabilire fra l’istruzione sommaria da un
lato e taluni procedimenti abbreviati dall’altro, quali il giudizio
direttissimo, il giudizio per decreto, il giudizio immediato per i
reati commessi in udienza: assimilazione che si vorrebbe fondare su un
criterio di economia processuale che sarebbe identico per l’una e per
gli altri, rimanendo in tal modo la istruzione sommaria inquadrata in
unica categoria accanto ai suindicati procedimenti abbreviati, col
conseguente diverso trattamento di questa categoria da parte del
legislatore in contrapposto alla istruzione formale. La Corte osserva
che il principio della economia processuale vige indubbiamente in tutto
il processo, rispondendo alla imperiosa esigenza di una giustizia il
più possibile sollecita; ed è certamente al principio dell’economia
processuale che, da un punto di vista generale, obbediscono tanto i
procedimenti abbreviati di cui innanzi quanto la istruzione sommaria.
Però non sino al punto che questa possa assimilarsi e confondersi
in unica categoria con gli altri tre, in ispecie per ciò che riguarda
le garanzie che competono alla difesa. E ciò per la semplice ragione
che nel giudizio direttissimo, nel giudizio per decreto e nel giudizio
immediato per i reati commessi in udienza il legislatore, eliminando la
fase istruttoria, riserva necessariamente a quella del giudizio lo
svolgimento di ogni garanzia per la difesa. La istruzione sommaria
all’opposto, essendo, alla pari della istruzione formale, un insieme di
atti diretti alla preparazione del giudizio, è con questi atti che
già impegna, in maggiore o minor misura, l’esito della prova; ed è
per conseguenza nel suo ambito, e prima ancora della fase del giudizio,
che si manifesta l’esigenza di garanzie difensive, come appunto quelle
disposte negli artt. 304 bis e seguenti.
Quanto alle difficoltà di ordine pratico che pure sono state
opposte contro l’applicabilità alla istruzione sommaria di queste
garanzie per la difesa, a causa dell’aggravio che ne verrebbe,
soprattutto per i processi di minore entità, negli uffici giudiziari,
non è propriamente compito di questa Corte, in un giudizio di
legittimità costituzionale, il prenderle in esame. Può tuttavia
osservarsi che tali difficoltà non devono essere ingrandite, in
quanto, come è stato già rilevato anche in giurisprudenza, trattasi
di adempimenti che possono svolgersi nel giro di qualche settimana. Del
resto tutto il complesso delle forme e delle garanzie di ogni genere
disposte dalla legge per una conclusione del processo che risponda a
giustizia, importa altrettanti momenti di interruzione e di ritardo nel
corso della indagine; ma non per ciò un siffatto elemento può
influire sulla necessità che le forme e le garanzie seguano il loro
corso e siano parte essenziale della disciplina del procedimento.
La Corte in definitiva osserva che in tutte le argomentazioni
addotte contro l’applicabilità degli artt. 304 bis, ter e quater
anche alla istruzione sommaria, non ve ne sono di sicuramente
convincenti, soprattutto perché nessuna di esse vale ad escludere che
i due tipi di istruzione, anche ammesse tutte le distinzioni,
sostanzialmente si equivalgono di fronte alle ragioni che indussero il
legislatore a dettare quelle norme.
Tuttavia, anche a voler ammettere, in ipotesi, il permanere di un
qualche motivo di dubbio, la Corte ritiene che esso non possa
risolversi se non nel senso della interpretazione più larga, sia
perché è in tal modo assicurata piena osservanza al precetto
dell’art. 24 della Costituzione, sia perché la maggiore possibile
estensione conferita al diritto di difesa, in armonia – s’intende – con
le altre fondamentali esigenze del processo, costituisce il maggior
presidio per l’autorità e il prestigio delle sentenze dei giudici.
7. – Da tutte le considerazioni che precedono, convergenti nel loro
insieme verso la dimostrazione che le disposizioni degli artt. 304 bis,
ter e quater sono attualmente applicabili anche alla istruzione
sommaria, chiara discende, e indeclinabile, la conseguenza, vale a dire
la infondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta
dal Tribunale di Varese.
È evidente che con tale decisione resta assorbita ogni altra
indagine che si riferisca alla diversa soluzione richiesta dalla
difesa, per una decisione cioè di illegittimità parziale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 392, primo comma, in relazione
agli artt. 304 bis, 304 ter e 304 quater del Codice di procedura
penale, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, sollevata con
ordinanza del Tribunale di Varese del 7 aprile 1964.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 febbraio 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – ANTONIO MANCA – ALDO
SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.