Sentenza N. 1104 del 1988
Corte Costituzionale
Data generale
20/12/1988
Data deposito/pubblicazione
20/12/1988
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1988
Presidente: prof. Giovanni CONSO;
Giudici: prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL’ANDRO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.
Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
marzo 73, n. 156 (recante “Approvazione del testo unico delle
disposizioni legislative in materia postale, di banco posta e di
telecomunicazioni”), e dell’art. 89 c.p.v. del r.d. 19 luglio 1941,
n. 1198 (recante “Approvazione del regolamento di esecuzione dei
titoli I, II e III del libro II della legge postale e delle
telecomunicazioni”), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 23 marzo 1987 dal giudice istruttore
presso il Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra la
s.r.l. Commercio Petroli e la S.I.P. p.a., iscritta al n. 315 del
registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 32, prima serie speciale, dell’anno 1988;
2) ordinanza emessa il 15 aprile 87 dal Tribunale di Roma nel
procedimento civile vertente tra Barone Francesco e la S.I.P. p.a.,
iscritta al n. 86 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale,
dell’anno 1988;
Visti gli atti di costituzione della s.r.l. Commercio Petroli
della S.I.P. p.a. nonché gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 27 settembre 1988 il Giudice
relatore Enzo Cheli;
Uditi gli avvocati Stefano Orlandi e Franco Balducci per la s.r.l.
Commercio Petroli, Alfonso Palladino per la S.I.P. p.a. e l’Avvocato
dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente del Consiglio dei
ministri;
la S.I.P. – Società Italiana per l’esercizio delle
telecomunicazioni, per ottenere il risarcimento dei danni ad essa
derivati dal disservizio delle proprie linee telefoniche, il giudice
istruttore del Tribunale civile di Roma, con ordinanza del 23 marzo
1987 (Reg. Ord. n. 315/1987), ha sollevato, in relazione agli artt. 3
e 41 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 6
del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 (Testo unico in materia postale, di
bancoposta e di telecomunicazioni) e 89, secondo comma, del R.D. 19
luglio 1941 n. 1198 (Regolamento di esecuzione dei titoli I, II e III
del libro II della legge postale e delle telecomunicazioni), nelle
parti in cui limitano la responsabilità del concessionario del
servizio telefonico per le interruzioni del servizio dovute a colpa
del concessionario stesso.
Secondo il giudice a quo le norme impugnate – restringendo
fortemente e sostanzialmente eliminando la responsabilità della SIP
per disservizio – precluderebbero l’esame della pretesa, avanzata
dalla parte attrice, di un congruo ristoro del pregiudizio sofferto,
rendendo inammissibili i mezzi di prova dedotti dalla stessa in
ordine al quantum.
Una eventuale declaratoria di illegittimità della normativa
impugnata consentirebbe, invece, ad avviso del giudice rimettente,
l’ampliamento del thema probandum e renderebbe possibile un completo
risarcimento del danno riconducibile alla negligente condotta della
società concessionaria.
Secondo il giudice a quo il giudizio di rilevanza non sarebbe,
d’altro canto, inficiato dall’art. 20 del d.P.R. 29 marzo 1973 n.
156, che fissa termini di decadenza e prescrizione per ottenere le
indennità o i rimborsi previsti dal decreto stesso e stabilisce la
condizione di procedibilità del previo ricorso in via
amministrativa: e ciò in quanto il diritto fatto valere dalla
società attrice non rientrerebbe tra quelli riconosciuti dal d.P.R.
n. 156 del 1973 e non ricadrebbe, pertanto, nell’area di applicazione
di tale normativa.
Nel merito l’ordinanza di rinvio, dopo aver rilevato che il
rapporto tra la SIP e l’utente ha natura essenzialmente privatistica,
ritiene non manifestamente infondato il sospetto di un contrasto tra
la normativa limitatrice degli obblighi risarcitori della società
concessionaria del servizio telefonico e gli artt. 3 e 41 Cost. Se è
vero, infatti, che la valutazione delle diverse situazioni ai fini
dell’art. 3 della Costituzione è riservata al potere discrezionale
del legislatore ed è sottratta al giudizio di legittimità della
Corte, nondimeno è necessario che una eventuale limitazione di
responsabilità si accompagni ad adeguate garanzie di certezza od
adeguatezza per il ristoro del danno.
Sotto tale riguardo – afferma il giudice a quo – “la disparità di
trattamento non sembra affatto giustificata, se è vero che a fronte
di una responsabilità praticamente nulla la società concessionaria
ha facoltà, tra l’altro, di sospendere l’erogazione del servizio in
presenza di qualsiasi morosità, anche parziale, dell’abbonato, per
qualsiasi titolo ed indipendentemente dal numero di abbonamenti
sottoscritti” e considerato anche che il costo del servizio è
sopportato interamente dall’utente, giacché – come ammesso dalla
stessa SIP – il prezzo del servizio “non è un prezzo politico, ma
rappresenta il prezzo di mercato, suscettibile di produrre utili sia
al concessionario che allo Stato”.
2. – Nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituita la s.r.l.
Commercio Petroli ed ha spiegato intervento il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato. Anche la SIP ha prodotto un atto di
costituzione, depositato peraltro fuori termine.
Mentre la s.r.l. Commercio Petroli si riporta semplicemente a
quanto osservato e dedotto nell’ordinanza di rinvio, l’Avvocatura
dello Stato eccepisce, sotto vari profili, l’inammissibilità della
questione proposta.
In primo luogo, secondo l’Avvocatura, il giudice istruttore civile
sarebbe privo di legittimazione a sollevare la questione sia perché
questa atterrebbe al merito della pretesa dedotta in giudizio, in
ordine al quale ogni potere decisorio è riservato al collegio, sia
perché solo al collegio spetterebbe l’effettivo potere decisorio in
ordine alla rilevanza ed ammissibilità dei mezzi di prova proposti
dalle parti o ammissibili d’ufficio.
L’Avvocatura osserva inoltre che l’illegittimità prospettata
nell’ordinanza di rinvio attiene esclusivamente alla mancanza di
congruità del ristoro previsto dal capoverso dell’art. 89 del R.D.
19 luglio 1941 n. 1198, che ha natura regolamentare, mentre non
sarebbe censurata l’illegittimità in sé della previsione di un
limite di responsabilità per i concessionari di servizi pubblici: da
qui l’asserita irrilevanza della denunzia indirizzata nei confronti
dell’art. 6 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, nonché
l’inammissibilità della censura rivolta nei confronti dell’art. 89,
secondo comma, del R.D. n. 1198 del 1941, dove si stabilisce il
limite quantitativo del ristoro ritenuto inadeguato.
3. – In un secondo giudizio promosso da Francesco Barone contro la
S.I.P. ai fini del risarcimento dei danni subiti in conseguenza del
mancato trasloco di una utenza telefonica, dovuto a colpa della
società concessionaria, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 15
aprile 1987 (Reg. ord. n. 86/1988), ha sollevato, in relazione
all’art. 3 Cost., analoga questione di legittimità costituzionale
degli artt. 6 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 e 89, secondo comma,
del R.D. 19 luglio 1941 n. 1198, “nelle parti in cui limitano la
responsabilità del concessionario del servizio telefonico per le
interruzioni dovute a colpa del medesimo”.
L’ordinanza di rinvio, dopo aver premesso che la responsabilità
della SIP per il mancato trasferimento dell’utenza telefonica appare
ampiamente provata dalle risultanze processuali, rileva come la
legittima pretesa dell’attore ad un congruo ristoro del pregiudizio
sofferto risulti impedita solo dalla normativa limitatrice della
responsabilità dettata dagli artt. 6 del d.P.R. n. 156 del 1973 e
89, secondo comma, del R.D. n. 1198 del 1941, normativa in base alla
quale la domanda risarcitoria dovrebbe essere respinta per affermare,
invece, il semplice obbligo della SIP di corrispondere all’utente una
“indennità” pari al doppio dell’importo del canone relativo al
periodo di tempo in cui è durata l’interruzione del servizio. Di qui
– ad avviso del giudice a quo – la rilevanza della prospettata
questione di costituzionalità.
Nel merito l’ordinanza di rinvio riprende le argomentazioni svolte
nella ordinanza di rimessione emessa dal giudice istruttore del
Tribunale civile di Roma, pur limitandosi a contestare la violazione
del solo art. 3 Cost.
4. – In questo secondo giudizio si è costituita la SIP ed ha
spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
Nel suo atto di costituzione la SIP si limita ad affermare
l’irrilevanza e l’infondatezza della questione proposta, mentre, dal
canto suo, la Presidenza del Consiglio contesta innanzitutto la
rilevanza, ricordando che l’art. 20, secondo comma, del d.P.R. n. 156
del 1973 sottopone al previo reclamo in via amministrativa le azioni
giudiziarie concernenti i servizi delle telecomunicazioni regolati
dal decreto stesso.
La Presidenza ripropone, infine, gli ulteriori profili di
inammissibilità della questione già sviluppati nell’atto di
intervento presentato nel giudizio di costituzionalità promosso con
la precedente ordinanza del 23 marzo 1987.
5. – Nell’imminenza dell’udienza di discussione la S.I.P. ha
depositato un’ampia memoria relativa ad entrambi i giudizi di
costituzionalità, nella quale si sviluppano gli argomenti relativi
alle eccezioni prospettate nell’atto di costituzione. In particolare
la S.I.P. afferma che – se la questione di legittimità
costituzionale sollevata con riguardo alle disposizioni dell’art. 89
del R.D. 19 luglio 1941 n. 1198 è da ritenere palesemente
inammissibile, per il carattere regolamentare e non legislativo delle
suddette disposizioni – inammissibile va anche considerata
l’impugnazione dell’art. 6 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156:
quest’ultima norma contiene infatti una ipotesi di limitazione e non
di esclusione di responsabilità e la limitazione potrebbe essere
valutata “solo insieme alla specifica ulteriore normazione che la
completa e la rende operante”.
Un’ulteriore eccezione pregiudiziale viene prospettata dalla
S.I.P. in relazione alla preclusione derivante dall’art. 20 del
codice postale, che sottopone l’azione giudiziaria contro
l’Amministrazione per i servizi di telecomunicazione alla condizione
della previa proposizione del reclamo in via amministrativa.
Passando al merito della controversia, la S.I.P. sostiene che
l’organizzazione e gestione in forma di impresa di un servizio
pubblico, con la conseguente configurazione dei rapporti con gli
utenti come rapporti contrattuali soggetti al regime del diritto
privato, non significa necessariamente che il regime della
responsabilità debba essere solo quello di cui all’art. 1218 cod.
civ.: conclusione, questa, desumibile anche dal testo dell’art. 2093
cod. civ. secondo cui le disposizioni generali sull’impresa si
applicano anche agli enti pubblici che esercitano attività
d’impresa, ma sono fatte salve le diverse disposizioni della legge.
La S.I.P. conclude sottolineando l’importanza assunta dai servizi
di telecomunicazione nell’economia e nella vita sociale del Paese
nonché la complessità delle strutture necessarie per l’efficace
gestione e per lo sviluppo di tali servizi: fattori che – a suo
avviso – renderebbero l’attività di impresa in tale settore ad alto
rischio, giustificando la previsione legislativa di limiti di
responsabilità come effetto di un bilanciamento di interessi che
solo il Parlamento e non la Corte sarebbe in grado di compiere.
delle stesse norme sotto profili in larga parte concidenti: i giudizi
relativi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con un’unica
sentenza.
2. – Occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di
inammissibilità prospettata dall’Avvocatura dello Stato nei
confronti dell’ordinanza 23 marzo 1987 del giudice istruttore del
Tribunale di Roma, sulla base di un asserito difetto di
legittimazione del giudice rimettente a sollevare la questione.
L’eccezione è fondata.
In proposito va rilevato come la questione proposta con tale
ordinanza assuma rilevanza pregiudiziale non tanto con riferimento
alla decisione sul merito della controversia, quanto con riferimento
alla decisione relativa all’ammissione di determinati mezzi (prova
testimoniale e consulenza tecnica) destinati a determinare il quantum
della domanda risarcitoria. Con riferimento a tali incombenti non
spetta, peraltro, al giudice istruttore la competenza a emettere
provvedimenti di carattere definitivo, che la legge ha riservato al
collegio chiamato a pronunciarsi sul merito della causa (cfr. sentt.
nn. 109 del 1962, n. 44 del 1963). Non sussistono, pertanto, nella
specie poteri decisori propri del giudice istruttore, suscettibili di
giustificare – secondo gli orientamenti ripetutamente espressi da
questa Corte (cfr. sentt. nn. 62 del 1966; 45 del 1969; 88 del 1970;
183 del 1972) – il promuovimento da parte dello stesso di una
questione di legittimità costituzionale.
3. – Il giudizio va, di conseguenza, circoscritto all’esame della
sola ordinanza di rimessione adottata dal Tribunale di Roma in data
15 aprile 1987 (Reg. ord. n. 86/1988).
Con tale ordinanza il Tribunale di Roma ha sollevato questione di
legittimità costituzionale degli artt. 6 d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156
e 89 cpv. R.D. 19 luglio 1941 n. 1198, nelle parti in cui limitano la
responsabilità del concessionario del servizio telefonico per le
interruzioni dovute a colpa del medesimo, in relazione all’art. 3
della Costituzione.
La disciplina in contestazione prevede: a) in generale,
l’esclusione della responsabilità dell’amministrazione statale e dei
concessionari dei servizi pubblici regolati dal codice postale “fuori
dei casi e dei limiti espressamente stabiliti dalla legge” (art. 6
d.P.R. n. 156 del 1973); b) con riferimento particolare alle
interruzioni del servizio telefonico, l’obbligo per il
concessionario, ove il disservizio sia dovuto a sua colpa, di
restituire all’abbonato il canone relativo a tutto il periodo
dell’interruzione ovvero di versare un’indennità ragguagliata al
doppio della somma che importerebbe l’abbonamento per il periodo di
tempo in cui dura l’interruzione, a seconda che questa non superi
ovvero superi i dieci giorni (art. 89, secondo comma, R.D. n. 1198
del 1941).
Ad avviso del giudice rimettente tale disciplina verrebbe a
determinare un’ingiustificata disparità di trattamento fra
concessionario ed utente, in grado di alterare la natura
sostanzialmente privatistica del rapporto fra gli stessi
intercorrente nonché di pregiudicare irragionevolmente l’equilibrato
componimento degli interessi posti in gioco attraverso la gestione
del servizio.
A tali contestazioni la difesa dello Stato e della SIP
contrappongono, con argomentazioni analoghe, tre eccezioni
pregiudiziali, secondo cui la questione prospettata: a) sarebbe
inammissibile per difetto di rilevanza nei confronti di tutte le
norme impugnate, essendo l’attore nel processo a quo incorso nella
preclusione derivante dalla mancata presentazione, prima della
proposizione dell’azione giudiziaria, del reclamo amministrativo
previsto dall’art. 20 del D.P.R. 29 marzo 1973 n. 156; b) sarebbe
inammissibile quanto meno nei confronti dell’art. 89 del R.D. n. 1198
del 1941, data la natura regolamentare delle disposizioni contenute
in tale decreto; c) in conseguenza dell’eccezione di cui sub b),
sarebbe, infine, inammissibile, sempre per difetto di rilevanza, con
riferimento all’art.6 del d.P.R. n. 156 del 1973 in sé considerato,
non essendo nella specie in contestazione il principio generale da
tale norma affermato in ordine alla possibilità di apporre limiti
alla responsabilità dell’amministrazione e dei concessionari dei
servizi, ma soltanto la concreta configurazione del limite operata
attraverso la norma regolamentare.
4. – La prima di tali eccezioni non può essere condivisa.
L’ordinanza di rimessione ha, infatti, sufficientemente motivato in
ordine alla non applicabilità, nella specie, dell’art. 20 del d.P.R.
n. 156 del 1973, quando ha rilevato che “il diritto fatto valere non
rientra tra quelli riconosciuti dal predetto atto normativo e non
ricade pertanto sotto il richiamato disposto di legge”. La tesi, per
quanto controvertibile, trova un fondamento adeguato, ai fini del
giudizio sulla rilevanza, nella stessa formulazione letterale
dell’art. 89, dove non si richiama l’azione generale di danno, ma
soltanto le azioni dirette ad ottenere le indennità ed i rimborsi
previsti dallo stesso codice postale.
5. – Va, invece, condivisa la seconda eccezione.
La natura regolamentare del R.D.19 luglio 1941 n. 1198 emerge sia
dalla intitolazione che dal procedimento di formazione di tale atto
normativo ed è stata già in precedenza accertata da questa Corte
(cfr. ord. n. 10 del 1984). Mancano, pertanto, i presupposti per un
controllo diretto, in questa sede, della legittimità costituzionale
dell’art. 89, secondo comma, di tale decreto.
6. – L’inammissibilità della questione proposta nei confronti
della norma regolamentare non può, d’altro canto, comportare anche
l’inammissibilità, per difetto di rilevanza, delle censure formulate
nei confronti dell’art. 6 del d.P.R. n. 156 del 1973. Se è vero,
infatti, che il principio generale espresso da quest’ultima norma –
suscettibile di legittimare la possibilità di regimi più
restrittivi e differenziati di responsabilità per la pubblica
amministrazione – non forma oggetto diretto di contestazione, è
anche vero che la stessa norma, per quanto riguarda la sua
particolare operatività riferita alla società concessionaria del
servizio telefonico, risulta in concreto applicabile attraverso le
specificazioni formulate nella fonte secondaria, che, se pur
temporalmente anteriore, è stata successivamente richiamata a
completamento del contenuto prescrittivo della norma primaria. In
proposito va rilevato come l’art. 2 del d.P.R. n. 156 del 1973, nel
far salve le precedenti disposizioni regolamentari fino
all’emanazione del nuovo regolamento postale, abbia recepito e
convalidato i contenuti normativi di tali disposizioni, in quanto
compatibili con il nuovo testo unico, determinando di conseguenza
l’integrazione della fattispecie prevista dall’art. 6 dello stesso
d.P.R. n. 156 con quella contemplata nell’art. 89, secondo comma, del
R.D. n. 1198 del 1941.
La terza eccezione d’inammissibilità va, pertanto, respinta,
essendo in concreto rilevante la questione di costituzionalità
dell’art. 6 del D.P.R. n. 156 del 1973 nella parte riferibile,
secondo le specificazioni operate dall’art. 89, secondo comma, del
R.D. n. 1198 del 1941, alla posizione della società concessionaria
del servizio telefonico.
8. – Passando al merito della questione proposta, vanno
innanzitutto richiamati i criteri che hanno ispirato la sentenza n.
303 del 1988 di questa Corte, in tema di limiti alla responsabilità
dell’amministrazione pubblica.
Tale sentenza ha determinato la caducazione di una delle norme
contenute nella disposizione di cui è causa, avendo dichiarato
l’illegittimità costituzionale degli artt. 6, 28, 48 e 93 del d.P.R.
29 marzo 1973 n. 156 “nella parte in cui dispongono che
l’amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni non è tenuta
al risarcimento dei danni, oltre all’indennità di cui all’art. 28,
in caso di perdita o manomissione di raccomandate con le quali siano
stati spediti vaglia cambiari emessi in commutazione di debiti dello
Stato”. Nella motivazione di questa pronuncia è stato posto in luce
come i servizi pubblici essenziali, ai sensi dell’art. 43 Cost.,
debbano essere organizzati e gestiti in forma d’impresa, secondo
criteri di economicità, “i quali comportano la conformazione dei
rapporti con gli utenti come rapporti contrattuali, fondamentalmente
soggetti al regime del diritto privato”: di tal che, nell’ordinamento
attuale, non può più trovare alcuna giustificazione l’esistenza di
un “privilegio del fisco” a favore del servizio postale, dal momento
che tale servizio “non può essere più considerato un bene
patrimoniale dell’erario e si configura invece, secondo il criterio
organizzativo impartito dall’art. 43 Cost., come un’impresa gestita
dallo Stato in regime di monopolio, ossia come una forma di
partecipazione dello Stato all’attività economica”.
Tali principi, affermati nei confronti del servizio postale,
valgono a maggior ragione nei confronti del servizio telefonico, dove
la presenza di un rapporto concessorio tende ad accentuare le
caratteristiche imprenditoriali del servizio, nonché la sua naturale
attrazione verso un regime di diritto comune.
Questo dato, se non conduce di per sé ad escludere la
possibilità di configurare, per la responsabilità del
concessionario conseguente a disservizio, una disciplina speciale,
eventualmente ispirata a criteri più restrittivi di quella ordinaria
– disciplina rapportabile tanto alla complessità tecnica della
gestione quanto all’esigenza del contenimento dei costi – non
consente, d’altro canto, per quanto concerne la responsabilità per
danni dovuti a colpa del concessionario, deroghe così incisive al
regime comune suscettibili di alterare, al di là di ogni ragionevole
giustificazione connessa alle esigenze oggettive del servizio,
l’equilibrato componimento degli interessi dell’utente con quelli del
concessionario (cfr., per profili analoghi, la sent. n. 132 del 1985,
punto 4.3). E invero le limitazioni alla responsabilità del
concessionario del pubblico servizio, quando vengano in concreto
enunciate in sede normativa, oltre a dover trovare, per la loro
incidenza nella sfera dell’autonomia privata, un adeguato supporto
nella legge o in altra fonte primaria, dovranno, in ogni caso, essere
tali da garantire un ristoro serio e non fittizio del danno subito
dall’utente per colpa del concessionario.
Tale condizione non risulta nella specie rispettata, dal momento
che la deroga al principio di responsabilità prevista a favore della
società concessionaria del servizio telefonico, attraverso il
combinato disposto dell’art. 6 del d.P.R. n. 156 del 1973 con l’art.
89 del R.D. n. 1198 del 1941, consente alla stessa – in caso di
interruzioni dovute a sua colpa – di sottrarsi, da un lato, per le
interruzioni inferiori ai dieci giorni consecutivi, ad ogni obbligo
di risarcimento, e di limitare, dall’altro, per le interruzioni di
durata superiore, la propria prestazione risarcitoria all’indennità
prevista dal secondo comma dell’art. 89 del R.D. n. 1198 del 1941
(pari al doppio della somma che importerebbe l’abbonamento per il
periodo di tempo in cui dura l’interruzione). In ambedue le ipotesi,
la deroga apportata al principio della piena risarcibilità dei danni
dovuti a colpa è tale da alterare, per l’insussistenza o
l’irrisorietà del ristoro previsto, l’equilibrato componimento degli
interessi riferibili alle parti del contratto di utenza, non
trovando, d’altro canto, una ragionevole giustificazione nelle
esigenze proprie del servizio pubblico.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 del d.P.R. 29
marzo 1973 n. 156 (“Testo unico delle disposizioni legislative in
materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni”), nella parte
in cui dispone che il concessionario del servizio telefonico non è
tenuto al risarcimento dei danni per le interruzioni del servizio
dovute a sua colpa, al di fuori dei limiti fissati nell’art. 89,
secondo comma, del R.D. 19 luglio 1941 n. 1198 (“Regolamento di
esecuzione dei titoli I, II e III del libro II della legge postale e
delle telecomunicazioni”);
Dichiara inammissibile la questione di illegittimità
costituzionale sollevata dal giudice istruttore del Tribunale civile
di Roma con ordinanza del 23 marzo 1987.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1988.
Il Presidente: CONSO
Il redattore: CHELI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 20 dicembre 1988.
Il direttore della cancelleria: MINELLI