Sentenza N. 1108 del 1988
Corte Costituzionale
Data generale
20/12/1988
Data deposito/pubblicazione
20/12/1988
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1988
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO,
avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
dicembre 1982 riapprovata il 19 maggio 1983 dal Consiglio Regionale
della Lombardia, avente per oggetto: “Disciplina della ricerca e
raccolta di minerali da collezione”, promosso con ricorso del
Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato il 9 giugno 1983,
depositato in cancelleria il 18 giugno successivo ed iscritto al n.
26 del registro ricorsi 1983.
Visto l’atto di costituzione della Regione Lombardia;
Udito nell’udienza pubblica del 10 maggio 1988 il Giudice relatore
Antonio Baldassarre;
Uditi l’Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il ricorrente,
e l’Avvocato Valerio Onida per la Regione.
giugno successivo, il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, ha
chiesto che venga dichiarata la illegittimità costituzionale della
legge regionale della Lombardia, riapprovata il 19 maggio 1983,
intitolata “Disciplina della ricerca e raccolta di minerali da
collezione”.
A giudizio del Governo, la legge impugnata, disciplinando la
raccolta dei minerali a scopo collezionistico, didattico e
scientifico, e stabilendo, tra l’altro, le modalità di tale raccolta
ed i quantitativi massimi asportabili, violerebbe l’art. 117 Cost.,
in quanto interferirebbe con una materia, quella delle miniere, che
è sicuramente ricompresa nelle competenze statali, non potendo
ricondursi, sempre a giudizio del ricorrente, alla distinta materia
della tutela dei beni ambientali, le cui funzioni sono state delegate
alle regioni dall’art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
2. – Si è costituita la Regione Lombardia, chiedendo che il
ricorso venga dichiarato non fondato.
La Regione rileva, innanzitutto, che il ricorso del Governo muove
da una premessa inesatta, in quanto la disciplina organica delle
miniere posta dalla legge statale ha ad oggetto solo ed
esclusivamente “la ricerca e la coltivazione di sostanze minerali e
delle energie del sottosuolo, industrialmente utilizzabili”, e,
cioè, solo le attività dirette allo sfruttamento delle risorse
minerarie per finalità economiche. La legge impugnata, viceversa,
disciplina attività che, non avendo nulla a che vedere con lo
sfruttamento economico delle miniere, non sono soggette al relativo
regime, né alle norme di polizia mineraria. Esse, pertanto, non
potrebbero in alcun modo rientrare nell’ambito della materia
“miniere”.
La Regione contesta, inoltre, l’assunto del Governo secondo cui la
legge impugnata non rientrerebbe nelle materie trasferite alle
regioni dal d.P.R. n. 616 del 1977. Da un lato, infatti, l’art. 83,
primo comma, di questo decreto, attribuisce alla competenza regionale
gli interventi per la protezione della natura, e, dall’altro, l’art.
80 dello stesso d.P.R., nell’individuare la materia “urbanistica”,
attribuisce alla competenza regionale tutte le funzioni concernenti
la disciplina dell’uso del territorio, ivi compresi tutti gli aspetti
conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di
salvaguardia e di trasformazione del suolo, nonché la protezione
dell’ambiente. La legge impugnata, secondo la Regione, rientrerebbe
nella competenza legislativa concernente la protezione dell’ambiente,
disciplinando, in particolare, una materia che molte leggi regionali
hanno già regolato con norme e divieti analoghi, senza dar luogo a
rilievi di sorta da parte del Governo.
3. – In prossimità dell’udienza, la Regione Lombardia ha
depositato una memoria difensiva nella quale, oltre a ribadire le
considerazioni già svolte nell’atto di costituzione nel presente
giudizio, svolge ulteriori argomentazioni per affermare
l’infondatezza del ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei
Ministri.
In particolare, la Regione esclude che la legge impugnata sia
riconducibile alle funzioni inerenti alla materia “tutela dei beni
ambientali”, le quali sono state delegate alle regioni a statuto
ordinario dall’art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977. Quest’articolo,
infatti, avrebbe ad oggetto esclusivamente i beni immobili di
interesse paesaggistico o ambientale, individuabili in base allla
legge 29 giugno 1939, n. 1497 e alla legge 8 agosto 1985, n. 431. Al
contrario, al pari della legislazione adottata da altre regioni a
tutela della flora, la legge impugnata introduce limitazioni
quantitative e qualitative all’attività di collezione dei minerali,
in quanto quest’ultima è stata individuata dal legislatore regionale
come causa non secondaria di possibile degrado dell’ambiente
naturale. Per tale ragione, conclude la resistente, mentre deve
escludersi l’utilità di qualsiasi riferimento alla materia
“miniere”, rimanendo del tutto impregiudicata la relativa normativa
statale, deve ritenersi che, alla luce dell’evoluzione legislativa e
della giurisprudenza costituzionale, la legge impugnata rientri nella
materia della “protezione della natura”, che l’art. 83 del d.P.R. n.
616 del 1977, in attuazione dell’art. 117 Cost., ha trasferito alle
regioni in considerazione delle connessioni funzionali esistenti con
le materie dell’urbanistica e dell’agricoltura e foreste.
costituzionale, sollevata dal Presidente del Consiglio dei Ministri
in riferimento all’art. 117 Cost., concernente la legge della Regione
Lombardia, dal titolo “Disciplina della ricerca e raccolta di
minerali da collezione”, riapprovata dal Consiglio regionale il 19
maggio 1983. Secondo il ricorrente, la legge impugnata
disciplinerebbe una materia, quella delle “miniere”, che non è
ricompresa fra quelle che l’art. 117 Cost. attribuisce alla
competenza regionale, né è riconducibile a quella dei beni
ambientali, che l’art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, ha
delegato alle regioni.
2. – La questione non è fondata, in quanto la disciplina della
ricerca e della raccolta di minerali da collezione, così come è
regolata dalla legge regionale impugnata, lungi dall’essere
ricompresa nella materia delle “miniere”, rientra in quella della
protezione dell’ambiente naturale, che l’art. 83 del d.P.R. n. 616
del 1977 ha trasferito alle regioni in attuazione dell’art. 117 della
Costituzione.
2.1. – Oggetto della legge impugnata è la ricerca e la raccolta
dei minerali da collezione, vale a dire un’attività che, a norma
dell’art. 1 dell’atto impugnato, è assoggettata a una particolare
tutela in considerazione del valore scientifico e didattico del
collezionismo, nonché della esigenza di protezione del patrimonio
mineralogico e naturalistico.
In coerenza con tali obiettivi, la stessa legge dispone, all’art.
2, che la ricerca e l’estrazione dei minerali da raccogliere a fini
collezionistici siano operate con tecniche e con modalità tali da
non pregiudicare l’equilibrio idrogeologico, la stabilità del
terreno e l’integrità della parte restante del giacimento, della
flora e della fauna. Sempre allo stesso scopo, la legge impugnata
determina le attrezzature utilizzabili per la ricerca e la raccolta
(art. 3), nonché i quantitativi massimi esportabili (art. 5), e
prevede, inoltre, che la ricerca e la raccolta non possono essere
oggetto di concessione con diritto di esclusiva e non possono esser
effettuate in mancanza del consenso del proprietario del terreno
(art. 4).
L’orientamento della disciplina adottata a fini scientifici e
protezionistici trova una conferma in altre norme della legge
impugnata, là dove è previsto che disposizioni più restrittive
possono essere stabilite su segnalazione degli istituti universitari
(art. 6), i quali, peraltro, al pari dei musei naturalistici, possono
usufruire di autorizzazioni in deroga (art. 7). La medesima
ispirazione è, del resto, presente negli articoli finali della
legge, che, dopo aver disciplinato la vigilanza sulle attività
considerate e dopo aver previsto le relative sanzioni amministrative
(artt. 8 e 9), dispongono che la raccolta dei fossili continui ad
esser regolata dalla legge 1° giugno 1939, n. 1089, facendo salve
eventuali discipline normative più restrittive per particolari
ambiti territoriali.
Dall’esame complessivo della legge impugnata appare evidente come
questa, contrariamente a quanto suppone il ricorrente, non possa
essere ricondotta alla materia delle “miniere”, la quale, nella
disciplina stabilita nel diritto vigente (v. art. 1, r. d. 29 luglio
1927, n. 1443), è caratterizzata dalla finalizzazione della ricerca
e dell’estrazione di sostanze minerali e di energie del sottosuolo a
un’utilizzazione industriale. Tanto che lo stesso regio decreto ora
citato subordina all’autorizzazione del Ministro dell’industria e del
commercio o a quella dell’ingegnere capo del distretto minerario la
ricerca di minerali ai fini predetti (artt. 4 e 5) e riserva,
inoltre, la coltivazione delle miniere (che sono beni appartenenti
allo Stato, ai sensi dell’art. 826, secondo comma, c.c.) ai soggetti
che ottengono la relativa concessione del Ministro dell’industria e
del commercio (artt. 14 e 18).
Nella legge impugnata, invece, l’utilizzabilità industriale dei
minerali ricercati o raccolti sta al di fuori degli interessi e degli
oggetti avuti di mira dalla disciplina in essa contenuta. Si deve
ritenere, anzi, che, ove nel corso della ricerca di minerali a fini
collezionistici dovesse venire alla luce un giacimento con
caratteristiche tali da consentirne lo sfruttamento economico, la
ricerca in senso tecnico potrebbe proseguire solo nell’osservanza
delle modalità previste dalla disciplina statale sulle miniere. E
questo conferma ulteriormente l’estraneità della materia delle
“miniere” dalla disciplina predisposta dalla legge impugnata.
2.2. – Ciò posto, va del pari escluso, come del resto rileva lo
stesso ricorrente, che la legge della Regione Lombardia oggetto del
presente giudizio rientri nella sub-materia dei beni ambientali, che
l’art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, modificato e integrato dal d.l.
27 giugno 1985, n. 312 e dalla legge di conversione 8 agosto 1985, n.
431, ha delegato alle regioni. Quest’ultima, infatti, concerne
esclusivamente i beni immobili di interesse paesaggistico (v. art. 1,
nn. 1, 2 e 3 della legge 29 giugno 1939, n. 1497), che, secondo la
costante giurisprudenza di questa Corte, sono tutelati in ragione del
loro interesse estetico-culturale (v. spec. sentt. nn. 239 del 1982,
359 del 1985, 151 del 1986). Mentre la legge impugnata non è, certo,
diretta a individuare beni immobili o parti del territorio soggette a
vincolo per la tutela paesaggistica, ma disciplina, limita o vieta
determinate condotte, connesse alla ricerca e alla raccolta di
minerali, ritenute pregiudizievoli per la conservazione e la difesa
dell’ambiente naturale.
Al pari di numerose leggi adottate da altre regioni, la legge
impugnata si inserisce, dunque, nel novero dei provvedimenti diretti
a proteggere la natura da interventi dell’uomo eventualmente
distruttivi dell’equilibrio geo-fisico ed ecologico. Come tale, essa
costituisce esercizio delle funzioni trasferite alle regioni
dall’art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977, le quali, secondo l’ormai
costante giurisprudenza di questa Corte (v. spec. sentt. nn. 239 del
1982, 359 del 1985, 151 del 1986, 183 del 1987, 1029 del 1988),
comprende la conservazione delle risorse naturali e la salvaguardia
di un equilibrato assetto del territorio nei suoi aspetti esteriori e
nella sua strutturazione geo-fisica.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
della legge della Regione Lombardia, riapprovata il 19 maggio 1983,
dal titolo “Disciplina della ricerca e raccolta di minerali da
collezione”, sollevata, in riferimento all’art. 117 della
Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei Ministri con il
ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1988.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: BALDASSARRE
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 20 dicembre 1988.
Il direttore della cancelleria: MINELLI