Sentenza N. 111 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
26/05/1971
Data deposito/pubblicazione
26/05/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/05/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO
ROSSI, Giudici,
78 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, contenente la legge tributaria
sulle successioni, promossi con quattro ordinanze emesse il 10 giugno
1969, il 3 dicembre 1969 ed il 22 aprile 1970 dal tribunale di Roma in
altrettanti procedimenti civili vertenti rispettivamente tra Oppedisano
Teresa e Giuseppe e l’Opera nazionale per i combattenti, Tamani Maria e
Rivaroli Maria, Cuturi Varalda Candida e Varalda Maurilio Guglielmo,
Ramarini Francesca e Ramarini Paola ed altri, iscritte al n. 451 del
registro ordinanze 1969 ed ai nn. 70, 256 e 340 del registro ordinanze
1970 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.24 del 28
gennaio 1970, n. 82 del 1 aprile 1970, n. 235 del 16 settembre 1970 e
n. 311 del 9 dicembre 1970.
Visti gli atti di costituzione di Tamani Maria e d’intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 21 aprile 1971 il Giudice relatore
Michele Fragali;
uditi l’avv. Vincenzo Sergio, per la Tamani, ed il sostituto
avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
1. – Le ordinanze in epigrafe hanno promosso questione di
legittimità costituzionale degli artt. 77 e 78 del r.d. 30 dicembre
1923, n. 3270, contenente la legge tributaria sulle successioni, nella
parte in cui il primo fa divieto di agire in giudizio sulla base di un
titolo ereditario senza dar prova che sia stata presentata denuncia
dell’eredità o del legato, e il secondo dispone che l’efficacia degli
atti inerenti all’eredità o al legato deve in ogni caso essere
rilevata d’ufficio dal giudice; il quale deve sospendere il giudizio
fino a quando gli atti e i trasferimenti non siano stati regolarizzati.
Le ragioni che hanno indotto i giudici di merito a proporre la
questione predetta sono di diverso contenuto. Il tribunale di Roma,
nelle ordinanze 10 giugno 1969 e 22 aprile 1970, osserva che le norme
denunciate incidono sull’azione con conseguenze che si riflettono anche
sulla tutela che spetta al convenuto; al quale essa viene negata,
quando, in relazione alla domanda dell’attore, faccia valere nel
medesimo giudizio un diritto proprio, come quello al rimborso delle
spese giudiziarie sostenute, per il quale è funzionalmente competente
lo stesso giudice investito della cognizione della causa: il convenuto
non può sostituirsi all’attore nel compimento dell’onere fiscale di
cui si tratta. Lo stesso tribunale, in altra ordinanza 10 giugno 1969
ed in quella successiva del 3 dicembre 1969, fa presente che
l’omissione, la tardività e la incompletezza della denuncia di
successione di per sé comportano adeguate sanzioni pecuniarie, che
l’Amministrazione finanziaria ha poteri di accertamento di ufficio del
tributo, ed una sua protezione ulteriore potrebbe consistere nella
comunicazione di ufficio della sentenza emessa nel giudizio o della
stessa domanda giudiziale: la sanzione della preclusione dell’azione
arreca un vantaggio ingiustificato al convenuto sottraendolo alla
giusta persecuzione giudiziaria e, in conseguenza, dà luogo ad un
risultato antitetico a quello voluto dalla Costituzione, quando
garantisce a tutti la tutela giurisdizionale dei propri diritti e dei
propri interessi legittimi.
2. – Innanzi a questa Corte, delle parti private, si è costituita
soltanto Tamani Maria, attrice nella causa di cui all’ordinanza 3
dicembre 1969; la quale ha illustrato le ragioni esposte dal tribunale
e ha fatto proprio l’assunto di illegittimità costituzionale delle
norme denunciate.
Nella stessa causa e in quella di cui all’ordinanza 22 aprile 1970
è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri. Il quale ha
obiettato che le norme stesse costituiscono stimolo all’adempimento
dell’obbligo tributario e concorrono a tutelare l’interesse alla
riscossione dei tributi che è dalla Costituzione protetto sullo stesso
piano di ogni altro diritto individuale, tanto vero che essa impone di
soddisfarne le esigenze anche nel conflitto con un interesse, quale è
quello alla inviolabilità del domicilio, non meno fondamentale del
diritto alla tutela giurisdizionale. La previsione di sanzioni per
l’omessa o irregolare presentazione della denunzia di successione non
può rendere illegittimo l’apprestamento di altri strumenti giuridici
per la soddisfazione dell’interesse fiscale; la formalità della
denunzia di successione è di agevole e semplice esecuzione, non
comporta alcun sacrificio economico immediato, tanto più che
l’esazione del tributo può essere sospesa fino a quando il diritto
fatto valere in giudizio non è definitivamente accertato.
Il vantaggio che deriva al convenuto, di sottrarlo all’azione
giudiziaria, è conseguenza di una situazione giuridica in cui l’attore
si è volontariamente posto; la Corte costituzionale con sentenza 20
novembre 1964, n. 91, ha ritenuto che non lede il diritto alla tutela
giurisdizionale l’analogo onere di denuncia per l’esperimento delle
azioni giudiziarie relative a crediti produttivi di reddito soggetto ad
imposta, la cui inosservanza è causa della stessa sanzione oggi
ritenuta illegittimamente comminata.
3. – Le parti comparse hanno presentato memorie: il Presidente del
Consiglio dei ministri ha ribadito le considerazioni già svolte, la
Tamani ha contrastato queste considerazioni sotto il profilo che
l’interesse fiscale è salvaguardato dall’art. 68 della legge di
registro, che sottopone a registrazione tutte le sentenze anche per
titoli da essa ritenuti esistenti; nel caso di transazione l’atto
pubblico che la deve documentare è soggetto a registrazione come le
sentenze. La Tamani obietta pure che l’onere di denunciare la
successione rende difficile l’azione giudiziaria, perché deve essere
osservato prima ancora che il giudice decida sulla esistenza del
diritto, e rileva l’irrilevanza, nella questione, della citata sentenza
di questa Corte del 1964, che si riferisce a giudizi inerenti a crediti
di denaro.
4. – All’udienza del 21 aprile 1971 la difesa della parte privata
ed il rappresentante dell’Avvocatura generale dello Stato hanno
ribadito le rispettive tesi ed insistito nelle conclusioni prese.
1. – Si propone alla Corte una questione analoga ad altra già
decisa: la legittimità costituzionale di una norma che impone la
denuncia fiscale come presupposto per l’esercizio alla tutela
giurisdizionale. La Corte, con la sentenza 20 novembre 1964, n. 91, ha
dichiarato non fondata la questione con riguardo alla disposizione
dell’art. 250, comma terzo, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, il
quale subordina alla denuncia predetta l’esercizio dell’azione
giudiziaria, a tutela di un credito produttivo di reddito di ricchezza
mobile di categoria A; ed oggi la questione è prospettata con
riferimento agli artt. 77 e 78 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, che
sottopone l’azione giudiziaria, nella quale si deduca la qualità di
erede o quella di legatario, alla denuncia dell’eredità o del legato,
agli effetti dell’imposta di successione.
La Corte però, anche prima della sentenza succitata, aveva
giudicato che il determinare concrete modalità di esercizio del
diritto alla tutela giurisdizionale lede la garanzia apprestata
dall’art. 24, comma primo, della Costituzione soltanto se ne risulti
difficile o impossibile l’esplicazione del diritto; entro tali limiti
possono imporsi oneri fiscali, purché vi sia connessione fra l’oggetto
dei medesimi e la res iudicanda, così da rispondere a criteri di
razionalità.
2. – L’onere di denunciare agli uffici tributari la successione o
il legato quando si deduce in giudizio la qualità di erede o quella di
legatario non è irrazionale, perché è in connessione con il titolo
della pretesa o comunque con la legittimazione dell’attore; è di
facile ottemperanza perché si risolve in una semplice comunicazione
agli uffici predetti dell’evento successorio, sia pure accompagnata da
ogni elemento idoneo all’accertamento del tributo. La sanzione della
sospensione del processo, con la quale si colpisce l’inosservanza
dell’onere, non è sproporzionata al fine della protezione
dell’interesse statale all’accertamento e alla riscossione dell’imposta
di successione, che, essendo collegato all’esigenza di copertura della
spesa pubblica, attiene al regolare funzionamento dei servizi necessari
alla vita della comunità, e ne condiziona l’esistenza (sentenze 4
aprile 1963, n. 45, e 16 giugno 1965, n. 50).
Deve disattendersi l’obiezione dell’inutilità della denuncia,
sotto il profilo che l’Amministrazione finanziaria può accertare di
ufficio il tributo e a sua protezione sono disposte sanzioni pecuniarie
contro l’inadempiente all’obbligo imposto dalla legge fiscale; e non
vale nemmeno rilevare che l’interesse dell’Amministrazione stessa può
essere efficacemente protetto imponendosi altri incombenti che non
incidano sul diritto alla tutela giudiziaria. Non è sindacabile in
sede di legittimità costituzionale né la scelta legislativa dei mezzi
idonei a garantire la pretesa tributaria, né l’apprestamento di più
mezzi in concorso reciproco; ed è razionale che l’ordinamento apra
all’Amministrazione finanziaria ogni via che conduca alla realizzazione
del suo interesse o che l’ordinamento ritiene possa condurvi.
Soprattutto deve respingersi il rilievo prospettato dalla parte
privata, per cui è sufficiente, al fine di cui si tratta, l’obbligo di
sottoporre a registrazione la sentenza; la registrazione, se comporta
il pagamento della c.d. imposta di titolo, lo comporta per ciò che il
titolo sia soggetto a registrazione, non anche con riferimento
all’imposta di successione.
3. – Senonché due delle ordinanze che hanno proposto la questione
delineano, riguardo alle norme denunciate, conseguenze di applicazione
ritenute del tutto antitetiche al risultato voluto dalla Costituzione,
perché, per un verso, sottrarrebbero il convenuto alla persecuzione
giudiziaria, e, per altro verso, negherebbero al medesimo la tutela dei
diritti che può far valere unicamente nello stesso giudizio in
relazione alla domanda dell’attore, com’è il diritto al rimborso delle
spese giudiziarie sostenute.
Senonché, il vantaggio che il convenuto riceve dalla sospensione
sine die del processo è conseguenza del comportamento dell’attore, il
quale, se omette di osservare l’onere della denuncia, ovviamente
ritiene non essere di suo interesse insistere nel richiedere la
protezione giurisdizionale, che è un suo diritto, non un suo dovere.
Quanto al rilievo che la sospensione stessa toglie al convenuto il
diritto ad ottenere la condanna dell’attore al rimborso delle spese
processuali, la conseguenza deriva da norme diverse da quelle
impugnate; cosicché non è opponibile nell’odierna sede.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, in riferimento all’art. 24 della
Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt.
77 e 78 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, contenente la legge
tributaria sulle successioni, nella parte in cui il primo fa divieto di
agire in giudizio sulla base di un titolo ereditario senza dar prova
che sia stata presentata denuncia dell’eredità o del legato, e il
secondo dispone che, in mancanza di tale denuncia, il giudizio deve
essere sospeso fino a quando gli atti e i trasferimenti non siano stati
regolarizzati.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 maggio 1971.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.