Sentenza N. 112 del 1970
Corte Costituzionale
Data generale
26/06/1970
Data deposito/pubblicazione
26/06/1970
Data dell'udienza in cui è stato assunto
17/06/1970
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE –
Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
del codice di procedura civile, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 15 dicembre 1968 dal pretore di Verbania nel
procedimento civile vertente tra Della Mora Silvana e la dogana di
Novara, iscritta al n. 28 del registro ordinanze 1969 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 66 del 12 marzo 1969;
2) ordinanza emessa il 19 febbraio 1969 dal pretore di Roma nel
procedimento civile vertente tra Ciatti Claudio e Nisa e Patrignani
Valeriano, iscritta al n. 337 del registro ordinanze 1969 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 256 dell’8 ottobre 1969.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri
e di costituzione dell’Amministrazione finanziaria dello Stato;
udito nell’udienza pubblica del 20 maggio 1970 il Giudice relatore
Luigi Oggioni;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas,
per il Presidente del Consiglio dei ministri e per l’Amministrazione
finanziaria.
Con ordinanza emessa il 15 dicembre 1968 il pretore di Verbania ha
sollevato questione di legittimità costituzionale della disposizione
contenuta nell’art. 621 del codice di procedura civile, secondo cui è
esclusa la possibilità di provare per testimoni il diritto del terzo
opponente sui mobili pignorati nella casa o nell’azienda del debitore,
tranne che l’esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla
professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore.
Secondo il giudice a quo il dubbio di legittimità costituzionale
della norma impugnata sorgerebbe anzitutto in relazione all’art. 3
della Costituzione, in quanto la limitazione suddetta concreterebbe una
inammissibile disparità di trattamento a favore del creditore ed a
danno del terzo opponente. Inoltre sarebbero violati sia l’art. 24
della Costituzione, per la lesione che subirebbe il diritto all’azione
e difesa in giudizio a seguito della detta limitazione della prova, sia
l’art. 42 per effetto della indebita limitazione alla proprietà
mobiliare del cittadino, che pure deriverebbe dal descritto regime
probatorio.
Né varrebbe ad escludere il dubbio, la eventuale necessità di
politica legislativa di evitare frodi o collusioni dei debitori, cui
sarebbe ispirata la norma impugnata, stanti “le comminatorie e la
tutela della legge penale contro la falsa testimonianza”.
L’Avvocatura dello Stato, costituitasi ritualmente in giudizio in
rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei ministri e
dell’Amministrazione finanziaria, parte nel giudizio principale,
obbietta, quanto alla dedotta violazione dell’art. 3 della
Costituzione, che la limitazione in discorso troverebbe una ragionevole
giustificazione nell’esigenza di evitare le frodi a danno dei
creditori, attraverso la eliminazione di un così fragile mezzo di
prova, operata comunque solo parzialmente e nei confronti di tutti i
terzi opponenti.
Per le stesse ragioni, la norma impugnata non importerebbe neppure
una ingiustificata diminuzione della tutela giurisdizionale
dell’opponente a favore del creditore. Ed anzi si attuerebbe così una
salvaguardia del preminente interesse pubblico al normale svolgimento
della procedura esecutiva.
Fuori luogo, infine, sarebbe il richiamo all’art. 42, della
Costituzione, in quanto la disposizione impugnata si limiterebbe a
porre a carico del terzo opponente l’onere di adottare le cautele
necessarie a garantire il suo diritto. Né ricorrerebbe nella specie
un caso di espropriazione (art. 42, terzo comma, Cost.) trattandosi
solo di una conseguenza che il terzo opponente subirebbe per effetto di
una procedura esecutiva promossa contro altri, e comunque per essersi
messo in una situazione che avrebbe potuto facilmente evitare tanto
più che, secondo la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale,
la difesa dei diritti del proprietario potrebbe legittimamente essere
subordinata ad un particolare comportamento dello stesso.
Con ordinanza del 19 febbraio 1969 il pretore di Roma ha pure
sollevato questione di legittimità costituzionale della suddetta norma
sotto un analogo ma non coincidente profilo. Assume invero il detto
giudice che, esclusa la prova per testi, la difesa processuale del
diritto del terzo apparirebbe affidata alla sola dimostrazione
documentale del titolo di acquisto. Tale prova potrebbe normalmente
essere fornita solo nel caso di acquisto contrattuale del bene e non
invece nel caso dei diversi modi di acquisto della proprietà di cui
all’art. 922 del codice civile, con particolare riguardo agli acquisti
a titolo originario (ad – es. usucapione, come nella fattispecie di
cui al giudizio principale).
Questi ultimi invero trarrebbero origine da un fatto giuridico in
senso stretto, come tale non dimostrabile che per mezzo di testimoni, e
pertanto, dalla diversa natura del modo di acquisto della proprietà,
deriverebbe una diversa tutela della stessa, il che si risolverebbe in
un diverso trattamento di situazioni giuridiche sostanzialmente non
diverse. Con ciò, secondo il pretore, sarebbero violati i principi di
eguaglianza e di tutela giudiziale dei diritti sanciti rispettivamente
dagli artt. 3 e 24 della Costituzione.
1. – Le suindicate ordinanze del pretore di Verbania e del pretore
di Roma concernono entrambe l’esame della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 621 del codice di procedura civile. Pertanto,
ravvisasi l’opportunità di procedere alla riunione dei giudizi in modo
da risolvere la questione con unica sentenza.
2. – Si assume che la limitazione imposta al terzo, opponente nella
procedura esecutiva su beni pignorati, di provare con testimoni il suo
diritto di appartenenza sui beni stessi, contrasterebbe con i principi
di uguaglianza di trattamento, di tutela giudiziale dei propri diritti
nonché di garanzia della proprietà privata, dichiarati
rispettivamente dagli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione.
La questione non è fondata.
3. – Va osservato che la norma procedurale in esame, nel
subordinare l’ammissibilità della prova testimoniale (senza con ciò
escludere mezzi istruttori diversi da questa) alla condizione che
l’esistenza del diritto sui beni “sia resa verosimile dalla professione
o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore” ossia che sia reso
verosimile l’affidamento dei beni all’esecutato, corrisponde ad un
principio che trova nel sistema la sua giustificazione.
L’art. 621 del codice di procedura civile va considerato in
collegamento col precedente art. 513 che autorizza l’ufficiale
giudiziario a ricercare le cose da pignorare nella casa del debitore o
in altri luoghi a lui appartenenti, facendosi così derivare dalla
ubicazione dei beni la presunzione legale della loro appartenenza. Tale
presunzione risponde ad esigenze di pratica effettività degli atti
esecutivi e, come di regola per le presunzioni del genere, consente la
prova contraria soltanto nei limiti autorizzati dalla legge (art. 2728
cod. civ.).
Il dato costituito dalla posizione locale delle cose mobili al fine
della tutela del diritto di credito, anche in pregiudizio di diritti
altrui, non è previsto isolatamente dalla norma in esame bensì trova
riscontro in altre norme, sia di diritto comune (artt. 2756, 2760,
2761, 2764 cod. civ.) sia di diritto tributario (art. 63, ultimo comma,
R.D. 17 ottobre 1922, n. 1401; art. 207 T.U. sulle imposte dirette 29
gennaio 1958, n. 645).
L’art. 621 del codice di procedura civile, prescrivendo che la
presunzione di appartenenza del bene possa essere vinta dal terzo, se
prova, con testimoni, non solo l’originario titolo di proprietà, ma
anche, e soprattutto, le specifiche ragioni della ulteriore permanenza
della cosa presso l’esecutato, s’inquadra nel sistema che, tutelando i
diritti di credito, ne tutela il soddisfacimento contro possibili forme
di compiacente elusione.
4. – Quanto premesso conduce ad escludere qualsiasi contraddizione
della norma in esame con principi costituzionali.
Non è fondato il richiamo all’art. 3 poiché i diritti della
libertà di prova del terzo opponente non vengono conculcati ad
esclusivo favore del creditore, al quale sarebbe arbitrariamente
assegnato un trattamento privilegiato, bensì l’esercizio di tali
diritti viene ad essere regolato in base a criteri di razionalità.
Neppure è fondato il richiamo all’art. 24 sulla base di una
supposta violazione del diritto di azione e di difesa. Come questa
Corte ha più volte ritenuto (sentenze n. 42 del 1964, n. 53 del 1966,
n. 46 del 1967) l’esercizio del diritto di difesa deve sottostare alle
delimitazioni suggerite, in relazione a singoli tipi di procedimento,
dal coordinamento di norme dirette ad armonizzare reciprocamente la
protezione di contrapposti diritti sostanziali. In particolare, la
prima delle ora citate sentenze ha escluso la violazione dell’art. 24
nella ipotesi dell’art. 207, lettera b, del testo unico sulle imposte
dirette (divieto di opposizione del coniuge e dei parenti del
contribuente riguardo ai mobili esistenti nella casa dello stesso).
Infine, va parimenti esclusa l’incostituzionalità della norma in
relazione all ‘art. 42 della Costituzione, cioè per supposta
violazione del principio che garantisce e tutela la proprietà privata
contro ogni menomazione.
Il principio consacrato nell’art. 42 non è senza limiti o
condizioni: quegli stessi limiti e condizioni che ineriscono al
concetto stesso di proprietà.
Anche riguardo a questo specifico punto, la Corte si è già
pronunciata con la sentenza n. 4 del 1960 avente per oggetto l’ultimo
comma dell’art. 63 del R.D. n. 1401 del 1922 sul divieto posto
all’acquirente in asta esattoriale di chiedere la separazione a suo
favore dei beni mobili esistenti nella casa del contribuente debitore.
La pronuncia è informata al concetto che “per impedire frodi troppo
facili” la conservazione del diritto del proprietario è subordinata
all’onere di provvedere tempestivamente alla materiale separazione, in
modo da evitare intralci al regolare svolgimento della procedura
esecutiva.
La validità dello stesso principio si estende, per identità di
motivi, anche per quanto riguarda l’ipotesi dell’art. 621 del codice di
procedura civile nel quale, come si è detto, non è contenuto un
divieto assoluto di ricorrere alla prova testimoniale ma è contenuta
la prescrizione che la prova si presenti assistita dalla prospettazione
di elementi di fatto che la rendano verosimile ed attendibile.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 621 del codice di procedura civile sollevata con le ordinanze
di cui in epigrafe, con riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 42
della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1970.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
– LUIGI OGGIONI – ANGELO DE MARCO –
ERCOLE ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA –
VEZIO CRISAFULLI – NICOLA REALE –
PAOLO ROSSI.