Sentenza N. 113 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
12/07/1967
Data deposito/pubblicazione
12/07/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/06/1967
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. GIUSEPPE
CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI, Giudici,
1964, n. 191, che converte in legge, con modificazioni, il D. L. 23
febbraio 1964, n. 27, recante modificazioni temporanee alla legge 29
dicembre 1962, n. 1745, concernente l’istituzione di una ritenuta
d’acconto e d’imposta sugli utili distribuiti dalle società e
modificazioni della disciplina di nominatività obbligatoria dei titoli
azionari, promosso con ricorso del Presidente della Regione siciliana
notificata il 16 maggio 1964, depositato in cancelleria il 20
successivo ed iscritto al n. 7 del Registro ricorsi 1964.
Visto l’atto di Costituzione del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 14 giugno 1967 la relazione del
Giudice Nicola Jaeger;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
La controversia rimessa al giudizio della Corte è stata proposta
dal Presidente della Regione siciliana con un ricorso, notificato al
Presidente del Consiglio dei Ministri, nel quale si chiede
l’annullamento della legge dello Stato 12 aprile 1964, n. 191, con cui
era stato convertito in legge – con modificazioni – il decreto- legge
23 febbraio 1964, n. 27. Con tale decreto-legge, adottato ai sensi
dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione, si apportavano alcune
modificazioni temporanee alla legge 29 dicembre 1962, n. 1745,
istitutiva di una ritenuta d’acconto e d’imposta sugli utili
distribuiti dalle società, ed altre innovazioni relative alla
disciplina della nominatività obbligatoria dei titoli azionari.
Si legge nel ricorso suddetto che la Regione siciliana si era
astenuta da ogni impugnazione nei confronti della legge n. 1745 del 29
dicembre 1962, in quanto la misura della ritenuta, ridotta all’8 per
cento, non pregiudicava del tutto l’incentivo agli investimenti in
Sicilia, che con l’anonimato azionario era stato realizzato.
Senonché, sempre a parere della Regione, la modificazione
apportata con la legge n. 191 del 12 aprile 1964, avrebbe posto il
titolare di azioni al portatore in posizione di svantaggio rispetto al
titolare di azioni nominative, al quale è concessa la facoltà di
scelta tra il pagamento di una imposta pari al 5 per cento degli utili
a titolo di acconto, ovvero il pagamento dell’imposta, in via
definitiva, pari al 30 per cento di essi.
Dopo avere elencato una serie di altri inconvenienti, che – sempre
a parere del ricorrente – deriverebbero dalle disposizioni denunciate,
il Presidente della Regione affermava che queste avrebbero leso la
potestà tributaria della Regione siciliana, la quale ha in materia un
regime proprio, determinato dalle speciali esigenze della Regione
stessa, e compromesso quindi la sua autonomia.
In particolare – sempre a detta del ricorrente – sarebbero stati
violati dalle nuove disposizioni gli artt. 1, 14 e 36 dello Statuto
siciliano, in relazione anche agli artt. 3, 53 e 116 della
Costituzione. In proposito si aggiunge che l’art. 36 dello Statuto
attribuisce alla Regione la potestà tributaria, riconosciuta come un
tradizionale strumento di intervento indiretto della pubblica
Amministrazione nella “azione di incentivazione delle attività
economiche”, mentre tali “incentivazioni industriali”, perseguite dalla
legge regionale sulla anonimità delle azioni (legge dichiarata
conforme alla Costituzione da una sentenza dell’Alta Corte e
formalmente riconosciuta dall’art. 10 della legge statale 29 dicembre
1962, n. 1745), verrebbero ad essere annullate dal provvedimento
legislativo impugnato, che si profilerebbe, pertanto, come direttamente
lesivo della potestà regionale. Si conclude pertanto perché venga
dichiarata la incostituzionalità della legge denunciata, disponendone
l’annullamento.
Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato,
la quale ha presentato deduzioni difensive il 5 giugno 1964, seguite da
una memoria depositata il 4 febbraio 1965.
L’Avvocatura ha, anzitutto, eccepito:
a) la inammissibilità del ricorso della Regione in relazione alla
disposizione dell’art. 32, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, poiché la legge di conversione 12 aprile 1964, n. 191, impugnata
con il ricorso, è semplicemente “confermativa” di una disposizione
(sull’aumento dall’8 per cento al 30 per cento dell’imposta sugli utili
delle azioni al portatore emesse in base a leggi regionali) già
contenuta nel decreto legge 23 febbraio 1964, n. 27, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 48 del 24 febbraio 1964, e non impugnato dalla
Regione siciliana entro il termine perentorio di trenta giorni dalla
pubblicazione;
b) la improponibilità dello stesso ricorso della Regione, perché
non fondato su una violazione della sfera di competenza legislativa
regionale, ma su un contrasto di interessi fra la Regione e lo Stato e
su un supposto contrasto della norma impugnata con gli artt. 3 e 53
della Costituzione; a questo proposito l’Avvocatura insiste sul punto,
che le Regioni possono impugnare in via diretta le leggi emanate dallo
Stato o da altre Regioni solo quando ritengano che con esse sia stata
violata la sfera della loro competenza legislativa.
Nel merito, l’Avvocatura ha chiesto il rigetto, richiamando non
poche decisioni di questa Corte, e da ultimo la sentenza n. 14 del 7
marzo 1962, nella quale si fa presente che la Regione siciliana ha sì,
in materia tributaria, una potestà legislativa concorrente e
sussidiaria di quella dello Stato, ma deve esercitarla nel rispetto dei
principi fondamentali della legislazione statale e senza turbare
l’unità dell’ordinamento tributario generale, come la Corte ha
ripetutamente dichiarato (sent. nn. 9, 42, 58, 113, 116 del 1957; 60 e
76 del 1958; 39 del 1960; 66 del 1961 ecc.).
La difesa della Regione non ha depositato deduzioni e non è stata
presente all’udienza nella quale la causa è stata discussa. In tale
udienza l’Avvocato dello Stato ha insistito nelle precedenti
conclusioni.
1. – Non sono fondate le eccezioni pregiudiziali proposte dalla
difesa dello Stato.
Non è fondata la prima, giacché, a prescindere dalla esattezza
dell’affermazione secondo cui la legge di conversione dovrebbe essere
considerata come atto confermativo del decreto-legge (affermazione che
involge delicate questioni, sulle quali non è necessario soffermarsi
ai fini del decidere), è da ricordare che la giurisprudenza della
Corte è ferma nel ritenere che in sede di giudizi di costituzionalità
non possono valere i criteri che vigono nel campo giurisdizionale
amministrativo rispetto agli atti confermativi (si veda la sentenza n.
30 del 30 aprile 1959).
Si deve, pertanto, ritenere che, quale che sia l’effetto della
legge di conversione in rapporto al decreto-legge convertito, la legge
ha, per lo meno in sede processuale, tale autonomia da aprire l’adito
alla impugnazione di essa nonostante l’omesso ricorso contro il
decreto-legge.
Né si potrebbe parlare di acquiescenza (della quale, del resto,
l’Avvocatura non fa cenno) essendo escluso – ed anche questo in base
alla ricordata giurisprudenza della Corte – che in materia possa
trovare applicazione questa causa di inammissibilità.
Non è fondata la seconda eccezione.
La Regione si lagna dell’invasione della propria sfera di
competenza, come si evince senza possibilità di equivoco del ricorso,
nel quale, dopo l’esposizione delle doglianze, riassumendosi i termini
della controversia, si conclude che “tutto ciò lede la potestà
tributaria della Regione”. E se, in una con la violazione degli artt.
1, 14 e 36 dello Statuto speciale, si allega anche la violazione degli
artt. 3, 53 e 116 della Costituzione, il richiamo di queste norme si fa
non in via autonoma bensì in appoggio alla tesi principale, che è
quella della lesione della potestà tributaria della Regione.
2. – Nel merito il ricorso è da respingersi.
Fissando un’aliquota di imposta in una certa misura, il
legislatore statale non ha invaso la sfera di competenza della Regione
né direttamente né indirettamente. Non direttamente, perché spetta
esclusivamente allo Stato stabilire le aliquote delle imposte.
L’esercizio di questo potere non investe la potestà legislativa
regionale in materia tributaria, la quale, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, è concorrente e sussidiaria di quella
dello Stato e trova il suo limite nel rispetto dei principi
fondamentali della legislazione statale e dell’unità dell’ordinamento
tributario generale.
Legittimamente, pertanto, il legislatore statale ha stabilito
un’aliquota di imposta per i casi in cui non sia possibile accertare
l’appartenenza del titolo azionario e lo ha stabilito nei confronti di
tutti i soggetti che si trovino in determinate condizioni, compresi
coloro che possiedano titoli azionari regionali, ai quali non c’era
ragione di riservare un trattamento diverso.
Questa decisiva considerazione mostra l’inconsistenza della
doglianza relativa alla violazione dell’art. 36 dello Statuto e degli
artt. 3 e 53 della Costituzione, che, come si è detto, sono stati
invocati in connessione con la doglianza predetta. La disposizione
impugnata dalla Regione, lungi dal generare disparità di trattamento
nell’adempimento degli obblighi tributari, ha avuto un intento di
perequazione. Comunque, non spetta alla Regione invocare un sindacato
di merito (né alla Corte di effettuarlo) sulla strutturazione del
sistema adottato dal legislatore statale e sulla sua convenienza.
Né può fondatamente sostenersi che sia stato violato l’art. 14
dello Statuto siciliano. In questa controversia non viene in
contestazione la legittimità delle disposizioni regionali relative ai
titoli al portatore. La legge statale, nel determinare la misura
dell’imposizione, non solo non ha negato la legittimità di quelle
disposizioni, ma anzi l’ha necessariamente presa a base delle proprie
determinazioni. Non si vede, pertanto, sotto quale aspetto sia stata
invasa la sfera di competenza della Regione, garantita dall’art. 14.
Più comprensibile è la tesi se si guarda sotto l’aspetto di una
invasione indiretta o riflessa della sfera regionale; e probabilmente
è questo che nel ricorso si è voluto sottoporre al giudizio della
Corte. La violazione consisterebbe nel fatto che in conseguenza della
norma impugnata verrebbe meno il potere di incentivazione che
competerebbe alla Regione mediante lo strumento dell’anonimato
azionario.
Ma, a parte il discutibile fondamento e la non chiara fisionomia di
tale potere, non si vede come e perché della consideratasi illegittima
una norma statale che, fissando delle aliquote di imposta, possa
produrre qualche effetto non favorevole nei confronti di soggetti, per
i quali la Regione aveva disposto delle facilitazioni.
Non essendo fondato l’assunto di una violazione, neppure indiretta
o riflessa, dei poteri della Regione, resta anche escluso il fondamento
di qualunque doglianza relativa ad una violazione dei principi della
autonomia regionale, proclamata dall’art. 1 dello Statuto regionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione, sollevata con il ricorso di cui
in epigrafe, sulla legittimità costituzionale della legge 12 aprile
1964, n. 191, recante “Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto legge 23 febbraio 1964 n. 27, adottato ai sensi dell’art. 77,
comma secondo, della Costituzione, recante modificazioni temporanee
alla legge 29 dicembre 1962, n. 1745, istitutiva di una ritenuta
d’acconto e d’imposta sugli utili distribuiti dalle società e
modificazioni della disciplina della nominatività obbligatoria dei
titoli azionari”.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1967.
GASPARE AMBROSINI – ANTONINO PAPALDO
– NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO
– BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – GIUSEPPE CHIARELLI
– GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO – LUIGI OGGIONI.