Sentenza N. 113 del 1970
Corte Costituzionale
Data generale
26/06/1970
Data deposito/pubblicazione
26/06/1970
Data dell'udienza in cui è stato assunto
17/06/1970
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE –
Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
1938, n. 1730 (autorizzazione al comune di Bologna ad applicare il
contributo di fognatura), convertito nella legge 5 gennaio 1939, n.
269, promosso con ordinanza emessa il 28 giugno 1968 dal tribunale di
Bologna nel procedimento civile vertente tra il comune di Bologna ed il
fallimento della società Arista, iscritta al n. 239 del registro
ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 318 del 14 dicembre 1968.
Visti gli atti di costituzione del comune di Bologna e d’intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 maggio 1970 il Giudice relatore
Angelo De Marco;
uditi l’avv. Francesco Gherardi, per il comune di Bologna, ed il
sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Nel corso della procedura fallimentare riguardante la s.p.a. Arista
il comune di Bologna chiedeva di essere ammesso al passivo, in via
privilegiata, a norma dell ‘art. 2773 del codice civile, per la somma
di lire 474.647, pretesa a titolo di contributo di costruzione
fognatura, relativo ad una porzione di immobile, in Bologna, di
proprietà della fallita.
In sede di formazione dello stato passivo l’ammissione di tale
credito veniva contestata, assumendosi che la somma richiesta non era
dovuta.
Di qui opposizione del comune di Bologna allo stato passivo, con la
domanda di ammissione del credito nella sede privilegiata richiesta.
Nel corso del relativo giudizio, il tribunale di Bologna, con
ordinanza 28 giugno 1968, ha rilevato:
che, dopo l’abolizione del contributo di costruzione fognature per
tutti i comuni, tranne alcuni, tra i quali quello di Bologna non
rientra (art. 253 del T.U. per la finanza locale del 1931), la
contestata richiesta avrebbe potuto trovare fondamento soltanto sul
R.D.L. 13 settembre 1938, n. 1730, convertito nella legge 5 gennaio
1939, n. 269, in forza del quale: “Il comune di Bologna è autorizzato
ad applicare il contributo di fognature in base alle norme contenute
nel regolamento deliberato dal consiglio comunale nelle tornate del 25
febbraio e 21 novembre 1910 e successive modificazioni”;
che tale decreto appariva in contrasto con gli artt. 23 e 53,
quest’ultimo in relazione con l’art. 3, della Costituzione:
a) con l’art. 23, in quanto manca nella discussa norma ogni
criterio o limite idonei a delimitare la discrezionalità dell’ente
impositore;
b) con l’art. 53, comma primo, in relazione all’art. 3, in quanto
mentre per gli altri comuni autorizzati, il concorso dei proprietari
interessati è limitato ad un terzo della spesa incontrata dal comune
da corrispondersi attraverso un contributo annuo corrispondente al
ventesimo del concorso stesso, ripartito in ragione del reddito
imponibile ed a condizione che il contributo non superi il 9% del
reddito imponibile, per il comune di Bologna, invece, in forza del
regolamento richiamato dalla legge impugnata il concorso nella spesa è
del 75% del reddito imponibile da dividersi in sessanta rate
bimestrali, oltre al contributo per la manutenzione nella misura annua
del 2% del reddito.
Tanto rilevato, il tribunale ha sollevato d’ufficio questione di
legittimità costituzionale della legge suddetta, in riferimento agli
artt. 23 e 53, in relazione all’art. 3, della Costituzione.
Dopo gli adempimenti di legge, il giudizio così promosso viene ora
alla cognizione della Corte.
Si è costituito il comune di Bologna ed è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Il patrocinio del comune di Bologna, con memoria depositata il 27
novembre 1968, chiede che la sollevata questione venga dichiarata
infondata, sostanzialmente, per le seguenti considerazioni:
a) il regolamento del comune di Bologna, al quale il D.L. impugnato
si richiama, disciplina chiaramente il soggetto dell’imposizione,
l’oggetto della medesima, il criterio per la determinazione della
misura della contribuzione, la durata dell’imposizione, cosicché non
sussiste la dedotta violazione dell’art. 23 della Costituzione, per
difetto degli elementi suddetti;
b) a parte la considerazione che anche per i comuni considerati
nell’art. 253 del T.U. per la finanza locale del 1931 è preveduta una
disciplina particolare, evidentemente in relazione alle esigenze
locali, i criteri di imposizione risultanti dal regolamento del comune
di Bologna sono ispirati all’equa ripartizione dell’onere tributario e
ad una ragionevole determinazione e rateizzazione della misura e della
corresponsione del tributo, che lo rendono non più gravoso di quelli
imposti negli altri comuni, anche se in astratto una eventuale
differenza, giustificata da esigenze locali, non varrebbe ad inficiare
il sistema adottato per Bologna; nessuna violazione, quindi, sia
dell’art. 53, sia dell’art. 3 della Costituzione.
Anche l’Avvocatura generale dello Stato, con la memoria
d’intervento, depositata il 3 gennaio 1969, chiede che la questione
venga dichiarata infondata, per considerazioni sostanzialmente
identiche a quelle sopra riassunte del patrocinio del comune di
Bologna.
1. – Con l’ultimo comma dell’art. 1 del T.U. per la finanza locale,
approvato con R.D. 14 settembre 1931, n. 1175, venivano aboliti i
contributi per la costruzione fognature, che in base alla legislazione
precedentemente vigente i comuni erano autorizzati ad imporre.
Con l’art. 253, intitolato “Abolizione del contributo di
costruzione; disposizioni transitorie e speciali”, si disponeva come
segue:
a) si ribadiva l’abolizione del contributo costruzione fognature,
dichiarandolo assorbito in quelli di miglioria;
b) si autorizzavano i comuni, che già ne avevano ottenuta la
concessione, in base alla normativa precedentemente vigente, a
continuare a riscuotere i contributi, così per la costruzione, come
per la manutenzione delle fognature nei limiti e con le modalità
stabiliti nei rispettivi decreti concessivi;
c) si mantenevano ferme le norme speciali per la città di Napoli,
per l’acquedotto pugliese e per la città di Roma.
Con l’articolo unico del R.D. 2 marzo 1933, n. 322, si disponeva
l’inserzione tra il secondo ed il terzo comma del richiamato art. 253,
del seguente altro comma:
“La stessa facoltà di continuare a riscuotere i predetti
contributi compete ai comuni che, anteriormente alla legge 12 luglio
1896, n. 303 (per le opere di fognatura della città di Torino) abbiano
disciplinato il servizio fognature con regolamenti approvati in base
alle leggi vigenti prima della pubblicazione del presente testo unico”.
Infine con l’art. 1 del R.D.L. 13 settembre 1938, n. 1730,
convertito, poi, nella legge 5 gennaio 1939, n. 269, senza variazioni,
si disponeva: “Il comune di Bologna è autorizzato ad applicare il
contributo di fognatura in base alle norme contenute nel regolamento
deliberato dal consiglio comunale nelle tornate del 25 febbraio e 21
novembre 1910 e successive modificazioni.
Gli effetti dell’autorizzazione di cui al presente articolo si
estendono anche ai contributi di fognatura imposti o da imporre nel
periodo anteriore alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Della legittimità costituzionale di quest’ultima norma dubita il
tribunale di Bologna, che, con l’ordinanza di rinvio, ha sollevata la
relativa questione sotto un duplice profilo:
a) per violazione dell’art. 23 della Costituzione, in quanto
mancherebbe nella riportata norma ogni criterio o limite idoneo a
delimitare la discrezionalità dell’ente impositore, mentre criteri e
limiti per gli altri comuni autorizzati ad applicare il contributo di
costruzione fognature erano rigorosamente fissati dalla legge 12 luglio
1896, n. 303 e dalla legge 18 luglio 1911, n. 799;
b) per violazione dell’art. 53, comma primo, in relazione all ‘art.
3 della Costituzione, in quanto, mentre per gli altri comuni
autorizzati a continuare a riscuotere un tale tipo di contributo,
questo è commisurato ad un terzo della spesa effettiva di costruzione
e deve essere soddisfatto sotto forma di contributo annuo
corrispondente al ventesimo del concorso stesso, ripartito in ragione
del reddito imponibile, senza, peraltro, che si superi il 9% di tale
reddito, per il comune di Bologna, invece, in forza del regolamento
richiamato nella norma impugnata, il contributo è commisurato al 75%
del reddito imponibile, da suddividersi in sessanta rate bimestrali,
oltre al contributo di manutenzione nella misura annua del 2% del
reddito suddetto, con evidente violazione del principio di eguaglianza.
Così chiariti i termini della questione sottoposta all’esame di
questa Corte, si rileva che essa è infondata.
2. – In sostanza, con la norma impugnata, come risulta
espressamente dalla relazione della giunta generale del bilancio alla
Camera dei deputati, per la conversione in legge del R.D.L. n. 1730 del
1938, si è voluta estendere al comune di Bologna l’applicazione delle
disposizioni transitorie di cui al secondo comma del T.U. sulla finanza
locale e del R.D. n. 322 del 1933, autorizzandolo a continuare ad
applicare il suo regolamento del 1910, che, per quanto di fatto in
applicazione già da molti anni prima della data di entrata in vigore
del T.U. del 1931, a tale data non aveva riportato l’approvazione in
base alle leggi anteriormente vigenti e, quindi, non poteva beneficiare
di quelle disposizioni transitorie.
Con tale norma, quindi, non si è autorizzato genericamente il
comune di Bologna ad imporre un certo tributo, conferendogli al
riguardo una potestà discrezionale di determinare autonomamente
criteri, limiti, modalità di accertamento e di imposizione, ma lo si
è specificamente autorizzato a continuare ad applicare un regolamento
che, sia pure in linea di fatto, già da parecchi anni aveva applicato.
Senza, dunque, che occorra accertare se il richiamo a quel
regolamento abbia contenuto ricettizio o meramente formale, la stessa
dizione usata dal legislatore – “Il comune di Bologna è autorizzato ad
applicare il contributo di fognatura in base alle norme contenute nel
regolamento..” chiaramente dimostra che l’autorizzazione riguarda
l’applicazione di norme già esistenti, quali esse sono e senza
possibilità di ulteriori modificazioni. Il che esclude qualunque
discrezionalità dell’ente impositore.
E ciò è tanto vero che lo stesso giudice a quo – denunciando la
legge di delegazione – per motivare la violazione degli artt. 53 e 3
della Costituzione, di cui si dirà subito, ha potuto riferirsi alle
norme concretamente poste da quel regolamento e non a norme da emanare
in futuro e di cui non fossero stati prefissati i criteri di
emanazione, né i limiti.
Sotto il profilo della violazione dell’art. 23 della Costituzione,
la questione risulta, perciò, infondata.
3. – Ed altrettanto è a dirsi sotto il profilo della violazione
dell’art. 53, in relazione all’art. 3 della Costituzione.
Infatti, è fuori dubbio che sia lo Stato, sia tutti gli altri enti
investiti di potere di imposizione tributaria debbano osservare il
fondamentale principio dell’eguaglianza dei cittadini di fronte al
carico tributario enunciato dall’art. 53 della Costituzione. Ma,
appunto, i tributi (e contributi) comunali, per la loro intrinseca
natura, rispondono a esigenze collettive tipiche del singolo comune e
perciò eventualmente diverse da quelle degli altri comuni; esigenze
che determinano l’introduzione o meno del tributo, la valutazione della
capacità contributiva, la misura dell’aliquota ed il modo del
pagamento: sì che i principi di uguaglianza e di giustizia devono
essere osservati di regola limitatamente all’ambito locale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
del R.D. L. 13 settembre 1938, n. 1730: “Autorizzazione al comune di
Bologna ad applicare il contributo di fognatura”, convertito nella
legge 5 gennaio 1939, n. 269, sollevata con ordinanza 28 giugno 1968
dal tribunale di Bologna, in riferimento agli artt. 23 e 53 (in
relazione all’articolo 3) della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1970.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
– LUIGI OGGIONI – ANGELO DE MARCO –
ERCOLE ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA –
VEZIO CRISAFULLI – NICOLA REALE –
PAOLO ROSSI.