Sentenza N. 114 del 1964
Corte Costituzionale
Data generale
22/12/1964
Data deposito/pubblicazione
22/12/1964
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1964
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA
JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott.
ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof.
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
– Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,
secondo comma, e 131, secondo comma, del Codice di procedura penale,
promosso con ordinanza emessa il 18 dicembre 1963 dalla Sezione
istruttoria della Corte d’appello di Caltanissetta nel procedimento
disciplinare a carico dell’avv. Domenico Blanca, iscritta al n. 8 del
Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, n. 47 del 22 febbraio 1964.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 21 ottobre 1964 la relazione del
Giudice Giuseppe Chiarelli;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
L’avv. Domenico Blanca, nominato difensore d’ufficio dal Pretore di
Valguarnera in un procedimento penale a carico di tal Paolo
Mirisciotti, all’inizio del dibattimento chiedeva domandarsi
all’imputato perché non avesse difensore. Alla risposta di costui, di
essere privo di mezzi finanziari, l’avv. Blanca sollevava questione di
legittimità costituzionale degli artt. 128, 129, 130 e 131 del Codice
di procedura penale, e di tutte le altre disposizioni, che, pur
tendendo ad assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi
avanti ogni giurisdizione, sono in contrasto con gli artt. 35 e 36
della Costituzione. In considerazione di ciò, si rifiutava di
continuare nel patrocinio d’ufficio.
Il Pretore, ritenendosi incompetente a prendere in esame la
questione e a rimettere eventualmente gli atti alla Corte
costituzionale, inoltrava rapporto alla Sezione istruttoria della Corte
d’appello di Caltanissetta, la quale iniziava procedimento disciplinare
a carico dell’avv. Blanca. Avendo quest’ultimo insistito nella dedotta
questione di legittimità costituzionale, la Sezione istruttoria
rimetteva gli atti a questa Corte, con ordinanza 18 dicembre 1963,
regolarmente notificata e comunicata.
In tale ordinanza si considera rilevante e non manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale limitatamente
agli artt. 128, secondo comma, e 131, secondo comma, del Codice di
procedura penale, rispetto agli artt. 24, terzo comma, e 35, primo
comma, della Costituzione.
Quanto all’art. 24, terzo comma, l’ordinanza osserva che scopo di
esso sarebbe stato di indicare al legislatore nuove direttive per
concrete determinazioni legislative.
In particolare, parlando di “istituti” destinati ad assicurare ai
non abbienti i mezzi per agire e difendersi in giudizio, il costituente
avrebbe fatto riferimento non alle norme vigenti relative all’argomento
(e quindi non alle norme degli artt. 128, secondo comma, e 131, secondo
comma, del Codice di procedura penale), ma ad organismi da costituire
per uno scopo al cui perseguimento non è sufficiente la personalità
umana e la capacità economica individuale.
Non si può quindi affermare, osserva l’ordinanza, la legittimità
delle indicate norme in base all’art. 24, secondo comma, che intendeva,
invece, riferirsi a mezzi di difesa diversi da quelli da esse previsti.
L’ordinanza esclude, inoltre, che l’obbligo di cui ai detti
articoli possa farsi rientrare tra i doveri di solidarietà sociale, di
cui all’art. 2 della Costituzione, e che possa esser considerato come
una delle prestazioni personali previste dall’art. 23.
Parimenti si esclude che la figura giuridica del difensore sia
quella del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio,
essendo esso inquadrato dalla stessa legge tra le persone che
esercitano un servizio di pubblica necessità (art. 359 del Cod.
penale). Esaminate le varie teorie in proposito, l’ordinanza conclude
che è possibile prospettarsi un contrasto degli artt. 128 e 131, oltre
che con l’art. 24, con l’art. 35, primo comma, della Costituzione, in
quanto la tutela del lavoro, ivi affermata, ha per oggetto anche la
garanzia del compenso del lavoro autonomo, mentre non occorre
richiamare l’art. 36, il quale, ritenuto dalla giurisprudenza
applicabile solo al lavoro subordinato, è essenzialmente collegato
all’art. 35, di cui contiene una specificazione in ordine alla misura
della rimunerazione di una categoria di lavoratori.
Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
con atto d’intervento e deduzioni, depositate il 21 febbraio 1964.
In tale atto si osserva preliminarmente che non vi è
corrispondenza fra la questione sollevata e le norme denunciate, in
quanto l’avv. Blanca lamenta, non la imposizione autoritaria di un
cliente, ma l’irrecuperabilità dell’onorario quando il cliente sia
povero. Ma ciò non avrebbe niente a vedere con gli artt. 128 e 131 del
Codice di procedura penale; se mai, verrebbe in discussione l’art. 4
del R. D. 28 maggio 1931, n. 602. La Presidenza del Consiglio si
rimette, quindi, alla Corte, perché giudichi sull’eventuale
inammissibilità del giudizio.
Nel merito, la difesa della Presidenza rileva che sia dalla
interpretazione semantica dell’art. 24 e del termine “istituti”, ivi
adoperato, sia dall’indagine storica, risulta che è nettamente da
escludere che la Costituzione abbia voluto una forma di difesa
giudiziaria dei meno abbienti diversa dal gratuito patrocinio. Si
afferma quindi che la normativa vigente sul gratuito patrocinio adempie
al precetto di cui all’art. 24, e perciò non può violare l’art. 35,
coprendo i due articoli – aree diverse.
Se mai può ammettersi, al limite, che l’art. 24 deroghi, al
servizio della giustizia, all’art. 35.
In relazione all’art. 23 della Costituzione la difesa dello Stato
osserva che le prestazioni ivi previste non debbono necessariamente
essere imposte a favore della pubblica Amministrazione, e cita, a
conferma, varie norme di leggi ordinarie. Conclude, quindi, che
l’iscrizione a un albo professionale determina un assoggettamento a una
speciale supremazia da parte dello Stato, particolarmente evidente per
la professione di avvocato, per cui tutta la materia della difesa
d’ufficio non ricade nell’ambito del contratto di lavoro e, quindi,
dell’art. 35. Chiede, pertanto che sia dichiarata infondata la
sollevata questione.
L’avv. Blanca non si è costituito.
Nella discussione, l’Avvocato dello Stato si è riportato alle
difese scritte.
1. – I dubbi sollevati dalla difesa della Presidenza del Consiglio
circa l’ammissibilità del giudizio per non corrispondenza fra la
questione sollevata e le norme denunciate non possono essere condivisi.
Non vi è, infatti, incertezza sui termini della questione, né vi
è errore, da parte dell’ordinanza, nella individuazione delle norme
impugnate.
Nel vigente ordinamento l’obbligo, per gli avvocati e procuratori,
della difesa d’ufficio nei giudizi penali, posto dall’art. 128, secondo
comma, del Codice di procedura penale, comprende l’obbligo della difesa
gratuita dei non abbienti, come risulta precisato dall’art. 4 del R. D.
28 maggio 1931, n. 602, secondo il quale la difesa d’ufficio è
gratuita per gli imputati che si trovano nelle condizioni per cui è
ammesso il gratuito patrocinio. Pertanto lo stato di povertà
dell’imputato non costituisce giusta causa per il rifiuto
dell’incarico, ai sensi dell’art. 131, secondo comma, del Codice di
procedura penale, rendendosi così applicabili, ove tale rifiuto si
verifichi, le sanzioni ivi previste.
La dedotta questione di legittimità costituzionale investe,
quindi, le due indicate disposizioni, in quanto, nella loro connessione
con le norme sulla difesa dei non abbienti, esse implicano l’obbligo,
penalmente sancito, della difesa gratuita di questi ultimi.
2. – Nel merito la questione è infondata.
In relazione all’art. 24 della Costituzione va osservato che né
dal linguaggio legislativo, né dal comune linguaggio giuridico possono
trarsi argomenti per ritenere che l’espressione “istituti”, nella
disposizione costituzionale in esame, vada intesa nel senso di
organismi super individuali, e non nel senso di complessi di norme
regolatrici di determinati rapporti, unitariamente considerati. È ben
noto come in questo senso, a quel modo che si parla di istituto della
proprietà, della famiglia e via dicendo, si parla anche di istituto
del gratuito patrocinio e, in genere, di istituto della difesa gratuita
dei non abbienti. Sarebbe pertanto arbitrario ritenere, da un punto di
vista esegetico, che il gratuito patrocinio, anche nella sua attuale
disciplina, e il complesso delle vigenti norme comunque dirette ad
assicurare la difesa dei non abbienti, non possano considerarsi
compresi nella espressione “appositi istituti” adoperata dal
costituente.
Diversa questione, e non di legittimità costituzionale, è quella
della adeguatezza di tale disciplina al fine garantito dalla
Costituzione. De lege ferenda e da un punto di vista di politica
legislativa può anche auspicarsi una diversa e migliore disciplina
della difesa dei non abbienti; ma dall’opinione che un diverso
ordinamento del servizio potrebbe meglio corrispondere alle finalità
dell’art. 24 della Costituzione non si può trarre l’induzione della
incostituzionalità dei mezzi ora esistenti, che a quelle finalità
sono ugualmente diretti.
Considerare, in ipotesi, tali mezzi come insufficienti, o
scarsamente efficienti, rispetto allo scopo voluto dalla Costituzione,
non potrebbe mai voler dire riconoscerli contrari alla Costituzione
stessa, col risultato di privare i non abbienti anche dell’attuale
forma di assistenza.
3. – La questione proposta si presenta ugualmente infondata in
relazione all’art. 35 della Costituzione.
La tutela del lavoro in tutte le sue forme, enunciata nel detto
articolo, non esclude, infatti, che, in base alla legge, possano essere
imposte prestazioni gratuite, per ragioni di interesse generale, a
norma dell’art. 23 della Costituzione. Certo, per quanto riguarda il
lavoro dei liberi professionisti, queste imposizioni non possono esser
tali da trasformare lo status del libero professionista nello status di
soggetto prevalentemente tenuto alla prestazione di un servizio
obbligatorio non rimunerato, o comunque da impedire che l’esercizio
della libera professione possa essere sufficiente ad assicurare la
soddisfazione delle esigenze economiche e morali del professionista. Ma
nel caso in esame non vi ha dubbio che la previsione, contenuta nella
legge, di una saltuaria prestazione obbligatoria eventualmente gratuita
non contrasta con l’indicata norma costituzionale, né col sistema di
principi che da essa si ricava.
Infatti, in primo luogo, si tratta di un obbligo che ha la sua
ragione nell’interesse pubblico: e precisamente, nell’interesse di
fornire l’assistenza giudiziaria ai non abbienti, e di assicurare il
migliore esercizio dei poteri processuali e della funzione giudiziaria
con la collaborazione della difesa.
In secondo luogo, l’obbligo della prestazione non incide sulla
tutela della posizione economica del professionista, sia perché la
gratuità di essa è limitata ai casi in cui non vi è possibilità di
ripetizione degli onorari (art. 11 del R. D. L.30 dicembre 1923, n.
3282), sia perché il gratuito patrocinio è, nel nostro ordinamento,
un ufficio della categoria degli avvocati e dei procuratori (R. D. L.
30 dicembre 1923, citato, e, in origine, R. D. 6 dicembre 1865, n.
2627), il cui adempimento non altera la disciplina economica della
professione in modo da impedire che l’esercizio di essa possa
corrispondere alle esigenze del professionista e al decoro della
professione.
Ciò non toglie che, in armonia con quanto si è precedentemente
osservato a proposito dell’attuazione dell’art. 24, terzo comma, della
Costituzione, potrebbe essere opportunamente creato un sistema che
assicurasse in ogni caso un compenso al difensore d’ufficio.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 128, secondo comma, e 131, secondo comma, del Codice di
procedura penale, sollevata dalla Sezione istruttoria della Corte di
appello di Caltanissetta con ordinanza del 18 dicembre 1963, in
riferimento agli artt. 24, terzo comma, e 35, primo comma, della
Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1964.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – ANTONIO MANCA – ALDO
SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.