Sentenza N. 115 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
12/07/1967
Data deposito/pubblicazione
12/07/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/06/1967
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI, Giudici,
del T. U. delle leggi sulle imposte dirette approvato con D.P.R. 29
gennaio 1958, n. 645, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 30 marzo 1966 dal pretore di Arzignano nel
procedimento civile vertente tra il fallimento della società Frida e
l’Esattoria consorziale di Arzignano, iscritta al n. 85 del Registro
ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 118 del 14 maggio 1966;
2) ordinanza emessa il 12 luglio 1966 dal Tribunale di Livorno nel
procedimento civile vertente tra il fallimento Federighi Marino e
Adelago e l’Esattoria di Campiglia Marittima, iscritta al n. 184 del
Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 258 del 15 ottobre 1966.
Visti gli atti di costituzione del fallimento Federighi e
dell’Esattoria di Campiglia Marittima e l’atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 14 giugno 1967 la relazione del
Giudice Michele Fragali;
uditi l’avv. Mario Cassola, per il fallimento Federichi, l’avv.
Leopoldo Ermetes, per l’Esattoria di Campiglia Marittima, e il
sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il
Presidente del Consiglio dei Ministri.
1. – Il pretore di Arzignano e il Tribunale di Livorno, provvedendo
in due giudizi di opposizione ex art. 619, Codice di procedura civile,
proposti rispettivamente dal curatore del fallimento Frida contro
l’Esattoria consorziale di Arzignano e dal curatore del fallimento
Federighi contro l’Esattoria di Campiglia Marittima, sollevarono
questione di legittimità costituzionale dell’art. 206 del T. U. delle
leggi sulle imposte dirette approvato con D.P.R. 29 gennaio 1958, n.
645.
Secondo il pretore (ordinanza 30 marzo 1966) la norma denunziata,
consentendo al solo esattore di promuovere l’esecuzione nei confronti
del debitore fallito, appare contraria al principio sancito dall’art.
51 della legge fallimentare, che fa divieto a tutti i creditori di
procedere nell’espropriazione forzata; tale autonoma azione crea gravi
problemi nel corretto andamento delle procedure fallimentari, anche in
relazione ad un migliore realizzo da parte degli organi del fallimento,
soprattutto per quanto concerne la vendita di beni mobili, e fa sì che
l’esattore abbia prima di tutti gli altri creditori il soddisfacimento
del proprio credito, senza attendere la predisposizione di un piano di
riparto, creando una diversa posizione delle parti di fronte alla
legge. La norma venne denunziata in relazione agli artt. 3, 25 e 102
della Costituzione.
Anche secondo il Tribunale (ordinanza 12 luglio 1966) la norma
impugnata appare in contrasto col principio di eguaglianza. Si osserva
inoltre che questo trattamento compromette il diritto di difesa degli
altri creditori; e si soggiunge che l’esattore, con l’autonoma
esecuzione, non mira tanto a realizzare, nella misura massima
possibile, i tributi erariali, quanto ad ottenere sollecitamente
dall’amministrazione finanziaria il discarico dei tributi non riscossi
per ovviare alle sue esposizioni di capitali, cui è tenuto per la sua
responsabilità del non riscosso per riscosso, onde la sua attività
individuale si risolve quasi sempre in un grave danno sostanziale che
si riflette sui creditori tutti, erario compreso, per i modesti
realizzi cui di solito perviene e per i rilevanti danni che conseguono
al patrimonio fallimentare anche per la disordinata realizzazione delle
attività aziendali. Vennero invocati agli artt. 3 e 24 della
Costituzione.
La prima ordinanza è stata comunicata ai Presidenti delle Camere
l’8 aprile 1966 e notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri
il 15 successivo; la seconda è stata comunicata ai Presidenti delle
Camere il 5 e 6 agosto 1966 e notificata al Presidente del Consiglio
dei Ministri il giorno 9 successivo.
Le due ordinanze sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale
della Repubblica rispettivamente del 14 maggio 1966 n. 118 e del 15
ottobre 1966 n. 258.
Nella prima causa nessuna delle parti si costituì; nella seconda
si costituirono tanto il curatore del fallimento quanto l’Esattoria,
con atti rispettivamente del 22 agosto e del 1 ottobre 1966. Il
Presidente del Consiglio dei Ministri intervenne nella prima causa,
come da atto depositato in cancelleria il 31 maggio 1966.
2. – Il Presidente del Consiglio dei Ministri ritiene che l’art. 3
della Costituzione sancisca il principio di eguaglianza fra i cittadini
e non fra i cittadini e lo Stato; che la prerogativa attribuita
all’esattore discende dalla natura del credito, che è derivante dai
tributi e non è fonte di privilegio personale all’esattore, ma
assicura la tutela del preminente interesse generale alla riscossione
delle entrate fiscali. Aggiunge che, ai sensi dell’art. 85 del T. U.
delle leggi sulla riscossione delle imposte dirette approvato con
D.P.R. 15 maggio 1963, n. 858, l’esattore che si avvale della
procedura prevista dalla norma impugnata deve insinuare il proprio
credito nel procedimento fallimentare o in quello di liquidazione
coatta amministrativa, per cui anche il credito dell’esattore dovrà
essere preso in considerazione dal giudice delegato ai fini del
riparto. Il prezzo ricavato dall’esattore viene computato nel
fallimento secondo le norme concorsuali, in modo che resti conciliato
il principio della par condicio creditorum; e pertanto l’unico
vantaggio riservato all’esattore consiste nel fatto che egli può
realizzare il credito privilegiato senza attendere la chiusura del
fallimento, ma non può mai riscuotere più di quanto in tale sede gli
sarebbe spettato.
Quanto all’assunta violazione degli artt. 25 e 102 della
Costituzione, il Presidente del Consiglio dei Ministri osserva: che il
procedimento esecutivo esattoriale è di carattere amministrativo ed è
informato al principio dell’esecutorietà dell’atto
dell’amministrazione; che il concetto di giudice naturale è quello
precostituito per legge, al quale cioè la legge attribuisce una
competenza senza alternativa, e non già il giudice ordinario; che
nell’ordinanza del pretore non figurano i motivi per i quali la norma
impugnata vulnererebbe l’art. 102 della Costituzione; che, a
prescindere dalla legittimità delle giurisdizioni tributarie, nella
specie non si può neppure parlare di attività giurisdizionali,
tanto è vero che contro gli atti esecutivi dell’esattore è ammesso
ricorso all’intendente di finanza, che decide con provvedimento
definitivo.
3. – Il curatore del fallimento Federighi insiste nel porre in
rilievo, da un lato, il divario fra la norma denunciata e l’art. 51
della legge fallimentare, e, dall’altro, il trattamento di disparità
che ne risulta fra l’esattore e gli altri creditori del fallito;
soggiunge che questi ultimi, dalla disparità stessa vedono compromesso
il loro diritto di difesa, comprensivo non solo degli strumenti
processuali, ma pure dei mezzi pratici idonei ad assicurare loro tutti
i vantaggi che l’ordinamento giuridico predispone.
Né basta obiettare che l’art. 51 della legge fallimentare fa salva
ogni diversa disposizione e che la norma intenda assicurare
all’esattore la sollecita riscossione dell’ammontare dei tributi, che
ha dovuto versare per loro conto allo Stato e agli altri enti
impositori. Se l’esattore è tenuto a rispettare il principio della par
condicio, e quindi a consentire che il curatore del fallimento
acquisisca quanto realizzato dalla procedura esecutiva fiscale (art.
228 del T. U.), facendo valere nella stessa i crediti assistiti da un
privilegio aventi grado inferiore a quello dell’esattore, e se quindi,
anche in tal caso, l’esattore deve attendere, per l’effettiva
riscossione, il compimento delle operazioni di riparto fallimentare,
l’assurdità di quella giustificazione appare evidente; e appare ancor
più evidente se si pone mente alla circostanza che il diritto
dell’esattore di promuovere o di proseguire l’azione esecutiva a carico
del fallito dovrebbe essere riconosciuto anche per il credito non
assistito da privilegio. Inammissibile ed inconcepibile appare una
sfiducia nelle possibilità realizzatrici dell’amministrazione
fallimentare, ben potendo l’esecuzione esattoriale distruggere la
possibilità di una conveniente alienazione, come il più delle volte
accade, con un danno, non solo per la massa, ma pure per le casse dello
Stato che, per il non recuperato, sgrava l’esattore. Dal momento che il
soddisfacimento dei diritti della collettività, e quindi anche
dell’esattore, sono garantiti dalla disciplina fallimentare,
l’esecuzione dell’esattore, dovendo riguardare i medesimi beni oggetto
dell’apprensione fallimentare, dà luogo ad una duplicazione di azioni
esecutive, e si pone in contrasto con la norma fallimentare per cui la
liquidazione dell’attivo deve avvenire attraverso il curatore, sotto la
direzione del giudice delegato e sentito il comitato dei creditori.
4. – L’Esattoria di Campiglia Marittima rileva che, secondo un
principio fermissimo in giurisprudenza oltre che in dottrina, in sede
di distribuzione del prezzo ricavato dalla vendita fiscale,
all’esattore non può essere attribuito più di quanto gli spetti, in
concorso con gli altri creditori, in via privilegiata o chirografaria,
per cui, anche se l’esattore abbia riscosso l’intero suo credito
attraverso la sua esecuzione, è fatto salvo al curatore il diritto di
richiedere in restituzione quanto risulti percepito in eccedenza alla
somma attribuitagli nel riparto fallimentare. È allora irrilevante
che, per la realizzazione dei rispettivi crediti, lo strumento
processuale a disposizione dell’esattore sia diverso da quello che è a
disposizione degli altri creditori, perché l’essenziale, agli effetti
che ne occupa, è che in ogni caso la realizzazione stessa sia
effettuata nel comune interesse. E poiché gli artt. 51 e 52 della
legge fallimentare lasciano salve diverse disposizioni, la questione
della compatibilità della norma denunciata con il sistema concorsuale
potrebbe rientrare, tutt’al più, nella competenza dell’autorità
giudiziaria ordinaria, giammai costituire oggetto di giudizio di
legittimità costituzionale.
Con riferimento all’art. 24 della Costituzione, l’esattore osserva
che la tutela dei creditori ordinari non è esclusa dalla legge
speciale, ma è realizzata attraverso la procedura fallimentare
mediante la confluenza in questa di quella esattoriale; egli oppone
inoltre, come la Presidenza del Consiglio, il principio
dell’esecutorietà dell’atto amministrativo da cui è assistito anche
il ruolo, e la particolarità del rapporto che si stabilisce fra lo
Stato creditore (e, per esso, nella fase esecutiva, l’esattore) e il
contribuente o più generalmente l’obbligato d’imposta. L’interesse
alla riscossione dei tributi è pur sempre dello Stato, tenuto a
rimborsare all’esattore le quote inesigibili. E non risponde a realtà
che dalle vendite esattoriali conseguano realizzi inferiori a quelli
della vendita fallimentare: la rapidità cui è informata la procedura
speciale consente maggiori realizzi, perché la vendita è effettuata
quando i beni sono in buono stato di conservazione; e il prezzo base
del secondo incanto non può essere inferiore alla metà del prezzo di
stima (art. 225 cpv. del T.U. citato), mentre, per la vendita
giudiziale, è ammessa qualsiasi offerta (art. 538 cpv. C.P.C.) e, in
tutti i casi in cui la stima non appaia adeguata, ne può essere
chiesta la revisione a mezzo di apposito stimatore (art. 225 del T.U.
predetto).
5. – All’udienza del 14 giugno 1967 le difese delle parti hanno
ribadito le rispettive tesi.
1. – Le due ordinanze propongono un’identica questione e pertanto
sulle stesse può essere emessa un’unica sentenza.
Le ordinanze hanno discusso sull’art. 206 del T.U. 29 gennaio 1958,
n. 645, per ciò che concerne il potere dell’esattore di procedere
individualmente contro il contribuente in fallimento o in liquidazione
coatta, in relazione ad obbligazioni tributarie verso lo Stato; ed
entro questi limiti la Corte deve mantenere la sua pronunzia.
2. – Deve anzitutto escludersi che la norma impugnata pregiudichi
il diritto di difesa dei creditori del contribuente e distolga dal
giudice naturale. Già la Corte ha avvertito (sentenza 3 luglio 1962,
n. 87) che l’esecuzione esattoriale è regolata come un procedimento,
nel quale si manifesta, sia pure più energicamente che in altri casi,
il principio della esecutorietà dell’atto amministrativo; e l’art.
113, ultimo comma, della Costituzione ammette che al giudice ordinario
sia sottratto il potere di annullare gli atti della pubblica
amministrazione. Il sistema della legge sulla riscossione delle imposte
garantisce la tutela del giudice ordinario contro gli atti
dell’esattore; ma la garantisce con mezzi che tengono conto del
carattere amministrativo del procedimento, i quali sostituiscono quelli
apprestati per il procedimento ordinario, e che altre volte la Corte ha
ritenuto del tutto conformi ai precetti costituzionali oggi invocati
(stessa sentenza precitata).
Non si può ritenere, peraltro, che la facoltà data all’esattore
di procedere individualmente non ostante l’apertura del processo
concorsuale escluda la tutela giurisdizionale e la difesa degli altri
creditori del contribuente. La distribuzione del prezzo ricavato dalla
vendita seguita per autorità dell’esattore avviene secondo un
procedimento che si svolge innanzi al pretore e al quale possono
partecipare tutti i creditori del contribuente (art. 228 del D.P.R. 29
gennaio 1958, n. 645), quindi anche coloro che hanno presentato domanda
di ammissione al passivo del fallimento o della liquidazione coatta
amministrativa; ma, a sua volta, la facoltà di agire individualmente
non ostante la pendenza del procedimento concorsuale non esime
l’esattore dall’insinuarvi il credito proprio (art. 85 del D.P.R. 15
maggio 1963, n. 858). Pertanto non v’è, in definitiva, spostamento
della competenza, dall’organo giurisdizionale concorsuale, al pretore:
il prezzo riscosso dall’esattore a seguito del riparto disposto dal
pretore subisce nel processo concorsuale un riesame alla stregua delle
esigenze di questo, così che può ben dire la giurisprudenza che
l’esattore non viene a conseguire, non ostante il suo potere di
esecuzione autonoma, più di quanto avrebbe percepito ove non gli fosse
stato dato quel potere. I creditori ammessi al passivo concorsuale
hanno dunque la medesima tutela che riceverebbero ove all’esattore
fosse inibita l’esecuzione diretta; la quale peraltro non si può dire
discordante dal sistema concorsuale, perché questo non pone un divieto
assoluto di azioni esecutive individuali, ma fa salva ogni diversa
disposizione di legge (art. 51 e 201, primo comma, della legge
fallimentare). La giurisprudenza ordinaria ha riconosciuto che
l’esecuzione esattoriale s’inquadra in questa salvezza, non ostante
qualche accenno in senso contrario contenuto nei lavori preparatori
della legge fallimentare.
3. – Nemmeno si può dire che la facoltà concessa all’esattore
ferisca il principio di eguaglianza. In quanto essa mira alla sollecita
riscossione dei tributi erariali, la Corte ha ritenuto che il
conseguenziale risultato di disuguaglianza non è ingiustificato; e non
è il caso di ripetere le ragioni che a tal fine essa ha addotto.
Nemmeno è il caso di distinguere fra crediti tributari
privilegiati e crediti tributari chirografari, perché la diversità di
situazione è in funzione della qualità del creditore e di quella
sostanziale del credito. Non vale obiettare che, dovendo l’esattore
versare allo Stato anche il non riscosso, il credito tributario è
esclusivamente esattoriale: l’esattore è un organo riscuotitore
dell’imposta, e la titolarità del credito tributario è perciò sempre
dell’erario. Né la speciale protezione che al credito tributario dà
la norma denunciata perde giustificazione sol perché lo Stato è
garantito dall’estensione al non riscosso dell’obbligazione
esattoriale; ché, se mai, quella protezione potrebbe essere un
razionale temperamento del rigore con cui è regolato il rapporto fra
Stato ed esattore, in modo che l’obiezione suddetta, più che
incidere sulla legittimità costituzionale del vantaggio attribuito
dalla norma denunciata, gli conferisce ragionevolezza. Si noti,
peraltro, che l’esattore è tenuto per il non riscosso, non in via
definitiva, tanto vero che lo Stato è obbligato a rimborsargli le
quote inesigibili, e che l’esigenza di un procedimento esattoriale
accelerato è in funzione della necessità di evitare quel rimborso o
di ridurre l’entità; quindi di evitare che la realizzazione forzata
del credito erariale resti pregiudicata da remore processuali, ove
sopravvenga l’insolvenza e l’insolvibilità del contribuente.
Si oppongono inconvenienti di ordine pratico come conseguenza della
separata esecuzione esattoriale: uno scarso risultato economico delle
vendite disposte dall’esattore, un intralcio al procedimento
concorsuale, una duplicità dei procedimenti di riparto del ricavato
della vendita esattoriale, una possibilità che l’esecuzione
esattoriale scinda il complesso dell’azienda sottoposta ad esecuzione
concorsuale impedendone o rendendone difficile la vendita nella sua
unità o impedendo o rendendo difficile un concordato, e via
enumerando. Gli inconvenienti pratici di una norma, la Corte l’ha
proclamato spesse volte, non influiscono sulla sua legittimità
costituzionale, che va accertata soltanto al confronto con il dettato
della Costituzione; potrebbero, se mai, essere presi in considerazione
dal legislatore per una riforma del sistema, ove egli riconoscesse che
hanno consistenza.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 206 del T. U. delle leggi sulle imposte dirette, approvato
con D. P. R 29 gennaio 1958, n. 645, proposta dal pretore di Arzignano
con ordinanza 30 marzo 1966 e dal Tribunale di Livorno con ordinanza 12
luglio 1966, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1967.
GASPARE AMBROSINI – ANTONINO PAPALDO
– NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO
– BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – GIUSEPPE CHIARELLI
– GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO – LUIGI OGGIONI.