Sentenza N. 1165 del 1988
Corte Costituzionale
Data generale
29/12/1988
Data deposito/pubblicazione
29/12/1988
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/12/1988
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL’ANDRO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
secondo e sesto comma della legge della Provincia di Trento 2 maggio
1983, n. 14 (recte: della legge 20 dicembre 1972, n. 31, come
modificata dalla legge 2 maggio 1983, n. 14, intitolata
“Modificazioni ed integrazioni della normativa in materia di
espropriazione”), promosso con ordinanza emessa il 20 febbraio 1987
dalla Corte di Cassazione nel procedimento civile vertente tra il
Comune di Trento e Marchel Diego ed altra, iscritta al n. 766 del
registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell’anno 1987;
Visti gli atti di costituzione della Provincia Autonoma di Trento
e del Comune di Trento;
Udito nell’udienza pubblica del 5 luglio 1988 il Giudice relatore
Antonio Baldassarre;
Udito l’Avv. Sergio Panunzio per la Provincia autonoma di Trento;
Trento, Diego Marchel e la Provincia di Trento, la Corte di
cassazione, con ordinanza emessa il 20 febbraio 1987, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, primo, secondo
e sesto comma, della legge provinciale di Trento 2 maggio 1983, n.
14, (“Modificazioni ed integrazioni alla normativa in materia di
espropriazioni”), in quanto prevede modalità di determinazione
dell’indennità di esproprio per le aree fabbricabili ritenute in
contrasto con gli artt. 24, primo comma, 101, secondo comma, 113,
primo e secondo comma, 42, secondo e terzo comma, della Costituzione.
Nel precisare che ritiene corretto, nel suo complesso, il
meccanismo di determinazione dell’indennizzo previsto dalle
disposizioni impugnate – in quanto legittimo esercizio della
discrezionalità del legislatore nell’individuare forme di “serio
ristoro” non necessariamente coincidenti con il valore di mercato del
bene espropriato -, il giudice a quo esprime i propri dubbi sulla
costituzionalità di uno dei coefficienti di determinazione del
predetto indennizzo: quello usato come correttivo del valore venale
del bene, il quale è individuato sulla base di tabelle, fissate
annualmente dalla commissione prevista dall’art. 28, sesto comma, che
determina i valori agricoli, minimi e massimi, delle varie zone
agrarie.
Più precisamente, le disposizioni impugnate prevedono che
l’indennizzo per l’esproprio di aree destinate dagli strumenti
urbanistici ad insediamenti produttivi di beni o di servizi, di
insediamenti residenziali, nonché a servizi d’interesse pubblico o a
verde privato, sia commisurato alla media tra il valore venale del
bene e il valore che, entro i parametri tabellari minimi e massimi
fissati annualmente da una speciale commissione, deve essere
attribuito all’area quale terreno agricolo. Secondo il giudice a quo,
proprio quest’ultimo coefficiente tabellare, potendo risultare troppo
basso o anche troppo elevato rispetto al reale valore del bene, si
porrebbe in contrasto con l’art. 42, terzo comma, della Costituzione,
il quale, secondo la giurisprudenza costituzionale, esige che il
valore del bene sia determinato, ai fini dell’indennizzo, in
relazione al valore reale dello stesso. Di modo che ne conseguirebbe,
nel caso in cui l’indennizzo fosse troppo basso, una lesione del
diritto dell’espropriato e, nel caso opposto, una lesione del diritto
dell’espropriante.
Sempre secondo il giudice a quo, per la parte che si riferisce ai
valori tabellari, la determinazione dell’indennizzo prevista dalle
disposizioni impugnate contrasterebbe, per un verso, con gli artt.
24, primo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione e,
per un altro, con l’art. 101, secondo comma della stessa Carta
costituzionale. Infatti, poiché la fissazione dei valori tabellari
operata dalla speciale commissione amministrativa è sottratta al
controllo giudiziario sulla determinazione dell’indennizzo,
avverrebbe che, quando il valore reale di quest’ultimo oltrepassasse
i limiti tabellari, il privato, per un verso, risulterebbe leso nel
suo diritto ad ottenere dal giudice un equo indennizzo, e il giudice
stesso, per altro verso, vedrebbe ingiustificatamente limitata la
propria potestà giurisdizionale, vòlta al libero accertamento del
valore da attribuire al bene espropriato, di fronte a un accertamento
automatico del valore agricolo, che si risolverebbe in una
precostituzione di prove al di fuori dell’ambiente processuale.
2. – È intervenuta in giudizio la Provincia di Trento, la quale
eccepisce, innanzitutto, l’irrilevanza della questione proposta, per
la parte in cui riguarda le disposizioni relative alla determinazione
dell’indennizzo per l’esproprio di aree agricole, dato che lo stesso
giudice a quo riconosce che, nel caso di specie, si controverte su
aree a vocazione edificabile.
Nel merito, la Provincia ritiene che la questione sia comunque
infondata, poiché la determinazione dell’indennità di esproprio,
lungi dall’essere astratta, si baserebbe proprio sul valore venale
del bene, come sarebbe richiesto dalla giurisprudenza costituzionale
sull’art. 42, comma terzo, della Costituzione. Parimenti infondate
sarebbero, poi, le altre questioni, poiché i parametri invocati
riguarderebbero soltanto i procedimenti giurisdizionali di carattere
decisorio, nonché quelli istruttori e preistruttori connessi e
preordinati all’attività giurisdizionale, mentre gli atti contestati
(le c.d. tabelle) non potrebbero essere considerati come atti
amministrativi istruttori preordinati ad un processo. Tali atti,
anzi, essendo collegati a successivi atti amministrativi, sarebbero
sottoponibili al sindacato giurisdizionale e sindacabili dal giudice
ordinario, il quale potrebbe stabilire pur sempre un valore diverso
da quello indicato dall’autorità amministrativa.
3. – Si è costituito in giudizio anche il Comune di Trento,
chiedendo semplicemente, che le questioni sollevate siano dichiarate
inammissibili o infondate.
In prossimità dell’udienza il Comune ha integrato i propri
scritti difensivi con un’ulteriore memoria con la quale, ricordando
che lo stesso giudice a quo riconosce la correttezza del meccanismo
di determinazione dell’indennizzo nel suo complesso, afferma che ciò
basterebbe a ritenere che l’art. 42, terzo comma, della Costituzione
non sia violato. Del resto, aggiunge il Comune, il fatto che le
valutazioni tabellari rappresentano limiti esterni al procedimento
per la determinazione dell’indennizzo e, pertanto, non sono
sottoponibili al controllo giudiziale, ha un’analogia con il sistema
di determinazione dell’indennità di esproprio previsto dalla legge
n. 2892 del 1885 (art. 13) per il risanamento della città di Napoli
più volte giudicato non incostituzionale da questa Corte. Infatti,
tale legge, oltre a prevedere un sistema strutturalmente simile, in
quanto basato sul calcolo della media tra il valore venale e i valori
coacervati dei canoni dell’ultimo decennio o, in mancanza,
l’imponibile netto agli effetti dell’imposta sui terreni e i
fabbricati e oltre a prefigurare un indennizzo di poco superiore alla
metà del valore venale del bene (cioè un indennizzo nettamente
inferiore a quello previsto dalle disposizioni impugnate), alla
stregua di una secolare giurisprudenza, considera irrilevanti gli
incrementi di valore successivi all’esproprio e, soprattutto, ove
manchi l’accertamento, prevede che la valutazione sia fatta
insindacabilmente dall’ufficio finanziario.
4. – In prossimità dell’udienza anche la Provincia di Trento ha
presentato un’ulteriore memoria, con la quale, oltre a ribadire i
precedenti argomenti a favore dell’inammissibilità e
dell’infondatezza della questione, sostiene che il giudice a quo
avrebbe equivocato il significato della giurisprudenza
costituzionale, la quale non ha mai affermato che ogni elemento del
sistema di determinazione dell’indennizzo debba riferirsi al valore
reale del bene espropriato e che il “serio ristoro” debba
corrispondere all’integrale valore effettivo del bene. Al contrario,
in un precedente caso (v. sent. n. 231 del 1984) la Corte avrebbe
precisato che il riferimento a valori agricoli tabellari potrebbe
essere compatibile con la Costituzione, purché sia inquadrato in un
sistema razionale di determinazione dell’indennizzo che tenga conto
del valore effettivo dell’immobile. Mentre, sempre questa Corte, con
riguardo ad altro caso (v. sent. n. 530 del 1988), ha dichiarato
incostituzionale una legge che prevedeva un sistema di determinazione
dell’indennizzo di tipo esclusivamente tabellare, e che, a differenza
di quello oggetto della presente questione, mancava di ogni
riferimento al valore reale del bene.
La difesa della Provincia fa poi notare che anche il meccanismo di
determinazione dei parametri tabellari garantisce una sostanziale
corrispondenza tra i valori fissati e il valore effettivo, poiché
ciò sarebbe garantito non solo dalla composizione della commissione
provinciale ad hoc, dalle modalità di determinazione dei valori per
ciascuna coltura e in relazione alle zone agrarie, ma anche dalla
stessa determinazione del valore agricolo con riferimento all’area da
espropriare e dalla possibilità, consentita in talune ipotesi (artt.
24 e 29), di aumentare il valore medesimo.
In ogni caso, la Provincia, per mero scrupolo difensivo, osserva
che, ove la decisione fosse di accoglimento, è auspicabile che la
Corte precisi quali siano le esatte conseguenze operative della sua
pronunzia e, in particolare, se le tabelle debbano essere vincolanti,
o meno, per l’ufficio provinciale per le espropriazioni o solo per
l’autorità giurisdizionale.
legittimità costituzionale vertenti su un unico combinato disposto
costituito dai commi primo, secondo e sesto dell’art. 28 della legge
della Provincia di Trento 2 maggio 1983, n. 14 (recte: sui commi
primo, secondo e sesto dell’art. 28 della legge della Provincia di
Trento 20 dicembre 1972, n. 31, come modificato dalla legge
provinciale 2 maggio 1983, n. 14), che, nel dettare un particolare
meccanismo di determinazione dell’indennità di espropriazione delle
aree a specifica vocazione edificatoria, violerebbe: a) l’art. 42,
secondo e terzo comma, della Costituzione, in quanto non
garantirebbe, sempre e comunque, al proprietario espropriato un
“serio ristoro” del sacrificio imposto per utilità generale; b) gli
artt. 24, 113 e 101 della Costituzione, in quanto lederebbe le
garanzie poste da tali articoli a tutela dei diritti soggettivi dei
singoli e al fine di assicurare un corretto esercizio della funzione
giurisdizionale in relazione alla possibilità di ottenere un giusto
indennizzo.
2. – Prima di giudicare le questioni di costituzionalità
sollevate dal giudice a quo, occorre esaminare un’eccezione
d’inammissibilità presentata dalla Provincia di Trento, secondo la
quale le questioni relative al primo e al sesto comma dell’art. 28
sarebbero irrilevanti nella parte in cui si riferiscono ai criteri di
determinazione dell’indennità in relazione alle espropriazioni di
aree non edificabili.
L’eccezione va respinta.
Dall’esame dell’ordinanza di rimessione risulta sufficientemente
chiaro che il giudice a quo ha posto questioni di costituzionalità
con esclusivo riferimento alle norme della legge provinciale
concernenti il meccanismo di determinazione dell’indennità in
relazione all’espropriazione delle sole aree edificabili.
Questo meccanismo è precisamente determinato dal secondo comma
dell’art. 28, il quale testualmente stabilisce che, per le aree a
vocazione urbanistica, l’indennità di espropriazione “è commisurata
alla media aritmetica tra il valore venale ed il valore che, entro le
valutazioni fornite dalla commissione di cui al sesto comma,
dev’essere attribuito all’area quale terreno agricolo considerato
libero da vincoli di contratti agrari e secondo il tipo di coltura in
atto al momento della redazione della stima o, se anteriore, al
momento dell’occupazione d’urgenza”. Poiché, come s’è appena visto,
nel calcolo della determinazione dell’indennità di esproprio per
aree edificabili rientra anche il valore agricolo del bene, il cui
meccanismo di determinazione è fissato nel primo comma dell’art. 28,
e poiché proprio alla presenza di tale fattore nel calcolo
dell’indennizzo il giudice a quo collega i propri dubbi di
costituzionalità, il coinvolgimento del primo comma dell’art. 28 fra
le disposizioni sospettate d’illegittimità deriva soltanto nella
misura in cui tale comma entra nel combinato disposto che regola
l’indennizzo in relazione alle espropriazioni di aree a vocazione
urbanistica.
Analogo ragionamento deve farsi a proposito del sesto comma
dell’art. 28, il quale è fatto oggetto di impugnazione in quanto
entra, a sua volta, nel combinato disposto che disciplina la
determinazione dell’indennità nel caso di espropriazione di aree
edificabili.
In definitiva, l’indicazione del primo e del sesto comma dell’art.
28 a fianco del secondo comma dello stesso articolo tanto nella
motivazione che nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione, lungi
dal significare che il giudice a quo intenda arbitrariamente
estendere la questione di costituzionalità a norme che non regolano
il caso sottoposto al suo giudizio, è resa necessaria dal
particolare meccanismo di determinazione dell’indennità di esproprio
stabilito dal legislatore provinciale per le aree edificabili, il
quale si compone di più fattori, uno dei quali è dato dal valore
agricolo del bene, come determinato a norma dei commi primo e sesto
dell’art. 28.
3. – Secondo il giudice a quo, nello stabilire che l’indennità di
esproprio per le aree edificabili “è commisurata alla media
aritmetica tra il valore venale e il valore che, entro le valutazioni
fornite dalla commissione di cui al sesto comma, dev’essere
attribuito all’area quale terreno agricolo”, l’art. 28, nei commi
considerati, si porrebbe in contrasto con l’art. 42, secondo e terzo
comma, della Costituzione, tutte le volte che i valori tabellari
minimi e/o massimi, individuati dalla predetta commissione e ritenuti
vincolanti sia in sede amministrativa che in quella giudiziaria,
risultino diversi o, comunque, non aderenti rispetto al valore
effettivo del suolo da espropriare. Il giudice a quo precisa che
oggetto di contestazione non è il meccanismo di liquidazione
previsto dalle disposizioni impugnate, ma è, piuttosto, il modo in
cui, per volontà del legislatore provinciale, va determinato
l’elemento di calcolo relativo al valore agricolo: questo, infatti,
non essendo fissato secondo l’effettivo apprezzamento del bene da
espropriare, ma sulla base dei valori tabellari, minimi e massimi,
determinati annualmente dalla commissione, potrebbe dar luogo a un
indennizzo ingiustificatamente limitato o, all’inverso, eccessivo,
ogni volta che i valori tabellari si discostino dal valore agricolo
effettivo del bene da espropriare.
La questione non è fondata.
Come affermato in numerose decisioni (v. spec. sentt. nn. 15 del
1976, 231 del 1984, nonché 5 e 13 del 1980, 223 del 1983, 530 e 1022
del 1988), occorre ancora una volta ribadire che il “serio ristoro”,
garantito ai privati espropriati dall’art. 42, comma terzo, della
Costituzione, non deve corrispondere all’integrale valore effettivo
del bene, essendo sufficiente, ai fini del rispetto di detto
principio, che il valore venale sia assunto come termine di
riferimento o valore massimo, che il legislatore, nella sua
discrezionalità di valutazione, può contemperare con altri criteri,
sempreché i correttivi utilizzati non producano l’effetto di far
scadere l’ammontare dell’indennizzo al di sotto dell’indispensabile
livello di congruità.
Le disposizioni della legge provinciale oggetto di impugnazione
prevedono che, per le aree edificabili, l’indennità di
espropriazione deve esser determinata facendo la media aritmetica tra
il valore di scambio del bene da espropriare e il valore che va
attribuito all’area quale terreno agricolo, all’interno dei limiti
minimi e massimi fissati annualmente per le varie zone agrarie dalla
commissione prevista dal sesto comma dell’art. 28. Contrariamente a
quanto supposto dal giudice a quo, il fatto che il correttivo al
valore venale non sia necessariamente costituito dal valore agricolo
effettivo del terreno da espropriare, ma sia rappresentato da un
valore individuabile tra quelli minimi e massimi fissati ogni anno da
una apposita commissione, non comporta, di per sé, la violazione del
principio cui il legislatore, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, deve attenersi nel determinare l’indennità di esproprio:
quello di assumere il valore effettivo del bene come base di
riferimento dell’indennizzo, onde evitare una valutazione dello
stesso del tutto astratta (sentt. nn. 5 e 13 del 1980, 223 del 1983,
231 del 1984).
Questo principio, infatti, non suppone affatto che il sistema di
determinazione dell’indennizzo stabilito dal legislatore debba essere
riferito al valore venale del bene in ogni elemento che compone il
sistema stesso, essendo pienamente legittimo, come ha riconosciuto
questa Corte in un precedente giudizio (sent. n. 231 del 1984), che
un criterio di valutazione tabellare, ancorato al valore agricolo,
possa essere inserito come correttivo all’interno di un meccanismo di
determinazione dell’indennizzo che, nel suo insieme, tenga
adeguatamente conto del valore effettivo dell’immobile da
espropriare. E non si può negare che a questo principio risponda il
particolare sistema di correzione del valore venale previsto dalle
disposizioni impugnate: il modo di composizione della commissione di
cui al sesto comma dell’art. 28 (per il quale prevalgono nella stessa
membri di estrazione tecnica), la cadenza annuale con cui sono
determinati i valori-limite, l’ancoraggio di tale determinazione al
tipo di coltura e alle caratteristiche reali della zona considerata,
l’automatico aggiornamento dei valori nel corso dell’anno in
proporzione agli aumenti del costo della vita verificatisi fino al
giorno della stima e, infine, la necessità, in sede di indennizzo,
di definire il valore agricolo (da mediare con quello venale) in
relazione alla concreta area da espropriare, costituiscono
sufficienti garanzie perché possa ragionevolmente ritenersi che il
correttivo previsto, ancorché limitato dai minimi e dai massimi
tabellari, non sia tale da pregiudicare la congruità del complessivo
sistema di indennizzo previsto in riferimento al valore effettivo del
bene.
Del resto, che il sistema complessivo di liquidazione
dell’indennizzo stabilito dalle disposizioni impugnate sia “diretto
ad assicurare all’espropriato un valore, sia pure non pieno, concreto
e specificamente riferito al bene ablato” è espressamente
riconosciuto dallo stesso giudice a quo, così come non può essere
negato da questa Corte, che, in più di un’occasione, ha giudicato
non contrastanti con l’art. 42, comma terzo, della Costituzione
correttivi al valore venale non direttamente collegati allo stesso
(v., in particolare, sent. n. 15 del 1976 e ord. n. 607 del 1987).
4. – Non fondata è, altresì, la seconda questione di
legittimità costituzionale, la quale, essendo stata posta dal
giudice a quo come logicamente dipendente da quella precedentemente
esaminata, va risolta in modo del tutto consequenziale rispetto alla
prima.
Il giudice a quo, sulla premessa che anche il correttivo al valore
venale previsto dalle norme impugnate dovesse essere riferito al
valore effettivo dell’area da espropriare, ritiene che la
disposizione secondo la quale tale correttivo vada determinato entro
limiti minimi e massimi tabellari che non possono essere oltrepassati
in sede di opposizione giudiziale alla stima (oltreché in sede di
determinazione dell’indennizzo) lederebbe, nel caso che tali limiti
si rivelassero troppo bassi o troppo elevati, tanto il diritto del
privato ad agire in giudizio per la tutela della propria pretesa
giuridica a un equo indennizzo (e, pertanto, violerebbe gli artt. 24
e 113 della Costituzione), quanto il potere del giudice di accertare
liberamente l’operato dell’amministrazione (art. 101, secondo comma,
della Costituzione).
Pur a voler trascurare il rilievo, altre volte sottolineato da
questa Corte (sent. n. 84 del 1983), che l’insindacabilità da parte
del giudice dei valori tabellari considerati non dipende tanto dalle
disposizioni relative alle modalità di determinazione
dell’indennizzo, quanto, piuttosto, dalle norme sui poteri del
giudice nei confronti di atti amministrativi adottati nell’esercizio
di una discrezionalità tecnica, non vi può esser dubbio che dalle
disposizioni impugnate non deriva alcuna illegittima limitazione sia
al potere del giudice di accertare fatti e circostanze rilevanti per
la determinazione dell’indennizzo, sia al diritto del privato di
vedersi riconosciuta in giudizio la liquidazione di un “serio
ristoro”. Infatti, una volta che si è escluso che il correttivo,
come tale, debba riferirsi al valore (agricolo) effettivo dell’area
da espropriare e che esso, nella particolare disciplina predisposta
dalle norme impugnate, sia in grado di pregiudicare la congruità
dell’indennizzo nel suo complesso, non si vede in che modo possa
prodursi, per effetto delle disposizioni considerate, una lesione del
diritto di difesa del privato o di quello di agire in giudizio a
tutela di propri diritti e, tantomeno, una menomazione della funzione
giurisdizionale.
Sotto tale profilo, appare evidente la profonda differenza
esistente tra il caso deciso nel presente giudizio e quello definito
con la precedente sentenza n. 530 del 1988. In quest’ultima
occasione, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima, in
riferimento agli artt. 24 e 42, comma terzo, della Costituzione, una
legge della Provincia di Bolzano, che prevedeva un sistema di
determinazione dell’indennizzo il quale si risolveva integralmente in
una definizione tabellare del valore agricolo. Nell’assumere tale
decisione la Corte, rilevando che la determinazione dell’indennizzo
secondo la tecnica tabellare potrebbe dar luogo a valori non
riferibili al valore effettivo del bene e, nonostante ciò, non
modificabili dal giudice in sede di opposizione giudiziale alla
stima, concludeva per l’incostituzionalità del sistema allora
giudicato, in quanto non garantiva che l’indennizzo corrispondesse
comunque al “serio ristoro” dovuto all’espropriato, rendendo anche
impossibile la riparazione in sede giudiziale dell’eventuale lesione
del diritto. Orbene, nel caso sottoposto al presente giudizio l’una e
l’altra delle evenienze ora ricordate sono del tutto escluse, proprio
perché il sistema di determinazione dell’indennizzo non si risolve
nella definizione tabellare dei valori, ma assume quest’ultima
semplicemente come presupposto per un ragionevole correttivo di un
sistema di liquidazione dell’indennizzo che, nel suo complesso,
riconosce come base di riferimento il valore venale del bene.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 28, primo, secondo e sesto comma, della legge della
Provincia di Trento 2 maggio 1983, n. 14 (recte: della legge 20
dicembre 1972, n. 31, come modificata dalla legge 2 maggio 1983, n.
14, intitolata “Modificazioni ed integrazioni della normativa in
materia di espropriazione”), nella parte in cui si riferiscono a
terreni aventi vocazione edificatoria, sollevata, in riferimento agli
artt. 42, secondo e terzo comma, 113, primo e secondo comma, 101,
secondo comma e 24, primo comma, della Costituzione, dalla Corte di
cassazione con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale il 15
dicembre 1988.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: BALDASSARRE
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1988.
Il direttore della cancelleria: MINELLI