Sentenza N. 118 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
23/11/1967
Data deposito/pubblicazione
23/11/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/11/1967
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott.
LUIGI OGGIONI, Giudici,
terzo comma, del R.D. 18 dicembre 1941, n. 1368, contenente le
disposizioni di attuazione del Codice di procedura civile, promossi con
le ordinanze emesse il 30 marzo 1966 dal pretore di Ancona nei
procedimenti civili vertenti tra l’I.N.P.S. e Principi Giancarlo e tra
l’I.N.A.M. e Bartola Alessandro, iscritto ai nn. 97 e 98 del Registro
ordinanze 1966 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 168 del 9 luglio 1966.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 18 ottobre 1967 la relazione del
Giudice Francesco Paolo Bonifacio;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
1. – Con due ordinanze di identico contenuto, emesse il 30 marzo
1966 nei procedimenti esecutivi pendenti fra l’I.N.P.S. e Giancarlo
Principi e fra l’I.N.A.M. e Alessandro Bartola, il pretore di Ancona ha
sollevato una questione di legittimità costituzionale concernente il
terzo comma dell’art. 159 delle disposizioni di attuazione del Codice
di procedura civile (R.D. 18 dicembre 1941, n. 1368), in forza del
quale al Ministro di grazia e giustizia viene attribuito il potere di
stabilire le modalità ed i controlli degli incarichi affidati agli
istituti autorizzati alle vendite all’incanto dei beni mobili oggetti
di pignoramento.
Dopo aver ricordato che nelle due procedure innanzi a lui pendenti
la vendita dei beni pignorati era stata fissata ai sensi del D. M. 20
giugno 1960 a mezzo dell’Istituto per le vendite giudiziarie di Ancona
e che la misura esecutiva non era stata espletata a causa
dell’impossibilità di funzionamento di detto istituto per difetto di
personale, il pretore afferma che i due giudizi non possono essere
definiti indipendentemente dalla risoluzione della questione di
legittimità costituzionale della norma di legge in base alla quale il
ricordato decreto ministeriale venne a suo tempo emanato e sulla quale
cade un dubbio non manifestamente infondato di legittimità
costituzionale. Il giudice a quo osserva, infatti, che l’art. 87,
comma quinto, della Costituzione dispone che il Presidente della
Repubblica emana i regolamenti, sicché la partecipazione del
Presidente del Consiglio dei Ministri o dei singoli ministri
all’esercizio della potestà regolamentare non può realizzarsi se non
nelle forme e nei modi previsti dal successivo art. 89: dal che, a suo
parere, deriva il sospetto che non siano conformi alla Costituzione
tutte quelle disposizioni legislative che assegnano a singoli ministri
la funzione regolamentare.
Le ordinanze proseguono rilevando che il descritto dubbio di
costituzionalità è rafforzato da ulteriori considerazioni relative
alla disciplina cui sottostanno i regolamenti approvati con semplice
decreto ministeriale. L’assenza di un obbligo di pubblicazione
inconciliabile con la soggezione dei cittadini alle norme
indipendentemente dalla loro effettiva conoscenza; l’incertezza del
rapporto in cui le norme regolamentari ministeriali vengono a trovarsi
nei confronti dei regolamenti emanati con decreti ministeriali
(incertezza non dissipata dall’art. 4 delle disposizioni sulla legge in
generale, atteso che questo disciplina solo la gerarchia fra
regolamento governativo e regolamento di altra autorità); il difetto
delle garanzie che in forza della legge 31 gennaio 1926, n. 100-, la
quale non prevede affatto i decreti ministeriali – assistono il
procedimento relativo alla formazione dei regolamenti presidenziali
(parere del Consiglio di Stato e deliberazione del Consiglio dei
Ministri); il venir meno anche del controllo della Corte dei Conti,
tutte le volte in cui non ci sia impegno di spesa: tutto questo
dimostra che nel precedente ordinamento le singole leggi attributive di
potestà regolamentare al ministro erano di carattere eccezionale, e
che, sopravvenuta la Costituzione, esse non sono conciliabili col
sistema delle fonti da questa delineato né sono conformi ai principi
regolatori dello stato di diritto che il legislatore costituente ha
voluto riaffermare.
Dopo aver precisato che il dubbio prospettato non riguarda affatto
le leggi che attribuiscono ai ministri il potere di emanare atti
amministrativi generali, ma investe solo il diverso potere di emanare
norme obbligatorie per la generalità dei cittadini e per i giudici, il
pretore di Ancona rimette al giudizio di questa Corte la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 159, terzo comma, delle
disposizioni di attuazione del Codice di procedura civile in
riferimento all’art. 87, comma quinto della Costituzione, nonché ai
principi costituzionali che regolano le fonti di produzione normativa.
2. – Le due ordinanze, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 168
del 9 luglio 1966, sono state notificate alle parti e al Presidente del
Consiglio dei Ministri e comunicato ai Presidenti delle due Camere.
Nel giudizio relativo all’ordinanza emessa nel procedimento tra
l’I.N.P.S. e Giancarlo Principi è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei Ministri. Nel relativo atto di Costituzione, depositato
il 3 giugno 1966, l’Avvocatura dello Stato richiama preliminarmente
l’attenzione della Corte sulla inadeguatezza della motivazione
dell’ordinanza sul punto relativo alla rilevanza della questione ed
osserva che gli artt. 530, 532 e 534 del Codice di procedura civile
attribuiscono al giudice ampie facoltà circa l’esecuzione della
vendita, la quale non deve, ma solo può essere affidata agli istituti
autorizzati.
Nel merito l’Avvocatura dubita che l’art. 159 attribuisca al
ministro un vero e proprio potere regolamentare e non già il potere di
emanare un atto amministrativo generale. A diradare il dubbio non
varrebbe l’espressione “regolamento” contenuta nella intitolazione del
D. M. 20 giugno 1960, atteso che la terminologia usata non costituisce
un valido criterio di qualificazione, mentre, di contro, vi sono
elementi sufficienti per far ritenere che, nella specie, ci si trova di
fronte ad un atto che ha natura amministrativa improntata a
discrezionalità tecnica. L’Avvocatura osserva in proposito che
nell’ipotesi di affidamento della vendita agli istituti autorizzati,
trattandosi in sostanza dell’esplicazione di un’attività propria
dell’amministrazione della giustizia a mezzo di soggetti a questa
estranei, ricorre l’ipotesi di concessione di un pubblico servizio,
sicché il decreto ministeriale previsto dall’art. 159 disp. att. non
è altro che un “disciplinare” di carattere generale, di volta in volta
richiamato in occasione delle singole concessioni. Comunque, anche a
voler ritenere che al ministro venga attribuita una vera e propria
potestà regolamentare, la questione – così prosegue l’Avvocatura –
sarebbe egualmente infondata. La dottrina e la giurisprudenza, infatti,
hanno escluso che i regolamenti ministeriali siano inconciliabili col
nuovo assetto costituzionale, giacché l’art. 87 della Costituzione va
interpretato solo nel senso che tutte le volte in cui, senza altre
determinazioni, un regolamento venga attribuito alla competenza del
potere esecutivo, esso debba essere emanato con decreto presidenziale,
non già nel senso che alla partecipazione presidenziale alla funzione
regolamentare venga assegnato un carattere tassativo ed inderogabile.
L’Avvocatura conclude, pertanto, chiedendo che la questione venga
dichiarata non fondata.
3. – Nell’udienza pubblica la difesa del Presidente del Consiglio
ha insistito nelle descritte osservazioni e conclusioni.
1. – Le due ordinanze del pretore di Ancona propongono la stessa
questione di legittimità costituzionale, e pertanto i giudizi,
congiuntamente discussi nella pubblica udienza, vengono riuniti e
decisi con unica sentenza.
2. – La norma impugnata – art. 159, comma terzo, delle
disposizioni di attuazione del Codice di procedura civile (D.R. 18
dicembre 1941, n. 1368) – conferisce al Ministro di grazia e giustizia
il potere di stabilire le modalità e i controlli per l’esecuzione
degli incarichi affidati agli istituti autorizzati all’incanto e
all’amministrazione dei beni, ed essa viene denunziata a causa della
supposta incompatibilità dei regolamenti ministeriali con l’art. 87,
comma quinto, della Costituzione e, più in generale, coi principi
costituzionali che regolano le fonti di produzione normativa.
Dal testo delle ordinanze di rimessione risulta, tuttavia, che il
giudice a quo non ha sollevato la questione di legittimità
costituzionale nel momento in cui si accingeva, in base all’art. 534
del Codice di procedura civile, ad esercitare la facoltà di affidare
l’incanto al locale istituto autorizzato e, quindi, a dare l’avvio ad
una fase dell’esecuzione le cui modalità cadono sotto la disciplina
del decreto ministeriale (D.M. 20 giugno 1960) emanato in virtù della
norma impugnata. Risulta, al contrario, che i provvedimenti di
affidamento della vendita all’istituto di Ancona erano già stati
adottati con precedenti ordinanze, ma erano divenuti – come
testualmente si legge – “frustranei” a causa dell’impossibilità di
darvi esecuzione, in cui il predetto istituto era venuto a trovarsi per
mancanza di personale abilitato.
Tale circostanza appare inequivocabilmente inconciliabile col
giudizio di rilevanza che il pretore esprime richiamando una
considerazione di fatto – inidoneità della disciplina regolamentare a
garantire il regolare espletamento dell’incarico ed ad assicurare il
risultato dell’incanto – del tutto inadeguata a dimostrare che, nella
fase in cui i due procedimenti esecutivi vengono a trovarsi, debba
darsi applicazione alla norma impugnata. È da ritenere, perciò, che
il potere di promuovere il processo incidentale di legittimità
costituzionale è stato esercitato dal giudice a quo nell’assoluto
difetto del presupposto voluto dal sistema (art. 1 della legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e art. 23 legge 11 marzo 1953, n.
87). La questione deve essere conseguentemente dichiarata
inammissibile.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 159, terzo comma, del R.D. 18 dicembre 1941, n. 1368
(contenente le disposizioni per l’attuazione del Codice di procedura
civile), sollevata dal pretore di Ancona, con le ordinanze citate in
epigrafe, in riferimento all’art. 87, comma quinto, della Costituzione
nonché ai principi costituzionali che regolano le fonti di produzione
normativa.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 novembre 1967.
GASPARE AMBROSINI – ANTONINO PAPALDO
– NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO
– BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI.