Sentenza N. 119 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
09/06/1971
Data deposito/pubblicazione
09/06/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
04/06/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
2, 3, 4 e 5 della legge 4 febbraio 1963, n. 129 (piano regolatore
generale degli acquedotti e delega al Governo ad emanare le relative
norme di attuazione), promossi:
1) dalla Regione della Lombardia, con ricorso notificato il 27
agosto 1970, depositato in cancelleria il 5 settembre successivo ed
iscritto al n. 14 del registro ricorsi 1970;
2) dalla Regione degli Abruzzi, con ricorso notificato il 2 ottobre
1970, depositato in cancelleria il 10 successivo ed iscritto al n. 21
del registro ricorsi 1970.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 13 gennaio 1971 il Giudice
relatore Michele Fragali;
uditi l’avv. Enrico Allorio, per la Regione della Lombardia, l’avv.
Pietro Tranquilli Leali, per la Regione degli Abruzzi, ed il sostituto
avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
1. – Separati ricorsi della Regione della Lombardia e di quella
degli Abruzzi, notificati al Presidente del Consiglio dei ministri
rispettivamente il 27 agosto 1970 e il 2 ottobre 1970, hanno impugnato
la legittimità costituzionale della legge 4 febbraio 1963, n. 129, sul
piano regolatore generale degli acquedotti e il conferimento di una
delegazione al Governo per emanare le relative norme di attuazione.
Specificatamente la Regione lombarda ne ha denunciato gli artt. 1, 2 e
3, per violazione delle competenze legislative e amministrative delle
Regioni in materia di acquedotti di interesse regionale (artt. 117 e
118 della Costituzione), tutto l’art. 5 per l’inammissibilità di una
delega legislativa al Governo in materia di competenza legislativa
regionale (art. 117 della Costituzione), l’art. 5, primo comma, lett.
c, per violazione delle competenze legislativa e amministrativa
regionali e dell’autonomia finanziaria della regione con relativa
competenza per l’erogazione della spesa nella materia regolata dalla
legge (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). È stato rilevato
dalle due Regioni che la legge impugnata detta norme che debbono valere
anche dopo che le Regioni avranno esercitato la loro competenza nella
materia degli acquedotti.
2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto dinanzi
alla Corte, eccepisce l’inammissibilità dei ricorsi, perché
notificati entro i trenta giorni dalla data d’insediamento della prima
giunta regionale, ma a distanza di anni dalla data di pubblicazione
della legge impugnata: le ragioni dell’eccezione sono quelle stesse
esposte dalla medesima parte a proposito del ricorso proposto dalla
Regione lombarda avverso la legge 16 maggio 1970, n. 281, contenente
provvedimenti finanziari per l’attuazione delle regioni a statuto
ordinario, deciso con la sentenza 25 febbraio 1971, n. 39.
Nel merito il Presidente del Consiglio fa presente che la legge
impugnata è di programmazione di settore: ha una rilevanza primaria ai
fini del benessere economico sociale delle popolazioni, importa un
rilevante intervento finanziario dello Stato e trova la sua
legittimità nell’art. 41 della Costituzione. La sentenza di questa
Corte 24 gennaio 1964, n. 4, a proposito della stessa legge, affermò
che lo Stato è competente in materia di piano generale degli
acquedotti, a protezione degli interessi generali; mise in risalto la
necessità del coordinamento con la competenza regionale sugli
specifici settori interessati al piano; e giudicò idoneo allo scopo
quel concorso o quell’intesa con le Regioni, che la legge
esplicitamente prevede. L’intervento programmatico e finanziario dello
Stato non esclude l’apporto determinante delle Regioni, e funge da
volano delle iniziative di queste ultime, allo scopo di eliminare
squilibri, così da realizzare una effettiva parità di trattamento
nelle condizioni socio-economiche dei cittadini.
3. – La Regione lombarda non ritiene invece che la legge impugnata
ne rispetti la competenza: l’art. 1, terzo comma, disponendo che le
Regioni siano soltanto sentite, le riduce ad una posizione
semplicemente consultiva, e l’art. 5, lett. b, attribuisce al Ministro
dei lavori pubblici il potere di disporre il vincolo totale o parziale
delle risorse idriche, al fine di consentirne una utilizzazione di
piano, anche oltre i limiti del quadriennio indicato nell’art. 51 del
t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, sulle acque pubbliche. L’art. 4 del
d.P.R. 11 marzo 1968, n. 1090, che attuò la delegazione contenuta
nella legge impugnata, dispose che tale vincolo dovrà essere
stabilito, per le Regioni a statuto speciale, con provvedimento dei
competenti organi regionali, nulla prevedendo per le Regioni a statuto
ordinario.
La sentenza di questa Corte del 24 gennaio 1964, n. 4, opinò che
la realizzazione del piano generale doveva avvenire attraverso piani
regionali, ma la legge impugnata non distingue fra acquedotti di
portata pluriregionale e acquedotti di interesse semplicemente
regionale, ed il piano statale deve essere formulato in relazione alle
esigenze del prossimo cinquantennio (art. 2, lett. a, della legge).
4. – Obietta il Presidente del Consiglio dei ministri che la legge
impugnata non ha inteso regolare la realizzazione di singole opere o il
compimento di attività limitate in ambiti regionali, ma ha obbedito
anche a ragioni topografiche trascendenti la sfera territoriale di una
sola regione: basta pensare alla cesura esistente fra localizzazione
delle risorse idriche e zone di effettivo loro impiego, cesura
costituita proprio dalla conterminazione regionale, che potrebbe
condurre all’assurdo di distinguere fra regioni idricamente
autosufficienti o addirittura esuberanti, e regioni assetate.
Il Presidente del Consiglio fa rilevare infine che l’esercizio
delle potestà legislativa e amministrativa dello Stato si è
completamente esaurito, essendo state emanate le norme delegate con
d.P.R. 11 marzo 1968, n. 1090, ed essendo approvato il piano regolatore
generale con d.P.R. 3 agosto 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
del 25 febbraio 1969, n. 50; la Regione non ha impugnato i due atti,
così che dovrà valutarsi se ne risulta una carenza di interesse
all’impugnativa della legge di delegazione.
Il piano doveva proiettarsi nel tempo per un periodo ragionevole ed
appare congruo quello di cinquanta anni adottato dalla legge; il
vincolo delle acque, nell’art. 3 delle norme delegate, è stato
suddiviso in due periodi venticinquennali; le norme delegate, non
soltanto attribuiscono alle Regioni a statuto speciale la competenza
all’imposizione del vincolo (art. 4), ma fanno salve le competenze
delle Regioni in materia di concessioni di acque (art. 7); per la parte
finanziaria, le norme delegate (art. 20) lasciano ampio spazio di
rappresentatività alle Regioni.
5. – All’udienza del 13 gennaio 1971 i difensori delle Regioni e
del Presidente del Consiglio dei ministri hanno confermato le
rispettive tesi e conclusioni.
1. – I due ricorsi debbono essere decisi con unica sentenza,
perché riguardano la medesima legge, quella 4 febbraio 1963, n. 129,
sul piano generale degli acquedotti, che le Regioni ricorrenti
ritengono lesiva delle rispettive competenze.
2. – L’eccezione pregiudiziale di inammissibilità dei ricorsi a
causa della tardività della loro proposizione deve essere disattesa
per le ragioni esposte nella sentenza 25 febbraio 1971, n. 39, che ha
deciso identica questione. In tale occasione si era sostenuto che
l’impugnazione era preclusa, perché erano già decorsi i termini
previsti dall’art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1;
ma la Corte giudicò che, per le Regioni di nuova formazione, questi
termini devono computarsi a far data dal giorno della formazione delle
rispettive giunte. Nessun nuovo profilo è stato esposto, in questa
causa, riguardo alla eccezione predetta; e quindi la pronuncia
precedente deve essere ribadita.
Calcolati i termini nel modo sopra esposto, i ricorsi in esame
risultano tempestivamente proposti.
3. – Essi però sono inammissibili sotto altro riflesso.
L’art. 9 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, nel testo modificato
dall’art. 17 della legge 16 maggio 1970, n. 281, prescrive che le
Regioni a statuto ordinario possono esercitare la funzione legislativa
e quella amministrativa di loro competenza dopo che gliene sarà fatto
trasferimento e dopo che sarà passato nei loro ruoli il relativo
personale dipendente dallo Stato; in mancanza, la loro competenza
potrà esercitarsi dopo decorsi i due anni dall’entrata in vigore della
predetta legge 16 maggio 1970, n. 281. Questa norma fu denunziata dalla
Lombardia, dal Veneto e dagli Abruzzi, sotto il profilo che essa pone
alla competenza regionale limiti costituzionalmente non previsti, che
peraltro ne impediscono, ne ostacolano o indebitamente ne limitano
l’esercizio. Ma, con sentenza 25 febbraio 1971, n. 39, la questione è
stata dichiarata priva di fondatezza: si è considerato anzitutto che
la necessità del presupposto del previo trasferimento delle funzioni e
del personale statale risponde ad esigenze di certezza nei rapporti fra
Stato e Regioni, di ordinato e coordinato svolgimento delle relative
attribuzioni, di necessaria gradualità del passaggio da un sistema di
organizzazione fortemente accentrato ad uno, per contro, di largo
decentramento, anche a livello legislativo; si è rilevato, in secondo
luogo, che la fissazione di un termine decorso il quale le Regioni
potrebbero esplicare il loro potere anche per quelle materie riguardo
alle quali non è ancora avvenuto il trasferimento di funzioni,
soddisfa all’esigenza di evitare che venga procrastinata sine die e
rimessa alla mera discrezione statale l’effettiva esplicazione delle
competenze che alle Regioni attribuisce la Costituzione.
Non risulta che sia avvenuto il trapasso alle ricorrenti di
funzioni statali relative alla materia oggetto della legge denunziata;
e non è nemmeno decorso ancora il biennio di cui sopra si è detto. La
potestà legislativa delle ricorrenti riguardo alle materie stesse non
è perciò ancora esercitabile, quindi non è rivendicabile. Nel
frattempo è ovvio che lo Stato deve continuare ad esercitare la
propria competenza; e così ad esso soltanto spetta la valutazione
discrezionale dell’opportunità di interventi normativi nelle materie
predette.
Le Regioni, in altre parole, avrebbero potuto rilevare che, nelle
materie in esame, secondo il loro giudizio, si erano verificate
invasioni nella sfera della loro potestà da parte dello Stato soltanto
se fosse venuto meno l’impedimento costituzionale che non ne consentiva
l’esplicazione; sussistendo ancora tale impedimento, manca nelle
medesime ogni interesse all’impugnazione delle leggi denunciate,
emanate dallo Stato in materia per la quale esso ha ritenuto non
differibile una sistemazione normativa. Donde l’inammissibilità delle
doglianze proposte.
Si obietta senza fondamento che la legge denunziata, essendo
destinata ad operare anche dopo che le Regioni avranno acquistato la
legittimazione all’esercizio della rispettiva competenza, vengono a
confiscare a favore dello Stato le corrispondenti potestà regionali
anche per il tempo in cui ne sarà legittimo l’esercizio. Senonché, la
legge emanata dallo Stato in periodo di quiescenza della potestà
legislativa regionale non ha la forza di impedire l’esercizio di quella
potestà, dopo che ne saranno maturati i presupposti: concorrerà ad
indicare i principi fondamentali che le Regioni ricorrenti dovranno
osservare nella materia di cui si tratta e gli interessi che esse
dovranno rispettare, secondo quanto prescrive l’art. 117 della
Costituzione e l’art. 9 della citata legge 10 febbraio 1953, n. 62.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale:
1) degli artt. 1, 2, 3, 4 e 5 della legge 4 febbraio 1963, n. 129,
relativa al piano regolatore generale degli acquedotti ed alla delega
al Governo ad emanare le relative norme di attuazione, sollevata dalla
Regione degli Abruzzi, con ricorso del 10 ottobre 1970, in riferimento
agli artt. 5, 76, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;
2) degli artt. 1, terzo comma, 2, 3, 5 della citata legge 4
febbraio 1963, n. 129, promossa dalla Regione della Lombardia con
ricorso del 5 settembre 1970, in riferimento ai predetti articoli 5,
76, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1971.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.