Sentenza N. 120 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
16/04/2002
Data deposito/pubblicazione
16/04/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/04/2002
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI giudice, Riccardo CHIEPPA, Gustavo
ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido
NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE,
Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE;
del codice di procedura penale, promossi nell’ambito di diversi
procedimenti penali con ordinanze emesse il 1 dicembre 2000 dal
Tribunale di Busto Arsizio, il 14 febbraio 2001 dal Tribunale di
Latina, il 16 maggio 2001 dal Tribunale di Savona e il 17 luglio 2001
dal Tribunale di Bergamo, rispettivamente iscritte ai nn. 98, 310,
655 e 793 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica nn. 7, 18, 36 e 40, 1ª serie speciale,
dell’anno 2001;
Visto l’atto di costituzione degli imputati nel procedimento
relativo al giudizio promosso con l’ordinanza iscritta al n. 310 del
registro ordinanze 2001, nonché gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 26 febbraio 2002 e nella camera
di consiglio del 27 febbraio 2002 il giudice relatore Guido Neppi
Modona;
Uditi l’avvocato Pasquale Ciampa per le parti private e
l’Avvocato dello Stato per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Tribunale di Latina ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24,
secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 458, comma 1, del codice di procedura
penale, nella parte in cui prevede, ai fini della richiesta di
giudizio abbreviato, che il termine di sette giorni decorre dalla
notificazione del decreto di giudizio immediato all’imputato e non
invece anche dalla notificazione al difensore dell’avviso della data
fissata per il giudizio, nonché nella parte in cui prevede il
medesimo termine per l’imputato detenuto e per l’imputato libero.
Il Tribunale rimettente premette che gli imputati, entrambi
detenuti, hanno proposto richiesta di giudizio abbreviato oltre il
termine di sette giorni dalla notifica del decreto di giudizio
immediato, e che soltanto l’accoglimento della questione di
costituzionalità consentirebbe loro di godere dei benefici
sostanziali scaturenti dal rito richiesto.
Nel merito, il rimettente rileva che, nonostante con la ordinanza
n. 36 del 1994 la Corte costituzionale abbia dichiarato infondata
un’analoga questione, la norma censurata deve ritenersi in contrasto
con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto, pur essendo
quella di richiedere il giudizio abbreviato “una scelta in gran parte
tecnica che non può essere adottata senza la consultazione del
difensore”, essa è di fatto affidata esclusivamente all’imputato,
atteso che la possibilità che l’imputato ha di consultarsi con il
suo difensore è “ristretta in un termine decisamente breve […]
ulteriormente ridotto se si considera che con la richiesta deve
essere data la prova della avvenuta notifica al pubblico ministero”.
L’imputato detenuto, che neppure è in condizione di verificare
se i suoi messaggi siano stati tempestivamente ricevuti dal
difensore, subisce inoltre un trattamento sicuramente deteriore
rispetto all’imputato libero che ha invece ampia facoltà di
contattare il difensore e maggiori possibilità, dunque, di
rispettare il termine fissato dalla norma.
1.1. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
Ad avviso dell’Avvocatura, infatti, da un canto il termine
assegnato all’imputato – unico titolare del diritto di chiedere il
giudizio abbreviato – può ritenersi “ampio a sufficienza per
consentire al destinatario, sia esso libero o detenuto, di
consultarsi con il proprio difensore prima della scadenza”,
dall’altro una regolamentazione e una delimitazione delle modalità
dell’esercizio del diritto di difesa non possono reputarsi idonee a
menomare l’esistenza stessa del diritto, “allorché di esso vengano
assicurati lo scopo e la funzione di effettiva assistenza tecnica e
professionale (sentenze n. 46 del 1957 e n. 16 del 1970)”.
1.2. – Si sono costituiti gli imputati nel procedimento a quo
rappresentati e difesi dall’avvocato Pasquale Ciampa, chiedendo che
sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 458, comma
1, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che il termine entro
il quale può chiedersi il giudizio abbreviato decorre dalla sola
data di notificazione del decreto di giudizio immediato all’imputato.
Il difensore premette che: i suoi assistiti erano stati arrestati
l’11 dicembre 2000; interrogati e convalidato l’arresto nei termini
di legge, era stata loro applicata la misura cautelare della custodia
in carcere; successivamente, a seguito di richiesta del pubblico
ministero, il giudice per le indagini preliminari aveva disposto il
giudizio immediato con decreto notificato agli imputati il 10 gennaio
2001, mentre l’avviso della data fissata per il giudizio era stato
notificato al difensore il 22 gennaio. Il 24 gennaio, dopo essersi
consultati con il difensore, gli imputati presentavano richiesta di
giudizio abbreviato, che veniva dichiarata inammissibile, perché
tardiva, dal giudice per le indagini preliminari con ordinanza del 26
gennaio 2001.
Con riferimento al quadro normativo precedente alle modifiche
recate dalla legge n. 63 del 2001, il difensore rileva come il
presupposto interpretativo da cui muove il rimettente – e cioè che
il termine di cui al comma 1 dell’art. 458 cod. proc. pen. decorre
dalla sola data della notificazione del decreto all’imputato – è
assolutamente pacifico, sulla base del diritto vivente: può dunque
accadere che il difensore riceva la notifica dell’avviso del giudizio
immediato – in relazione al quale non è neppure previsto l’obbligo
di preventiva notifica dell’avviso di chiusura delle indagini
preliminari ex art. 415-bis cod. proc. pen. – quando il termine di
sette giorni è già scaduto.
La parte privata sottolinea inoltre che, a differenza della
situazione presa in esame dalla Corte con l’ordinanza n. 588 del 1990
e con le successive che a quella si richiamavano, la questione di
costituzionalità prospettata dal Tribunale di Latina concerne
imputati detenuti, per i quali le possibilità di comunicare
tempestivamente conil difensore non sono agevoli. Inoltre, dovendo
indubitabilmente ritenersi che “fra le condizioni necessarie al fine
di individuare quale rito processuale scegliere – attività
sicuramente rientranti nell’accezione “preparare la propria difesa” –
vi siano quelle di potere consultare il fascicolo processuale e di
consultare il proprio difensore”, la norma censurata priverebbe
l’imputato detenuto del diritto di disporre “del tempo e delle
condizioni necessari per preparare la difesa”.
Il termine per chiedere il giudizio abbreviato non sarebbe dunque
adeguato all’effettivo esercizio del diritto di difesa e si porrebbe
in contrasto non solo con i parametri evocati dal rimettente, ma
anche con gli artt. 2 e 10 della Costituzione – perché menoma il
diritto inviolabile all’equo processo assicurato dall’art. 6 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali – nonché con l’art. 111 della Costituzione.
Con memoria depositata il 27 settembre 2001 il difensore degli
imputati, in replica alle deduzioni dell’Avvocatura, ha sviluppato le
argomentazioni già illustrate nell’atto di costituzione, ed ha
sottoposto ad esame critico le argomentazioni svolte nella sentenza
di questa Corte n. 122 del 1997.
1.3. – Nella discussione in pubblica udienza le parti costituite
hanno ribadito le argomentazioni già svolte nelle memorie; in
particolare, la difesa degli imputati ha messo in rilievo le
importanti modifiche intervenute nel quadro normativo di riferimento,
sia processuale che costituzionale, successivamente alle decisioni
della Corte su analoghe questioni e segnatamente dopo la sentenza
n. 122 del 1997, sottolineando il valore precettivo dei principi
enunciati nel nuovo art. 111 della Costituzione e l’aumentato
tecnicismo della scelta del rito conseguente al mutamento della
disciplina del giudizio abbreviato per effetto della legge 16
dicembre 1999, n. 479.
2. – Con ordinanza del 1 dicembre 2000 (r.o. n. 98 del 2001) il
Tribunale di Busto Arsizio ha sollevato analoga questione di
legittimità costituzionale dell’art. 458 cod. proc. pen., in
riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, terzo comma,
della Costituzione.
Il tribunale ritiene che la questione sia rilevante atteso che
l’imputato, a seguito del decreto di giudizio immediato, ha avanzato
al giudice per le indagini preliminari istanza di ammissione al
giudizio abbreviato, respinta proprio perché tardiva.
Ad avviso del rimettente la norma censurata si porrebbe in
contrasto con l’art. 3 della Costituzione, in quanto determina
un’irragionevole disparità di trattamento dell’imputato nei cui
confronti si procede con giudizio immediato, rispetto all’imputato
citato a giudizio a seguito di udienza preliminare o con citazione
diretta ovvero tratto a giudizio direttissimo, situazioni nelle quali
sono previsti termini ben più ampi per la richiesta di giudizio
abbreviato e l’esercizio della relativa facoltà è garantita fino
alla comparizione davanti all’organo giudicante.
Sarebbero inoltre violati gli art. 24 e 111, terzo comma, della
Costituzione, in quanto la scelta di chiedere il giudizio abbreviato
presuppone specifiche cognizioni tecnico-giuridiche e una capacità
di analisi del materiale probatorio raccolto dal pubblico ministero
tali da rendere indispensabile l’apporto del difensore, mentre
questi, anche quando sia munito di procura speciale preventiva, non
può, di fatto, presentare richiesta di rito abbreviato se l’avviso
della data fissata per il giudizio immediato gli è notificato dopo
lo spirare del termine. La brevità del termine concesso all’imputato
per chiedere il giudizio abbreviato dà pertanto luogo ad una
“ingiustificata compressione del diritto di difesa, inteso nella sua
completezza ovvero quale possibilità di operare consapevoli e mirate
scelte processuali, di rito oltre che di merito”.
3. – Questione di costituzionalità affatto analoga alle
precedenti è stata sollevata con ordinanza del 16 maggio 2001 (r.o.
n. 655 del 2001) dal Tribunale di Savona.
Il tribunale premette che il 6 novembre 2000 era stato emesso il
decreto di giudizio immediato per l’udienza del 13 dicembre,
notificato all’imputato il 9 novembre 2000; il relativo avviso veniva
notificato al difensore il 15 novembre. Il 18 novembre l’imputato
avanzava richiesta di rito abbreviato, dichiarata inammissibile dal
giudice per le indagini preliminari perché proposta oltre il
termine, previsto a pena di decadenza, di sette giorni decorrenti
dalla notificazione del decreto di giudizio immediato all’imputato.
Poiché il provvedimento del giudice per le indagini preliminari era
stato preso in data successiva a quella fissata per il giudizio
immediato, questo subì dei ritardi, di talché intervenne, nelle
more, la legge n. 63 del 2001, ampliando a quindici giorni il termine
previsto dalla disposizione impugnata: peraltro il tribunale
rimettente osserva che, in applicazione del principio tempus regit
actum tale modifica normativa non rileva nella fattispecie del
giudizio a quo.
L’art. 458, comma 1, cod. proc. pen., nel testo precedente alle
modifiche recate dall’art. 14, comma 2, della legge n. 63 del 2001,
sarebbe dunque, ad avviso del rimettente, in contrasto con l’art. 24,
secondo comma, della Costituzione: la scelta del giudizio abbreviato
presupporrebbe infatti adeguate conoscenze tecniche anche con
riferimento alla particolare disciplina “del materiale utilizzabile
ai fini probatori, del trattamento sanzionatorio e dei limiti
all’appello”, mentre la decorrenza del termine dalla sola notifica
del decreto all’imputato non consente un’effettiva assistenza
difensiva.
3.1 – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o
infondata.
Desta perplessità, a parere dell’Avvocatura, la “qualificazione
del carattere esclusivamente tecnico della scelta del rito
abbreviato”, in quanto se “è vero che occorre professionalità per
valutare gli effetti della scelta di rito speciale”, è comunque “di
primaria importanza la decisione finale dell’imputato”. Inoltre
l’Avvocatura ritiene che sarebbe improprio ed inverosimile far
decorrere il termine per effettuare una scelta dalla comunicazione a
“persona diversa da quella che la scelta deve operare”, anche nel
caso in cui la persona diversa sia il difensore di fiducia
dell’imputato.
4. – Il Tribunale di Bergamo, con ordinanza del 17 luglio 2001
(r.o. n. 793 del 2001), solleva infine, in riferimento agli artt. 24,
secondo comma, e 111, terzo comma, della Costituzione, questione di
costituzionalità concernente la decorrenza del termine previsto
dall’art. 458, comma 1, cod. proc. pen., nel testo modificato
dall’art. 14, comma 2, della legge 1 marzo 2001, n. 63.
Il tribunale premette che procede nei confronti di imputato
tratto in arresto il 15 marzo 2001 per il delitto di importazione di
stupefacenti; che il 17 marzo l’arresto era stato convalidato ed era
stata applicata all’imputato la misura cautelare della custodia in
carcere. Il 13 aprile il giudice per le indagini preliminari aveva
disposto il giudizio immediato per l’udienza del 26 giugno 2001; il
decreto era stato notificato all’imputato detenuto il 14 aprile,
mentre l’avviso al difensore di fiducia era stato dato il 26 aprile
2001. Il 9 maggio il difensore aveva depositato richiesta di giudizio
abbreviato, condizionato all’esame di due testimoni, richiesta
dichiarata, in pari data, inammissibile perché formulata oltre la
scadenza del termine di quindici giorni, decorrente dalla
notificazione all’imputato del decreto che dispone il giudizio
immediato.
Ad avviso del rimettente, la norma censurata, non prevedendo “che
il termine di quindici giorni per la proposizione della richiesta di
giudizio abbreviato decorra dall’ultima delle notificazioni: del
decreto, ex art. 456, comma 3, cod. proc. pen. all’imputato o
dell’avviso, ex art. 456, comma 5, al difensore”, violerebbe gli
artt. 24, secondo comma, e 111, terzo comma, della Costituzione,
perché, in un sistema improntato ad elevato tecnicismo, determina
“un vuoto nella difesa tecnica”, proprio nel momento in cui
l’imputato deve, a pena di decadenza, esercitare la scelta di
chiedere un rito alternativo cui conseguono benefici sostanziali
rilevanti e non gli assicura quindi di disporre “del tempo e delle
condizioni necessarie per preparare la sua difesa”.
Né il preventivo rilascio di una procura speciale al difensore
sarebbe sufficiente a risolvere il problema quando è lo stesso
difensore che riceve in ritardo la notificazione dell’avviso di
giudizio immediato.
4.1 – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
riportandosi alla memoria depositata nel giudizio avente a oggetto la
questione sollevata con l’ordinanza n. 655 del 2001.
n. 310 del 2001), Busto Arsizio (r.o. n. 98 del 2001), Savona (r.o.
n. 655 del 2001) e Bergamo (r.o. n. 793 del 2001) è stata sollevata,
in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, terzo comma,
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 458, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte
in cui non prevede che il termine per proporre richiesta di giudizio
abbreviato decorra, anziché dalla notificazione del decreto di
giudizio immediato all’imputato, dall’ultima delle notificazioni,
all’imputato o al difensore, rispettivamente del decreto ovvero
dell’avviso della data fissata per il giudizio.
Poiché le ordinanze hanno per oggetto la medesima disposizione
ed hanno contenuti analoghi, va disposta la riunione dei relativi
giudizi.
2. – La questione è sostanzialmente nuova, in quanto si
inserisce su di un contesto normativo segnato dalle profonde
modifiche apportate alla disciplina del giudizio abbreviato dalla
legge 16 dicembre 1999, n. 479 (v., al riguardo, sentenza n. 115 del
2001). Non soccorrono pertanto le precedenti pronunce di questa Corte
sul medesimo comma 1 dell’art. 458 cod. proc. pen. (sentenza n. 122
del 1997, ordinanze n. 36 del 1994, n. 335 e n. 225 del 1991 e n. 588
del 1990), che si collocavano in un quadro normativo affatto diverso,
nel quale le scelte dell’imputato non erano connotate dalla attuale
rilevante complessità delle valutazioni connesse alla richiesta del
giudizio abbreviato.
3. – L’art. 458, comma 1, cod. proc. pen. stabilisce che
l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato, a pena di decadenza,
entro quindici giorni dalla notificazione del decreto di giudizio
immediato (tale termine è stato così modificato dall’art. 14, comma
2, della legge 1 marzo 2001, n. 63, che ha sostituito l’originario
termine di sette giorni: tre delle quattro ordinanze si riferiscono a
situazioni in cui era ancora operante il termine di sette giorni).
Dal canto suo, il comma 3 dell’art. 456 cod. proc. pen. prevede che
il decreto che dispone il giudizio immediato venga notificato
all’imputato almeno trenta giorni prima della data fissata per il
giudizio e il comma 2 precisa che il decreto contiene anche l’avviso
che l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato o l’applicazione
della pena. Il comma 5 dispone, infine, che al difensore è
notificato l’avviso della data fissata per il giudizio entro il
medesimo termine previsto per l’imputato.
Da tale disciplina emerge che all’imputato e al difensore vengono
notificati due atti distinti e che la scansione temporale delle
relative notifiche è lasciata all’iniziativa dell’ufficio
giudiziario che procede. Può quindi avvenire – come è accaduto nei
giudizi a quibus – che il difensore riceva l’avviso della data
fissata per il giudizio immediato in un momento in cui il termine per
presentare la richiesta di giudizio abbreviato sia già scaduto o sia
prossimo alla scadenza.
4. – Il nucleo centrale della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 458, comma 1, cod. proc. pen. attiene
appunto alla violazione del diritto alla difesa tecnica, in quanto la
disciplina censurata è congegnata in maniera tale che il termine
stabilito a pena di decadenza per presentare richiesta di giudizio
abbreviato può scadere senza che il difensore abbia potuto
illustrare al proprio assistito le opzioni difensive rispettivamente
collegate al giudizio abbreviato e alla celebrazione del
dibattimento.
In effetti, l’essenziale funzione della difesa tecnica (sentenze
n. 80 del 1984 e n. 125 del 1979), che postula il diritto
dell’imputato di conferire con il difensore per predisporre le più
opportune strategie difensive (cfr. sentenze n. 212 del 1997 e n. 216
del 1996), assume particolare incidenza in relazione ad una scelta –
quale quella di percorrere la via del giudizio abbreviato – che
implica, specie dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 479 del
1999, cognizioni e valutazioni squisitamente tecnico-giuridiche,
estranee al patrimonio di conoscenze dell’imputato.
In primo luogo, la decisione se accedere o meno al rito
abbreviato presuppone la conoscenza del fascicolo delle indagini
preliminari, di cui, a norma dell’art. 139 disp. att. cod. proc.
pen., le parti e i difensori hanno facoltà di prendere visione, ed
eventualmente estrarre copia, durante il breve termine previsto per
presentare la relativa richiesta.
Tali attività richiedono necessariamente l’intervento della
difesa tecnica, perché solo il difensore può valutare, dopo avere
esaminato il fascicolo, se sia conveniente per l’imputato prestare il
consenso, mediante la richiesta di giudizio abbreviato, a che gli
atti delle indagini vengano utilizzati come prova. Tanto più che,
rispetto alla disciplina vigente prima della legge n. 479 del 1999,
l’imputato è ora posto di fronte all’alternativa tra una richiesta
di definizione del processo allo stato degli atti ex art. 438, comma
1, cod. proc. pen. e una richiesta subordinata ad una integrazione
probatoria a norma del comma 5, destinata ad essere accolta solo ove
il giudice ritenga che l’integrazione probatoria sia necessaria ai
fini della decisione e compatibile con le finalità di economia
processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già
acquisiti ed utilizzabili.
Inoltre, nel decidere se optare per il rito abbreviato,
l’imputato dovrà in ogni caso valutare l’eventualità che il giudice
assuma anche d’ufficio, a norma dell’art. 441, comma 5, cod. proc.
pen., gli elementi necessari ai fini della decisione, e tenere
presente, ove la richiesta sia subordinata ad una integrazione
probatoria, che il pubblico ministero può chiedere l’ammissione di
prova contraria ex art. 438, comma 5, cod. proc. pen.
L’imputato viene cioè chiamato a compiere valutazioni che,
coinvolgendo i poteri dispositivi sulla prova e implicando una
peculiare esperienza professionale e processuale, esigono l’apporto
della difesa tecnica (cfr., di recente, ordinanza n. 182 del 2001),
in quanto solo il difensore, sulla base della conoscenza degli atti
del fascicolo del pubblico ministero, può a ragion veduta valutare
la completezza delle indagini e gli effetti dell’utilizzazione in
giudizio degli atti già acquisiti.
5. – Il diritto di difesa, inteso come effettiva possibilità di
ricorrere all’assistenza tecnica del difensore, risulta violato, come
questa Corte ha avuto ripetutamente occasione di affermare, in ogni
caso in cui, ai fini dell’esercizio di facoltà processuali che
comportano “la cognizione di elementi tecnici rientranti nelle
specifiche competenze professionali del difensore”, venga posto a
pena di decadenza un termine decorrente dalla notificazione
all’imputato, anziché al difensore, dell’atto da cui tali facoltà
conseguono (v., con riferimento al termine per dedurre eccezioni di
nullità, sentenza n. 162 del 1975, nonché, in relazione al termine
per proporre richiesta di riesame, decorrente dalla conoscenza del
provvedimento da parte dell’imputato, anziché dalla notifica
dell’atto al difensore, la già menzionata sentenza n. 80 del 1984).
Va pertanto dichiarata, in riferimento all’art. 24 della
Costituzione, l’illegittimità costituzionale dell’art. 458, comma 1,
cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che il termine entro cui
l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato decorre dalla
notificazione del decreto di giudizio immediato, anziché dall’ultima
notificazione, all’imputato o al difensore, rispettivamente del
decreto ovvero dell’avviso della data fissata per il giudizio
immediato.
Rimangono così assorbite le censure riferite agli altri
parametri costituzionali evocati dai rimettenti.
6. – Nell’ordinanza r.o. n. 310 del 2001 il rimettente solleva
questione di legittimità costituzionale dell’art. 458, comma 1, cod.
proc. pen. anche nella parte in cui non prevede un termine maggiore
per l’imputato in stato di detenzione.
La censura risulta superata dall’accoglimento della questione
principale di legittimità costituzionale nei termini sopra
precisati, in quanto il difensore è comunque posto in condizione di
conferire tempestivamente con il proprio assistito, anche se
detenuto, al fine di fornirgli l’assistenza tecnico-giuridica
necessaria per adottare la strategia difensiva più consona alla sua
posizione processuale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi,
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 458, comma 1,
del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che il
termine entro cui l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato
decorre dalla notificazione del decreto di giudizio immediato,
anziché dall’ultima notificazione, all’imputato o al difensore,
rispettivamente del decreto ovvero dell’avviso della data fissata per
il giudizio immediato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 aprile 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Neppi Modona
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 16 aprile 2002.
Il direttore della cancelleria: Di Paola