Sentenza N. 122 del 1966
Corte Costituzionale
Data generale
19/12/1966
Data deposito/pubblicazione
19/12/1966
Data dell'udienza in cui è stato assunto
13/12/1966
NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Dott. ANTONIO MANCA –
Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI –
Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE
VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI, Giudici,
R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404, sull’istituzione e funzionamento del
tribunale dei minorenni, promosso con ordinanza emessa il 30 settembre
1964 dalla Corte di appello di Torino, Sezione per i minorenni, nel
procedimento penale a carico di Ferreri Livio, iscritta al n. 73 del
Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 139 del 5 giugno 1965.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 23 novembre 1966 la relazione del
Giudice Francesco Paolo Bonifacio;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni
Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
1. – Con provvedimento emesso il 30 settembre 1964 nel procedimento
penale a carico di Livio Ferreri la Sezione per i minorenni della Corte
di appello di Torino, accogliendo un’eccezione proposta dalla difesa
dell’imputato appellante, ha sollevato una questione di legittimità
costituzionale degli artt. 14 e 15 del R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404
(convertito nella legge 27 maggio 1935, n. 835) sulla istituzione e sul
funzionamento del tribunale per i minorenni.
Nell’ordinanza di rimessione la Corte, premesso che la concessione
del perdono giudiziale implica, per ragioni logiche confermate dalla
disciplina positiva dell’istituto, l’affermazione di piena
responsabilità dell’imputato e comporta rilevanti effetti giuridici,
osserva che l’art. 14 impugnato, in quanto statuisce che il tribunale
per i minorenni decide in camera di consiglio sulla richiesta del
Pubblico Ministero, non assicura all’imputato l’esercizio del diritto
di difesa (conoscenza degli atti processuali, contraddittorio,
assistenza tecnica, ecc.) e viola perciò l’art. 24 della
Costituzione. Nello stesso vizio di illegittimità costituzionale
incorre, secondo il giudice a quo, anche il successivo art. 15 nella
parte in cui stabilisce che la Sezione di Corte di appello per i
minorenni provvede egualmente in camera di consiglio sulla impugnazione
della sentenza che abbia dichiarato di non doversi procedere per
concessione del perdono giudiziale.
L’ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 139 del 5 giugno 1965. Nel
presente giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
2. – Nelle deduzioni depositate il 30 novembre 1964 l’Avvocatura
dello Stato chiede che la questione sia dichiarata non fondata ed
osserva che anche se si va al di là dell’aspetto formale della
sentenza di concessione del perdono giudiziale, che è sentenza di
proscioglimento, non può sorgere dubbio sulla legittimità
costituzionale delle norme impugnate, perché l’ordinamento offre
all’imputato tutti gli strumenti necessari all’effettivo esercizio del
diritto di difesa: l’istruttoria relativa ai reati di competenza del
tribunale per i minorenni è, infatti, condotta col rito sommario, ma
nell’ipotesi di concessione del perdono giudiziale essa partecipa della
natura dell’istruttoria formale e perciò, in relazione al principio
enunciato nell’art. 392 del Codice di procedura penale, il tribunale
deve applicare l’art. 372 del Codice di procedura penale e disporre il
deposito in cancelleria degli atti e documenti del procedimento. Se a
ciò si aggiunge che il tribunale, eventualmente sollecitato
dall’imputato, può disporre che il Pubblico ministero compia altri
atti istruttori, si deve concludere, secondo l’Avvocatura, che non
sussiste alcuna violazione dell’art. 24 della Costituzione.
Nella pubblica udienza l’Avvocatura dello Stato ha insistito nelle
tesi e conclusioni esposte nell’atto di intervento.
1. – Secondo l’ordinanza di rimessione la concessione del perdono
giudiziale, anche se inquadrata fra le cause di estinzione del reato
(art. 169 del Codice penale), presuppone l’accertamento della
colpevolezza dell’imputato – e, cioè, della sussistenza degli elementi
obiettivi e subiettivi del reato – e la relativa sentenza irrevocabile
acquista autorità di cosa giudicata nel giudizio civile per le
restituzioni ed il risarcimento dei danni. Tale disciplina
giustificherebbe, ad avviso del giudice a quo, il dubbio sulla
legittimità costituzionale delle norme impugnate, le quali consentono
che un provvedimento di tanta gravità venga adottato in camera di
consiglio, senza che l’imputato minorenne possa esperire quei mezzi di
difesa che solo il dibattimento può assicurare.
La Corte osserva preliminarmente che l’art. 14 del R.D. L. 20
luglio 1934, n. 1404, disciplina la concessione del perdono giudiziale
in sede di definizione dell’istruttoria condotta dal pubblico
ministero, e perciò la sentenza pronunciata dal tribunale in camera di
consiglio né implica l’accertamento di risultati probatori che
legittimerebbe la condanna del minorenne né ha autorità di cosa
giudicata quanto alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità ed
alla responsabilità dell’imputato (effetto che l’art. 27 del Codice di
procedura penale collega solo alla sentenza pronunziata a seguito di
dibattimento). Ciò non esclude, tuttavia, che il provvedimento possa
produrre conseguenze pregiudizievoli al minore prosciolto: esso,
infatti, preclude l’ulteriore concessione di perdono giudiziale (art.
169, ultimo comma, del Codice penale) ed è destinato ad incidere sulla
dignità personale, giacché presuppone un giudizio di sussistenza di
elementi probatori che sarebbero sufficienti ad autorizzare il rinvio a
giudizio dell’imputato (art. 379 del Codice di procedura penale). E
perciò, nonostante si tratti di una pronunzia di non doversi
procedere, la garanzia predisposta dal secondo comma dell’art. 24 della
Costituzione resterebbe inattuata ove l’ordinamento non consentisse al
minorenne di conoscere le prove raccolte a suo carico, di contestare la
loro sufficienza, di eccitare il potere del tribunale di disporre il
compimento di ulteriori atti istruttori: di difendersi, in definitiva,
dall’accusa e di richiedere, con la necessaria assistenza tecnica, la
pronunzia di assoluzione per causa diversa da quella di concessione del
perdono.
2. – La Corte ritiene che sulla decisione della presente questione
di legittimità costituzionale non possano incidere né la circostanza
che il tribunale deve decidere in camera di consiglio né, per altro
verso, la circostanza che l’art. 15 della legge in esame prevede il
potere di impugnativa della sentenza: non la prima, perché il
procedimento in camera di consiglio non può essere ritenuto di per sé
contrastante con l’art. 24 della Costituzione; non la seconda, perché,
se è vero che l’imputato prosciolto per concessione di perdono
giudiziale può cognita causa contestare gli elementi assunti dal
giudice a motivazione della sua pronuncia (e, in particolare, a
motivazione del convincimento di sussistenza di prove che sarebbero
state sufficienti al rinvio a giudizio), è altrettanto certo che la
norma costituzionale esige che il diritto di difesa venga garantito “in
ogni stato e grado del procedimento” e, dunque, anche prima che il
provvedimento sia adottato in primo grado. Sicché appare evidente che
il punto decisivo della questione consiste nell’accertare se il
procedimento che si conclude con la concessione del perdono offra o
meno all’imputato quella possibilità di difesa che valga a soddisfare
il precetto costituzionale.
Giova in proposito rilevare che il procedimento minorile non è
svincolato, se non nei punti espressamente disciplinati dalla legge
speciale, dal rispetto delle norme dettate dal Codice di procedura
penale (art. 34 del R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404; art. 18 del D.P.R.
25 ottobre 1955, n. 932, emanato in forza dell’art. 20 della legge 18
giugno 1955, n. 517). Dal che discendono conseguenze di rilevante
importanza ai fini della decisione della presente questione. Ed
infatti:
a) in virtù delle modifiche apportate al precedente sistema dalla
legge 18 giugno 1955, n. 517, il giudice non può in nessun caso (cfr.
artt. 376, primo comma; 395, quarto comma; 398, quarto comma, del
Codice di procedura penale) dichiarare di non doversi procedere per
concessione del perdono giudiziale “se l’imputato non è stato
interrogato sul fatto costituente l’oggetto dell’imputazione ovvero se
il fatto non è stato enunciato in un mandato rimasto senza effetto”;
b) per effetto della sentenza n. 52 del 16 giugno 1965 di questa
Corte all’istruttoria minorile condotta dal pubblico ministero col rito
sommario devono essere applicate tutte le disposizioni contenute negli
artt. 304 bis, ter e quater del Codice di procedura penale;
c) deve infine ritenersi, come esattamente sostiene l’Avvocatura
dello Stato, che il tribunale per i minorenni è anche tenuto
all’osservanza dell’art. 372 del Codice di procedura penale. Ed in
effetti i provvedimenti devoluti alla sua competenza e da adottarsi in
camera di consiglio sono quelli stessi (cfr. art. 13, ultimo comma,
della legge in esame) che il pubblico ministero nell’istruttoria
sommaria ordinaria è tenuto a richiedere al giudice istruttore a norma
dell’art. 395 del Codice di procedura penale. È agevole dedurre da
ciò che il tribunale per i minorenni, investito dalla richiesta del
procuratore della repubblica, deve osservare gli stessi obblighi che il
Codice impone al giudice istruttore prima del provvedimento che chiude
la fase istruttoria; deve, cioè, procedere, nel rispetto dell’art. 372
del Codice di procedura penale, al deposito degli atti e documenti, a
seguito del quale il difensore dell’imputato potrà esercitare quelle
facoltà (estrazione di copie, presentazione di memorie e di istanze)
che la stessa norma gli conferisce.
Dal complesso delle disposizioni fin qui richiamate risulta che
l’imputato minorenne prima che il tribunale adotti i provvedimenti di
sua competenza può difendersi dalla imputazione, aver conoscenza di
tutti gli elementi probatori acquisiti al processo, presentare memorie
e richieste con l’assistenza del difensore e chiedere il
proscioglimento per motivi diversi dalla concessione del perdono
giudiziale. E pertanto gli artt. 14 e 15 del R.D.L. 20 luglio 1934, n.
1404, inquadrati nel sistema processuale e interpretati alla luce di
questo, appaiono non in contrasto con l’art. 24 della Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
di legittimità costituzionale degli artt. 14 e 15 del R.D.L. 20 luglio
1934, n. 1404 su “Istituzione e funzionamento del tribunale per i
minorenni”, sollevata dalla Corte di appello di Torino, Sezione per i
minorenni, in riferimento al secondo comma dell’art. 24 della
Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, 13 dicembre 1966.
ANTONINO PAPALDO – NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI OGGIONI.